PER UN PIÙ LUNGO GIORNO
di Domenico de Robertis
Quando Dino Campana affidò a Papini e a Soffici, l'inverno del 1913, il manoscritto di quella raccolta di poesie e di prose che oggi sappiamo s'intitolava II più lungo giorno, senza volerlo si era premunito per una lunga latitanza del suo libro; e, in un certo senso, aveva cooperato alla sua sparizione. Il manoscritto era nato per durare e sopravvivere (è, oggi, il meglio conservato degli autografi di Campana); e per durare e sopravvivere più a lungo di quanto non sia rimasto sepolto tra le carte di Soffici aveva, se così si può dire, la vocazione dell'oblio. A quella data per noi abbastanza remota, un anno avanti la prima guerra mondiale, il libretto su cui Campana aveva trascritto il nucleo fondamentale di quelli che saranno i Canti orfici poteva avere forse due secoli! Dopo la notizia della sua ricomparsa, e l'emozione di ritrovarci davanti questo libro amato e perduto, proprio perdutamente amato, è stata questa, almeno per me, la sorpresa più grossa del vivo incontro col manoscritto del Più lungo giorno.
Giovanni Boine: Canti Orfici
Giovanni Boine
Prima pubblicazione Agosto 1915, su "La Riviera Ligure". Rubrica "Plausi e botte"
Copertina su carta giallo droghiere. Sul retro fra parentesi proprio in mezzo è stampato Die Tragödie des letzten Germanen in Italien (ci hanno da ultimo incollata su una strisciolina rossa come una pudica camicia, ma l'ho, da buon Gobinista, che diamine! grattata via con cura). Il ringraziamento prefazionale ai signori sottoscrittori è messo in ultimo al posto dell'indice, il quale come inutile non è stato fatto; e lì è pur ricordato «il coscienzioso, coraggioso e paziente stampatore sig. Bruno Ravagli» cui dunque nemmeno noi lesineremo le nostre cattedratiche lodi, sebbene parecchie lettere nel testo sian capovolte ed a pag.151 la riga che nientemeno dice «diosa virginea testa reclina d'ancella mossa» sia, com'è confessato, «andata all'aria» La carta a piacer suo muta di qualità tre volte in centosettanta pagine, brache, giacca e gilet di tre diversi vestiti. Inoltre è utile aggiungere che il libro è finito con queste sacramentali parole messe fuori testo a mo' d'epitaffio o di chiusa: They were all torn and cover'd with the boy's blood: cosicché BLOOD rosso e pauroso come una stilla od una ditata, sta lì (traccia d'assassinio o di liturgico sacrifizio?) come il tragico sigillo dell'opera.
La traduzione in inglese di Luigi Bonaffini
Ringrazio il mio amico Luigi Bonaffini che mi ha fatto un gran regalo...
E' possibile scaricare il suo libro cliccando sulla copertina qui sopra...
paolo pianigiani
Luigi Bonaffini: Ordine e disordine in Campana, "Genova" e la questione della quarta strofa
di LUIGI BONAFFINI
Brooklyn College
Prima edizione Forum Italicum, Vol. 13, n. 3, 1979 |
State University of New York |
Nella quarta strofa di "Genova," che è senz'altro il brano più noto e discusso di tutta l'opera di Campana, e che ha suscitato infinite polemiche, non ancora risolte dopo sessant'anni di critica campaniana, l'ambiguità del messaggio poetico si cristallizza nella sua forma più estrema e disarticolata. Al pieno sole di maggio della prima strofa sopravviene la sera, miscuglio di luce e di ombra: "I palazzi marini avevan bianchi / arabeschi nell'ombra illanguidita," ed il poeta cammina nella incertezza crepuscolare "nell'ambigua sera... / Ed andavamo io e la sera ambigua,"sotto "gli occhi benevoli" delle stelle, le "Chimere dei cieli":
Luigi Bonaffini: Campana, Dante e l'Orfismo, componenti dantesche nei Canti Orfici
Da Italica, Volume 58, n. 4 Winter 1981
di Luigi Bonaffini
È stato ampiamente documentato dalla critica che nella poesia orfica di Dino Campana confluiscono varie esperienze culturali e letterarie, tra cui la tradizione misterico-religiosa, la poesia europea appartenente al filone orfico, e poi Nietzsche e Schuré. Campana stesso afferma di voler creare una poesia italiana di stampo europeo, e non c'è dubbio che egli fosse sempre disposto a raccogliere ciò che di valido la tradizione europea poteva offrire. La ricerca e la scoperta di una nuova dimensione poetica non comportava affatto il rifiuto indiscriminato della tradizione, come alcuni hanno voluto credere, fedeli al mito di un Campana ribelle ed avanguardista a tutti i costi, ma si basava, e lo stesso poeta lo dichiara apertamente in una lettera del '15 a Papini, sull'innesto della "più viva sensibilità moderna nella linea della più pura tradizione italiana."1 La più pura tradizione italiana per lui significava soprattutto Dante e Leopardi, come suggerisce quest'altra lettera ad Emilio Cecchi:
Ora io dissi: Die tragödie des letzten Germanen in Italien mostrando di aver nel libro conservato la purezza morale del Germano (ideale non reale) che è stata la causa della loro mone in Italia. (Cercavo idealmente una patria non avendone.) Il germano preso come rappresentante del tipo morale superiore (Dante, Leopardi, Segantini)."2
Amelia Rosselli
Erminia Passannanti: Logos, afasia e spazialità poetica nella poesia di Amelia Rosselli
di Erminia Passannanti, Oxford, Uk
Si ringrazia Laura Incalcaterra McLoughlin per avere concesso la pubblicazione di questo saggio di Erminia Passannanti edito in Spazio e spazialità poetica, Laura Incalcaterra McLoughlin (Ed.), Collana Transference, Troubador Publishing Ltd., Leicester, Uk, 2005 (p.p.)
Premessa
In questo saggio s'intende proporre un'analisi del rapporto tra logos, afasia del linguaggio e spazialità poetica nella poesia di Amelia Rosselli come resa della crisi del contesto attraverso la manipolazione del mezzo linguistico. Le osservazioni che seguono individuano una tendenza citazionista nella poesia di Rosselli de La libellula (1958 e Serie ospedaliera (1963-65), influenzata dallo sperimentalismo di Dino Campana. La tendenza collaterale è quella di destrutturare lo spazio testuale del logos per ricostituirlo in una spazialità afasica e straniata.
Giovanni Costetti, Dino Campana. Proprietà Centro Studi Campaniani "Enrico Consolini" di Marradi
Anomalie semantiche nella poesia di Dino Campana
di Smiljka Malinar
Studia Romanica et Anglica Zagrabiensia Vol. -, No. 38, 1974
Ringrazio la dott.ssa Smiljka Malinar per avermi permesso la pubblicazione del suo articolo. (p.p.)
I. Introduzione
Se c'è ancora motivo di parlare del cosiddetto «caso Campana», oggi, dopo tanti riassestamenti di prospettive critiche, — che portarono a una visione più giusta e più pacata di alcuni spunti più problematici su cui tale «caso» era imperniato — sarebbe lecito farlo, non a proposito di eccentricità di stile e di condotta pubblica (come pareva a coloro che a minore distanza seguivano la breve e fulminante parabola di Campana uomo e poeta), bensì, tutt'al più, con riferimento alle approssimazioni e arbitrarietà, alle analisi sbrigative, ai giudizi parziali e incerti, alle sintesi mancate, che spesso -- soprattutto inizialmente — erano il bilancio più cospicuo di buona parte della critica cani Per cui Campana — uno dei protagonisti più significativi di quella stagione di poesia novecentesca chiamata «secondo decadentismo», il personaggio più pittoresco e affascinante della bohème letteraria fiorentina negli anni intorno all'inizio dela prima guerra mondiale — divenne la figura poetica più controversa e più disputata di tutto il modernismo italiano.
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