Giovanni Costetti, Dino Campana. Proprietà Centro Studi Campaniani "Enrico Consolini" di Marradi
Anomalie semantiche nella poesia di Dino Campana
di Smiljka Malinar
Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia Vol. -, No. 38, 1974
Ringrazio la dott.ssa Smiljka Malinar per avermi permesso la pubblicazione del suo articolo. (p.p.)
I. Introduzione
Se c'è ancora motivo di parlare del cosiddetto «caso Campana», oggi, dopo tanti riassestamenti di prospettive critiche, — che portarono a una visione più giusta e più pacata di alcuni spunti più problematici su cui tale «caso» era imperniato — sarebbe lecito farlo, non a proposito di eccentricità di stile e di condotta pubblica (come pareva a coloro che a minore distanza seguivano la breve e fulminante parabola di Campana uomo e poeta), bensì, tutt'al più, con riferimento alle approssimazioni e arbitrarietà, alle analisi sbrigative, ai giudizi parziali e incerti, alle sintesi mancate, che spesso -- soprattutto inizialmente — erano il bilancio più cospicuo di buona parte della critica cani Per cui Campana — uno dei protagonisti più significativi di quella stagione di poesia novecentesca chiamata «secondo decadentismo», il personaggio più pittoresco e affascinante della bohème letteraria fiorentina negli anni intorno all'inizio dela prima guerra mondiale — divenne la figura poetica più controversa e più disputata di tutto il modernismo italiano.
La notte o della gioia tragica
di Tiziano Salari
Dino Campana è l’unico poeta italiano che dice di sì alla vita sulle orme di Nietzsche. È questo, a libro chiuso, il sapore dei Canti orfici. Campana è il solo poeta del Novecento a cui si addice il concetto di “gioia tragica”. II mondo come fenomeno tragico, gioioso, affermativo. È questa la musica segreta che percorre il libro. Non il preludio di Tristano e Isotta, con le sue onde di morte. A quella musica si ispira D’Annunzio nel Trionfo della morte, che mescola Schopenhauer e Zarathustra, Wagner e Nietzsche. Musica funerea e negatrice. Non essendo mai possessivo, l’eros di Campana non conosce mai il suo risvolto oscuro, Thanatos. E tuttavia la gioia a tragica. Perché?
L'ultimo «maledetto»: Dino Campana
da: Giulio Ferroni, Il Novecento, Einaudi Scuola, 1991
Disperata figura Del tutto atipica e solitaria fu l'esperienza di DINO CAMPANA, inauguratore mitiia della nuova lirica del Novecento e insieme ultima, disperata incarnazione della figura ottocentesca del «poeta maledetto ». Intorno alla sua biografia e alla sua poesia è nato del resto un vero e proprio mito, che ha avuto particolare risonanza in anni a noi piú vicini: un mito che ripropone, anche se in modi diversi e originali, quello di Rimbaud, il poeta «maledetto» per eccellenza, «scoperto» in Italia proprio all'inizio del secolo e che lo stesso Campana sentiva vicino. Nato a Marradi (Firenze), presso Faenza, il 20 agosto 1885 da un insegnante elementare, Dino Campana fu preda già dall'adolescenza di violenti turbamenti psichici; mentre studiava chimica a Bologna e a Firenze, compì vari viaggi e vagabondaggi in Italia e all'estero (raggiungendo l'Ucraina e la Francia, e spingendosi fino in Argentina e in Uruguay).
"Il più lungo giorno" di Dino Campana
Ma qual è il rapporto fra il manoscritto del Il più lungo giorno e i Canti Orfici?
di Paolo Pianigiani
Quando l’ho visto, seminascosto fra i libri di un venditore ambulante, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, non volevo crederci... Il più lungo giorno... Dino Campana. Subito l’ho sfogliato, ho riconosciuto la scrittura, le parole, e la musica delle parole. Era proprio quella una copia del testo famosissimo, scomparso e riapparso a distanza di sessanta anni. A pagina 40 ecco apparire il testo de La Chimera, forse la poesia più famosa.
Una copia anastatica, naturalmente, la numero 800, una delle 1000 stampate dalla casa editrice fiorentina Vallecchi, del "numero zero" dei Canti Orfici, il mitico manoscritto che Dino Campana aveva consegnato a Papini e a Soffici, per averne un parere e per sperare, forse, in una pubblicazione.
Enrico Falqui
IL MANOSCRITTO RITROVATO
Ormai ci si era rassegnati a considerare chiusa per sempre, e nel peggiore dei modi, la storia del manoscritto originario dei Canti orfici. Triste e drammatica, se mai ve ne fu di somigliante presso di noi. All'ingrosso è più o meno risaputa da tutti coloro che s'interessano alle faccende della poesia; e da tutti è stata, fino ad oggi, compianta, tranne in fondo dai due ai quali è giocoforza attribuirne la responsabilità. Consegnato dal Campana a Papini e a Soffici affinché lo aiutassero a pubblicarlo, e da Papini a sua volta trasmesso a Soffici, nell'inverno del 1913, quel manoscritto fu perduto e quanto rovinoso sia stato per Campana lo smarrimento è documentato da lettere e testimonianze innumerevoli. Se volle, a sue spese, stampare i Canti orfici in una tipografia di Marradi nel 1914, dovette ricomporli e ricostruirli a memoria. Con quale sforzo e strazio si lascia immaginare.
Luigi nel 1982
Luigi Schenoni: Dino Campana
Luigi Schenoni, il geniale traduttore di Finnegans Wake di James Joyce, il più intraducibile dei libri, è scomparso recentemente.
Ho avuto la fortuna di averlo amico e, nel corso di uno degli ultimi incontri, mi donò una copia di una sua tesina di laurea, che risale alla fine degli anni 50, presentata alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere "Bocconi" di Milano. Era felice di rendere pubblico quel suo lontano lavoro di studente.
In pochi conoscevano Campana e lui era fra i pochi. Mi diceva sempre che Campana lo interessava perchè aveva fatto l'università a Bologna, era in qualche modo "bolognese" come lui. Non considerava Campana un grandissimo poeta, ma in quegli anni lontani anche un riconoscimento come il suo era un segnale importante.
La pubblico con molta emozione, in ricordo di Luigi Schenoni e del suo meraviglioso lavoro di traduttore. Grazie ancora Luigi!
Paolo Pianigiani
UNIVERSITA’ “LUIGI BOCCONI” MILANO
FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
I “Canti Orfici”
di DINO CAMPANA
Sottotesi di laurea in italiano di Luigi Schenoni
Relatore:
Chiar. mo Prof. F. GIANNESSI
ANNO ACCADEMICO 1958-59
Prima di considerare particolareggiatamente i Canti Orfici di Dino Campana, e di cercare quindi di determinare il loro posto nell’ambito della poesia dello sfortunato poeta di Marradi, sarà bene, credo, ritracciare nelle linee essenziali la vita dello scrittore, data l’importanza che le avventure terrene assumono nello svolgimento della sua attività creativa.
Dino Campana, il mito del poeta ribelle
di Alberto Casadei
pubblicato sul sito della Società Dante Alighieri, alla voce Dino Campana
e su: "Pagine della Dante", LXXXVIII, s. 3, 2, aprile-giugno 2005, pp. 50-54
La grande luce mediterranea
S’è fusa in pietra di cenere:
Pei vichi antichi e profondi
fragore di vita, gioia intensa e fugace:
Velario d’oro di felicità
È il cielo ove il sole ricchissimo
Lasciò le sue spoglie preziose
E la Città comprende
e s’accende
E la fiamma titilla ed assorbe
I resti magnificenti del sole,
E intesse un sudario d’oblìo
Divino per gli uomini stanchi.
Perdute nel crepuscolo tonante
Ombre di viaggiatori
Vanno per la Superba
Terribili e grotteschi come i ciechi.
Dino Campana, da Genova, in Canti Orfici (1914)
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