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FEDERICO RAVAGLI

DINO CAMPANA

E I GOLIARDI

DEL SUO TEMPO

(1911-1914)

 

AUTOGRAFI E DOCUMENTI

CONFESSIONI E MEMORIE

 

CASA EDITRICE MARZOCCO

FIRENZE

(1942)

 

 

Sottovoce a Campana

 

 

Vengo a cercarti, Campana, ne' miei ricordi.

E se mi rivolgo qui a te, come una volta, quasi to fossi ancor vivo, e perchè la memoria ha bisogno di trovarsi in uno speciale stato di grazia, ha bisogno di un forte stimolo affettivo per diradare le nebbie addensate sugli anni lontani da un succedersi turbinoso di eventi.

Ascoltami, dunque. E non rimproverarmi se dopo it mio ritorno dall'Africa non ho voluto vederti. M'avevan detto che di te era vivo soltanto il corpo: e che it tuo spirito stava naufragando, ormai senza speranza, nelle tenebre tempestose di una squallida tragica notte.

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Dino Campana alla Biblioteca di Ginevra

di

ALBERTO PETRUCCIANI

Università di Roma “La Sapienza”

 

da: Biblioteche oggi • Vol. 32, n. 8, ottobre 2014

 

 

 Una foto d’epoca della sala di lettura della Biblioteca di Ginevra (Bibliothèque de Genève, Centre d’iconographie genevoise)


Una prima ricostruzione della frequentazione del poeta, per 19 giorni tra il 7 aprile e il 19 maggio 1915, e delle sue varie letture:

l’importanza della documentazione d’archivio delle biblioteche e dei loro cataloghi per la storia della cultura

La “vita errante” di Dino Campana, su cui ormai da decenni Gabriel Cacho Millet raccoglie ogni frammento di documentazione e che è stata oggetto di varie (discusse) biografie, è un inesauribile oggetto di interesse, come i suoi Canti Orfici, stampati nel 1914 – ne ricorre quest’anno il centenario – nella modestissima tipografia del suo paese, Marradi.1

Tra i viaggi e vagabondaggi del poeta – a cui molti non hanno prestato fede, ma che via via è stato in genere possibile documentare – sono noti i suoi soggiorni in Svizzera (a Berna, Ginevra, Losanna, Basilea e altre città), in Francia, in Belgio e in Argentina.

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Figura 1. Domenico Baccarini, La Bitta che allatta, olio su tela, 1904,

Pinacoteca di Faenza.

 


 

 

Faenza come la Spagna

 

Nell'aria qualche

cosa di danzante

 

di

 

Leonardo Chiari

 

 

Andando verso la piazza di Faenza lungo via Santa Maria dell'Angelo, a sinistra, a fianco dell'imponente portone del Liceo Torricelli, c'è l'ingresso della Pinacoteca. Entrando, salendo lo scalone sulla destra, si accede alla sala dove domina il San Gerolamo ligneo di Donatello, circondato da immense tele.

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Piero Santi e Gabrio Ciampalini alla "Beppa", Firenze 1970

 

 

Ricordo di Campana

 

di Piero Santi

 

da: La Nazione (Firenze), 31 maggio 1939, p. 3

 

 

Piero Santi è nato a Volterra nel 1912 ed è scomparso nella sua Firenze nel 1990.

Ho conosciuto in anni lontani Piero Santi, straordinario intellettuale fiorentino, autore di libri come: "Due di loro", "Amici per le vie" e "Il sapore della menta". Nella casa studio, all'Erta Canina, sulle colline sopra Firenze, in mezzo a librerie senza fine, spiccava un quadretto con la riproduzione a stampa di una strana poesia. Era Piazza Sarzano di Dino Campana. "Un poeta nostro che devi leggere", mi disse Piero. Per me quello è stato l'inizio del grande incontro con Dino.

Non mi ha sorpreso quindi il sapere che nel 1939 Santi scrisse questo ricordo su Dino Campana, attualissimo ancora oggi, ricco di musica e di colori, di fremiti e di poesia.

(paolo pianigiani)

 


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Bruciate le mie lettere

 

di Franco Matacotta

 

da: Successo, del 11 Gennaio 1959

 

 

Pubblichiamo oggi l’inedita e forse più straziante lettera che Dino Campana, poeta folle, inviò a Sibilla Aleramo nel 1917 prima che le porte del manicomio si chiudessero dietro di lui.

 

Violata, l’anno scorso, con la pubblicazione dell'epistolario d'amore tra Dino Campana e Sibilla Aleramo l'esplicita disposizione di Campana stesso, di bruciare le sue lettere, diviene legittimo, ora, dare alle stampe nella sua interezza questo eccezionale documento.

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Ardengo Soffici, Autoritratto. Galleria degli Uffizi, Firenze

 

 

Dino Campana a Firenze

di Ardengo Soffici

 

da

 

Ricordi di vita artistica e letteraria

Vallecchi, Firenze 1931

 

 

Un mattino d'inverno del 1913, io e Papini andavamo alla tipografia Vallecchi in via Nazionale, dove si stampava Lacerba, per dare un'ultima occhiata alla composizione e all'impaginazione - non sempre agevole - della rivista. Prima ancora che fossimo entrati nello sgabuzzino a vetri che faceva da sala di redazione per noi e insieme da ufficio direttoriale dell'amico editore, questi ci venne incontro sin sulla porta e c'indicò un individuo seduto sur un canapè nero di tela cerata, nel corridoio, il quale - ci disse - era poc'anzi venuto e desiderava di parlarci.

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carlo20bo

 
 

La notte di Dino Campana

di Carlo Bo

 

Pubblicato su "Resine",

numero doppio n. 58-59,

Marco Sabatelli Editore, Savona, 1994

 

Dagli Atti del Convegno di studi svoltosi a Genova e a La Spezia dal 11 al 13 Giugno 1992.
 
C'è nella storia della poesia italiana del Novecento un caso che prima ha stupito e disorientato e poi generato una serie di equivoci: è il caso di Dino Campana. I motivi maggiori di questo difficile approccio vanno ricercati soprattutto nella leggenda che fin da principio ha accompagnato l'opera di questo poeta. Campana era per natura un irregolare, uno che difficilmente trovava una sua vera identificazione e che nella vita quotidiana non riuscì mai a prospettarsi una sistemazione appena soddisfacente. All'origine c'è la malattia che ha avvelenato la sua esistenza, una malattia che era già della sua famiglia e che allora aveva un solo nome, la follia.
 
Nato in una famiglia della piccola borghesia, a Marradi, il 20 agosto 1885, Campana neppure nella stagione degli studi riuscì a trovare un ordine interiore. Arrivato all'università dopo aver conosciuto il collegio a Faenza, Cam­pana si iscrive alla facoltà di chimica ma non porterà mai a termine la sua carriera. In realtà il suo unico punto di riferimento era la poesia e alla passione poetica ha poi dedicato e sacrificato la tormentata serie delle sue giornate, tra disperazione ed esaltazione.

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