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Alla ricerca delle foto autentiche di Dino Campana
Intervista a Stefano Drei, il ricercatore che ha trovato la foto inedita di Dino Campana
a cura di Paolo Pianigiani
L’aveva promesso, il prof. Stefano Drei: ho tolto una foto dall’album di Dino Campana, ma forse riuscirò a trovarne una nuova…
Dopo aver scoperto che la foto di gruppo di una classe del Liceo Torricelli, non comprendeva il poeta di Marradi, ma un altro studente, tale Filippo Tramonti, le ricerche sono continuate, fino a scoprire una nuova foto, recentemente messa in copertina dell’ultimo volume curato da Gabriel Cacho Millet, “Lettere di un povero diavolo”, uscito a Dicembre 2011 per i tipi di Polistampa, a Firenze.
Ma proviamo a ricostruire la storia di questa foto, rarissima, scattata nel gennaio del 1912, a un giovane ancora sconosciuto, ma che sarebbe diventato di lì a pochi mesi l’autore dei Canti Orfici.
Luigi nel 1982
Luigi Schenoni: Dino Campana
Luigi Schenoni, il geniale traduttore di Finnegans Wake di James Joyce, il più intraducibile dei libri, è scomparso recentemente.
Ho avuto la fortuna di averlo amico e, nel corso di uno degli ultimi incontri, mi donò una copia di una sua tesina di laurea, che risale alla fine degli anni 50, presentata alla Facoltà di Lingue e Letterature Straniere "Bocconi" di Milano. Era felice di rendere pubblico quel suo lontano lavoro di studente.
In pochi conoscevano Campana e lui era fra i pochi. Mi diceva sempre che Campana lo interessava perchè aveva fatto l'università a Bologna, era in qualche modo "bolognese" come lui. Non considerava Campana un grandissimo poeta, ma in quegli anni lontani anche un riconoscimento come il suo era un segnale importante.
La pubblico con molta emozione, in ricordo di Luigi Schenoni e del suo meraviglioso lavoro di traduttore. Grazie ancora Luigi!
Paolo Pianigiani
UNIVERSITA’ “LUIGI BOCCONI” MILANO
FACOLTA’ DI LINGUE E LETTERATURE STRANIERE
I “Canti Orfici”
di DINO CAMPANA
Sottotesi di laurea in italiano di Luigi Schenoni
Relatore:
Chiar. mo Prof. F. GIANNESSI
ANNO ACCADEMICO 1958-59
Prima di considerare particolareggiatamente i Canti Orfici di Dino Campana, e di cercare quindi di determinare il loro posto nell’ambito della poesia dello sfortunato poeta di Marradi, sarà bene, credo, ritracciare nelle linee essenziali la vita dello scrittore, data l’importanza che le avventure terrene assumono nello svolgimento della sua attività creativa.
Sibilla Aleramo, alias Rina Faccio
Sibilla ricorda Dino: una testimonianza diretta
Da: Dino Campana. "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate", a cura di Gabriel Cacho Millet
Testimonianza depositata nel 1950, presso l'Istituto Gramsci, Roma Archivio Aleramo
A Firenze, settimane prima, avevo sentito parlare, forse da Franchi, di uno strano volumetto: Canti Orfici, pubblicato in veste meschina a spese dell'autore Dino Campana. L'avevo portato con me in campagna. Lo lessi, ne rimasi abbacinata e incantata insieme, tanto che scrissi al poeta alcune parole d'ammirazione. Egli mi rispose, una bizzarra cartolina. Abitava anche lui in quel momento nel Mugello, nel suo paese nativo, Rifredo (sic). Vi fu uno scambio epistolare, dopo di che ci incontrammo a Barco, un gruppetto di case ad un valico dell'Appennino Toscano.
Gino Gerola e Giorgio Luti al Vieusseux
Gino Gerola: Dino Campana a Firenze
di Gino Gerola1 |
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I rapporti tra un uomo e una città sono sempre per lo meno abbastanza complessi. Se poi l'uomo è un poeta, le complicazioni aumentano. Se infine, si chiama Dino Campana, autore quanto mai estroso e insieme esigente, allora la complessità raggiunge direi il massimo. Sopra tutto poi se la città si chiama Firenze. Tentiamo di vedere da vicino questa relazione, appunto Campana - Firenze. Credo sia il caso di distinguere tra ambito umano - sociale e ambito letterario.
Dino Campana, il mito del poeta ribelle
di Alberto Casadei
pubblicato sul sito della Società Dante Alighieri, alla voce Dino Campana
e su: "Pagine della Dante", LXXXVIII, s. 3, 2, aprile-giugno 2005, pp. 50-54
La grande luce mediterranea
S’è fusa in pietra di cenere:
Pei vichi antichi e profondi
fragore di vita, gioia intensa e fugace:
Velario d’oro di felicità
È il cielo ove il sole ricchissimo
Lasciò le sue spoglie preziose
E la Città comprende
e s’accende
E la fiamma titilla ed assorbe
I resti magnificenti del sole,
E intesse un sudario d’oblìo
Divino per gli uomini stanchi.
Perdute nel crepuscolo tonante
Ombre di viaggiatori
Vanno per la Superba
Terribili e grotteschi come i ciechi.
Dino Campana, da Genova, in Canti Orfici (1914)
DINO CAMPANA O DELLA MORTE AL CINEMA
di Luca Mazzei
Quando trovo
In questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita come un abisso
Giuseppe Ungaretti
Una titolo dimenticato
Papini, Ferri, Thovez e pochi altri. Non furono molti prima dell'avvento/evento del D'annunzio cinematografico i letterati in sala. Ancora meno quelli di cui tutt'oggi si ricordi il nome nelle antologie. Ma forse tra i letterati spettatori di quegli anni c'è ancora un nome non recensito. È Dino Campana, poeta dei misteri, delle accese diatribe, e delle lacune letterarie, cui la filologia ha reso, postumamente, più onore di quanto non abbiano potuto fare la Storia e la cronaca.
Dino Campana
Da: Poeti italiani: il Novecento
a cura di: Romano Luperini, Pietro Cataldi, Floriana d’Amely
G.B. Palumbo Editore, Università per Stranieri di Siena, 1994
Nella poesia di Dino Campana convivono due tendenze apparentemente inconciliabili. Da una parte si nota una immediatezza quasi primitiva nel rapporto con la realtà e nella sua rappresentazione. Dall'altra è evidente l'influenza, anche esplicita e confessata, di modelli di forte letterarietà (per esempio il poeta tardo-ottocentesco Carducci) o robustamente caratterizzati in senso ideologico (Nietzsche soprattutto). La stessa follia di Campana (lungamente rinchiuso in manicomio) è stata oggetto di due interpretazioni opposte: segno di un'autenticità vitale assoluta, incapace di compromessi sociali; adesione al modello culturale del "poeta maledetto" (e in effetti Campana conosceva il prototipo in area "simbolistico-"decadente di tale modello, il poeta francese Rimbaud). In verità non può essere scelta una chiave di lettura unica, dal momento che le due tendenze sono appunto entrambe presenti nel poeta: una forza di natura esistenziale entra violentemente in attrito con la convenzionalità e la inautenticità sociali, e vano è lo sforzo di incanalare e guidare la propria protesta entro categorie letterarie e culturali istituzionalmente giustificate.
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