Per una poesia di movimento: le «Novelle a gran velocità» di Dino Campana1
di Marco Favero
estratto da «Lettere italiane», I, 2017
1. Le «Novelle a gran velocità»
«Procedo per sbalzi: natura facit realmente saltus, come è noto»,2 scriveva Campana in una lettera a Emilio Cecchi il 10 marzo 1915. E veramente, chi provi a inoltrarsi all’interno del mare di varianti che affollano i suoi scritti, si trova di fronte ai continui ‘sbalzi’ con cui il poeta procedeva anche nella propria scrittura. «Ma per continuare questa vita», aggiungeva Campana, «ci vuole veramente un coraggio da leone». Appunto ricorrendo al coraggio indicato dal poeta si cerca di ricostruire il caso del ripensamento, o meglio, della vera e propria caduta, di una intera sezione dei Canti Orfici, contenente le «Novelle a gran velocità».
Gianni Turchetta: Ma Dino Campana...
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di Gianni Turchetta |
dal sito della Feltrinelli |
I lettori del "Corriere della Sera" si sono imbattuti, mercoledì 26 novembre 2003, in un singolare articolo di Sebastiano Vassalli, pubblicato in occasione dell’uscita di un’ottima edizione dei Canti Orfici, a cura di Renato Martinoni. Vassalli annuncia melodrammaticamente il fallimento dei propri sforzi di restituire a Dino Campana la "sua verità", vanificati a suo dire dall’azione congiunta di una bizzarra quanto eterogenea congrega, unanimemente dedita a deformare e sporcare la memoria del grande poeta. Ecco il finale dell’articolo: "Consegno la memoria di Dino ai film melensi, alle biografie deliranti o troppo circospette, ai "chissà!" e alle strizzatine d'occhi, ai premi letterari a lui intitolati e alla compagnia di villeggianti che ogni estate si riunisce a Marradi per assegnarli. Hanno vinto loro. Addio, Dino."
Giuseppe Manzitti: Storia di un ritrovamento fortunato
e di come i Canti Orfici non finirono nel cassonetto
di Giuseppe Manzitti |
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Dedica a Luchaire sui Canti Orfici |
Dino Campana alla Biblioteca di Ginevra
di
ALBERTO PETRUCCIANI
Università di Roma “La Sapienza”
da: Biblioteche oggi • Vol. 32, n. 8, ottobre 2014
Una foto d’epoca della sala di lettura della Biblioteca di Ginevra (Bibliothèque de Genève, Centre d’iconographie genevoise)
Una prima ricostruzione della frequentazione del poeta, per 19 giorni tra il 7 aprile e il 19 maggio 1915, e delle sue varie letture:
l’importanza della documentazione d’archivio delle biblioteche e dei loro cataloghi per la storia della cultura
La “vita errante” di Dino Campana, su cui ormai da decenni Gabriel Cacho Millet raccoglie ogni frammento di documentazione e che è stata oggetto di varie (discusse) biografie, è un inesauribile oggetto di interesse, come i suoi Canti Orfici, stampati nel 1914 – ne ricorre quest’anno il centenario – nella modestissima tipografia del suo paese, Marradi.1 Tra i viaggi e vagabondaggi del poeta – a cui molti non hanno prestato fede, ma che via via è stato in genere possibile documentare – sono noti i suoi soggiorni in Svizzera (a Berna, Ginevra, Losanna, Basilea e altre città), in Francia, in Belgio e in Argentina.
MISURE CRITICHE
Nuova serie
Anno XIII, n. 2 - XIV, n. 1
Luglio-Dicembre 2014 Gennaio-Giugno 2015
FAUSTO TUSCANO
ASPETTI DEL PENSIERO MUSICALE
DEI CANTI ORFICI
«Scrivo novelle poetiche e poesie; nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato: per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato.»[1] – così Dino Campana da Marradi il 6 gennaio del 1914 a Giuseppe Prezzolini, allora direttore della rivista fiorentina «La Voce». «Per provarmi che esisto», scrive. È la poesia che dà senso alla vita. La storia della pubblicazione dell’opera di Campana è nota. Prezzolini non risponde alla lettera. La richiesta inutile è un altro fallimento che si aggiunge ad una serie, lunga, di fallimenti non solo professionali ma anche affettivi, esistenziali. Il libro, che contiene poesie che il giovane poeta ha composto e raccolto negli ultimi dieci anni trascorsi viaggiando per il mondo, tra Firenze e Bologna, da Genova alla Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi, l’Argentina, è stampato a Marradi nell’estate del 1914, con i soldi di una colletta, dal tipografo Ravagli.2 Nel dicembre dell’anno prima, a Firenze, Campana aveva consegnato il manoscritto (un’unica copia) a due tra gli intellettuali fiorentini più in vista del momento, Giovanni Papini e Ardengo Soffici, con la speranza che lo leggessero e lo pubblicassero, magari sulla nuova rivista «Lacerba». I due promisero di leggere, ma persero il manoscritto. La raccolta, che si chiamava Il più lungo giorno, poteva essere una novità letteraria importante. Il poeta dedica la prima metà del 1914 alla ricostruzione/rielaborazione – in parte a memoria – delle poesie perdute. (Il manoscritto perduto salterà fuori solo nel 1971, a casa di Soffici).[2] Il libro pubblicato nel 1914 ha un nuovo titolo: Canti Orfici.
Dino Campana a Giuseppe Prezzolini
Marradi, 6 Gennaio 1914
Dino sta cercando l'editore del suo libro. Scrive a Prezzolini per trovare conforto e aiuto.
Completa la lettera con una trascrizione de La Chimera.
Dall'America, dove si era trasferito, Giuseppe Prezzolini inviò alla rivista romana "IL Caffè" la trascrizione di quella vecchia lettera alla quale non aveva risposto.
Mario Luzi
Mario Luzi: Un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici
Il quaderno di Dino Campana
Dal Corriere della Sera del 17-VI-1971
La sparizione del quaderno manoscritto delle poesie di Dino Campana fa parte ormai della leggenda artistica novecentesca, ne è anzi uno degli episodi più coloriti e, dato il personaggio della vittima, perfino più drammatici. Non mancarono insinuazioni sul conto di Papini e Soffici, consegnatari dell'inedito; non mancarono da parte del poeta propositi, pare, di vendetta sanguinaria, d'altronde sbolliti ben presto se è vero che poco dopo pubblicò una poesia ispirata da un quadro di Soffici e ancora a Soffici si rivolse, qualche anno più tardi, in un momento di disperazione.
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