Alfredo Giuliani con Giuseppe Ungaretti, nel 1961
CAMPANA, MISTERO PAZZO
AVEVO QUALCHE ARTE MA POI NON NE HO PIÙ
di: Alfredo Giuliani
da: La Repubblica, 20 agosto 1985
Come videro Campana i più fini, i più acuti dei suoi coetanei? Emilio Cecchi: accanto a Campana, che non aveva affatto l' aria del poeta e tanto meno del letterato, ma d' un barocciaio, "si sentiva la poesia come fosse una scossa elettrica, un alto esplosivo". Camillo Sbarbaro lo rievocò sempre sospinto da un "malo vento". L' aveva conosciuto a Firenze nel quattordici: "Sghignazzava; moveva le membra disordinatamente. Un disagio nasceva intorno a lui come potesse di punto in bianco, sventatamente, cavar di tasca qualche cosa d' insanguinato".
Giovanni Bonalumi
Un falò per Campana
di Sebastiano Vassalli
da La Repubblica del 27 novembre 1993
Ho conosciuto Giovanni Bonalumi nel 1985, pochi mesi dopo la pubblicazione del mio libro su Dino Campana, La notte della cometa. Bonalumi - svizzero del Canton Ticino - era giunto, negli anni Quaranta, ad amare la poesia di Campana per vie sue, senza essere influenzato dall' ambiente fiorentino e toscano.
La sua tesi di laurea, per cui nel 1946 soggiornò a lungo a Firenze, era stata una delle quattro tesi che avevano mosso l'ira e il sarcasmo del sessantacinquenne Papini sulla rivista L'Ultima:
"Abbiamo avuto notizie sicure", scrisse Papini nel settembre del 1946, "che in questi tempi si son discusse o si stanno preparando per lauree in lettere nelle Università italiane ben quattro tesi sul poeta Dino Campana, morto, come ognun sa, nel manicomio di Castel Pulci nel 1932. (...) Ci sembra che si stia ridicolmente e pericolosamente esagerando il significato storico e il valore artistico dell' infelice poeta di Marradi. Un esame sereno della sua opera dimostra a chiare note ch' egli fu scarsamente originale - s' era nutrito molto di francesi dell' ultimo Ottocento - e che non può essere presentato, se non da fanatici tendenziosi, come autentico e grande poeta".
Michele Mari
Campana. La maledizione di essere un poeta
Versi estremi. Si stampano i taccuini inediti dell’autore dei Canti Orfici.
Sono la riconferma di un grande genio. La sua vita?
Una tragica favola, oggi diventata un best seller.
Dal Corriere della Sera
15 luglio 1990
Oh avere un cielo nuovo. Dove fuggire
di Michele Mari
NeIl'inverno del 1913, mentre si recavano alla tipografia Vallecchi, Ardengo Soffici e Giovanni Papini furono improvvisamente accostati da uno strano personaggio. «Ci disse che si chiamava Dino Campana — racconta Soffici che era poeta e venuto appositamente a piedi da Marradi per presentarci alcuni suoi scritti, aveme il nostro parere e sapere se ci fosse piaciuto pubblicarli nella nostra rivista [Lacerba]. Tirò fuori di tasca un vecchio taccuino coperto di carta ruvida e sporca, di quelli dove i sensali e i fattori segnano i conti e gli appunti delle loro compere e vendite, e lo consegnò a Papini”.
Mario Luzi
ELZEVIRO
Torna «Il piu lungo giorno»
Campana, il mistero del manoscritto scomparso
di Mario Luzi
da iI Corriere della Sera, giovedì, 3 ottobre, 2002
Sono facili a nascere i miti, le leggende e le superstizioni, facili anche a radicarsi e difficili a morire. Lo sono in ogni tempo e in ogni ambiente: lo sono tanto piu dove non ci si aspetterebbe di scoprirli, tra persone illuminate dall'arte e dalla cultura, se non fossero il calore dell'immaginazione e Ia faziosità delle passioni che sconvolgono spesso Ia loro ragione.
Mario Luzi
Mario Luzi: Un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici
Il quaderno di Dino Campana
Dal Corriere della Sera del 17-VI-1971
La sparizione del quaderno manoscritto delle poesie di Dino Campana fa parte ormai della leggenda artistica novecentesca, ne è anzi uno degli episodi più coloriti e, dato il personaggio della vittima, perfino più drammatici. Non mancarono insinuazioni sul conto di Papini e Soffici, consegnatari dell'inedito; non mancarono da parte del poeta propositi, pare, di vendetta sanguinaria, d'altronde sbolliti ben presto se è vero che poco dopo pubblicò una poesia ispirata da un quadro di Soffici e ancora a Soffici si rivolse, qualche anno più tardi, in un momento di disperazione.
DINO CAMPANA: I CANTI MARINI
di Enrico Gurioli
Pendragon 2013
Potrà sembrare strano, o per lo meno singolare, trovare canti marini in Dino Campana, un poeta del Novecento italiano vittima di una leggenda letteraria tesa a mostrarlo errante e vagabondo per l'Europa pervaso da una inquietudine creativa, ispirato soprattutto da montagne e boschi, e infine, perchè negarlo, segnato sino alla seconda metà del secolo scorso da un isolamento culturale sembrato irrevocabile. «Abbiamo avuto notizie sicure» scriveva tra il sarcasmo e l'ira, nell'articolo Pazzi in rialzo, pubblicato sulla rivista «L'Ultima» nel 1946, lo scrittore Giovanni Papini, emarginato di fatto dal mondo della cultura e appoggiato dai soli cattolici tradizionalisti,
Maledetto tra i poeti
di Edoardo Esposito
da: L’Unità del 20 agosto 1985
20 agosto 1985: ricorre oggi il centenario della nascita di Dino Campana, poeta di un solo libro - I Canti orfici, pubblicati nel 1914 — e poeta di breve e tragica vita, biograficamente chiusasi nel 1932 ma chiusa alle lettere assai prima, nel 1918, quando fu internato nel cronicario per malati di mente di Castel Pulci, presso Firenze.
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