FEDERICO RAVAGLI

DINO CAMPANA

E I GOLIARDI

DEL SUO TEMPO

(1911-1914)

 

AUTOGRAFI E DOCUMENTI

CONFESSIONI E MEMORIE

 

CASA EDITRICE MARZOCCO

FIRENZE

(1942)

 

 

Sottovoce a Campana

 

 

Vengo a cercarti, Campana, ne' miei ricordi.

E se mi rivolgo qui a te, come una volta, quasi to fossi ancor vivo, e perchè la memoria ha bisogno di trovarsi in uno speciale stato di grazia, ha bisogno di un forte stimolo affettivo per diradare le nebbie addensate sugli anni lontani da un succedersi turbinoso di eventi.

Ascoltami, dunque. E non rimproverarmi se dopo it mio ritorno dall'Africa non ho voluto vederti. M'avevan detto che di te era vivo soltanto il corpo: e che it tuo spirito stava naufragando, ormai senza speranza, nelle tenebre tempestose di una squallida tragica notte.

Non ho avuto l'animo di seguir da vicino it tuo martirio, impotente com'ero a soccorrerti. Non ho voluto assistere un solo istante all'epilogo del tuo terribile dramma: per non meditar troppo a lungo sull'assurdo destino che inchiodava in un ricovero di alienati un uomo come te, che avevi spaziato per terre ed oceani, anelante verso orizzonti senza confine.

C'eravamo lasciati a Bologna, quando già cominciava a delinearsi, per chiari segni, il successo del tuo libro: di quei Canti Orfici che noi goliardi avevamo tenuto un poco a battesimo sui fogli della nostra scapigliatura, tra inni conviviali e rime d' amore.

E non dovevamo vederci più.

Ebbene, trent'anni dopo il tuo ingresso ufficiale nella vita della « bohème » universitaria, io ho voluto raccogliere un po' di memorie. Son tornato col pensiero e col cuore ai nostri tempi lontani: a quel periodo della mia giovinezza incauta e tumultuosa, quando tu, reduce misterioso di chi sa quali aspre avventure, portasti tra noi, con la tua veste di mendicante onorario, lo spirito regale delle tue visioni oceaniche.

Nessuno ti conosceva, allora, di tutti quei letterati che poi t'han decretato il trionfo. Eri un ignoto: eri un uomo strano e sognante, un viandante senza pace giunto a una tappa del suo cammino: eri un eccentrico studente di chimica che per laboratorio avevi scelto le strade del mondo. Non avresti certo concluso il tuo viaggio con un'analisi di gabinetto, tu, avvezzo ai trapassi lirici vertiginosi e alle sintesi vibranti di fantasie cosmiche. Eppure ti fermasti con noi. Non ti dispiacque il fervore della nostra giovinezza esuberante, senza sussiego senza gretterie senza menzogna. Sapesti apprezzare cio che in essa andavi scoprendo di leale di appassionato di generoso. Eravamo, in maggioranza, giovani di Romagna: respirasti aria della tua terra, ti sentisti a tuo agio.

Così vivesti un poco della nostra vita. Ti furorio note le nostre illusioni, i nostri crucci, le nostre bravate. Fosti testimone benevolo e disattento di una sequela di simpatiche ribalderie. Davanti ai tavoli delle nostre riunioni estemporanee, passavamo in rassegna, con superba disinvoltura, poeti e filosofi, uomini pubblici e passeggiatrici. La critica era spesso sferzante e mordace. E tu ti adattasti non di rado ad ascoltar polemiche e invettive, atti di fede e panegirici: indulgente agli sproloqui e ai clamori.

E via, la notte, per le strade anguste, sotto le arcate brune e severe, pei vicoli tortuosi e propizi a serrare it segreto delle nostre bizzarre intemperanze. E tu ancora con noi: docile mansueto taciturno.

Tu andavi « con poco canto con molto vino ». E noi si cantava anche per te. Talora indugiavi d'improvviso, sostavi un poco, ci seguivi a distanza, restavi solo. Chi sa! Forse andavi meditando, nel tuo silenzio, trame d'arte e di poesia.

Sotto i portici occhieggianti le architettoniche veuste venerande, entro le sale annebbiate pingui d'ospitalita sensuale, nei giochi d'ombra e di luce, nella plastica viva delle creature e delle cose, tu certo vedevi cie che sfuggiva al nostro sguardo: tu ascoltavi accordi, avvertivi dissonanze che non potevano giungere fino a noi. Molte pagine de' tuoi Canti Orfici son nate da questo vagabondaggio.

Poi la scena mutò d'improvviso.

Vennero le ore gravi, le giornate decisive, foriere di drammatici eventi: con le dispute, i comizi, le dimostrazioni per l'intervento.

Venne la guerra: e ci disperse. Ciascuno ande incontro alla propria sorte. Nei cimiteri del Carso, nei loculi delle certose, nei campisanti di paese.

Ricordi Guido Marinelli di Cesena, l'aristocratico tribuno e poeta? Partì volontario, indossando sotto il grigio-verde la camicia rossa garibaldina. E cadde ad Oslavia, sul varco di un reticolato nemico.

Il suo concittadino Nino Arfelli, l'acuto e faceto verseggiatore estemporaneo, quello dei fatti politici del Savio, neppur lui attese l'ordine di mobilitazione. S'era messo ad elencare in ordine epigrafico i propri titoli nel biglietto da visita: « intelligente, romagnolo, ex galeotto, volontario per la durata della guerra, studente di legge.» Sopportò stoicamente il male che lo minava nelle trincee di Monte Zebio, e morì in un ospedaletto da campo.

Ricordi Olindo Fabbri di Sarsina, gioviale di tutti, l'ossuto letterato dalle sfuriate canterine? Partì fra i primi pel fronte. E gli altri, che attendevano l'arruolamento, a cantare:

 

Sul re non punta Fabbri

L'incerlo suo franchetto

Or punta sugli austriaci

La canna del moschetto

     Bim bom bom — Al rombo del cannon.

 

Ma non morì in guerra. E' finito come te, travolto dalla follìa.

E Vittore, romagnolo tra romagnoli, agrario ed enofilo emerito, il più ardente dei goliardi... la morte non l'ha trovata sui campi di battaglia. Compiuto il suo dovere di combattente, e andato lui a cercarla: dopo aver sofferto amarezze e delusioni durante un lungo soggiorno oltre oceano e aver provato la nostalgia della patria.

Gli altri, gli scampati, i sopravvissuti, devon trovarsi ben lontano se han fatto perdere quasi tutti le loro tracce con tanto zelo. Avran ragionato un poco: « Mantenere rapporti con quelli che furon testimoni e partecipi d'una nostra esperienza dissennata... perche? Ricordare, che giova? » Certo. Col mondo a soqquadro, nessuno oggi è in vena di nostalgie. La gente saggia pensa al pane quotidiano.

Si barcamena, si guarda attorno circospetta e tira via. I tempi son duri, Campana: e gli uomini si son fatti scontrosi e suscettibili molto. E se qualcuno c'è, ancora, che si volge alla poesia in punta di spirito, bisogna volergli bene. Ma ho divagato. Dicevo dunque che di molti, di troppi non si sa più nulla. E scornparso l'universitario ad honorern e impiegato di concetto che, dopo una breve parentesi bellica, si meritò una strofetta mordace:

 

Ughelli, uomo elettrico

A chiacchiere non bada

E pur essendo miope

Ha visto la sua strada...

 

E Marchetti oratore e bevitore gagliardo, Cometta leguleio e caricaturista, Sbisà della « parrocchia veneta  »; e Gamberini, Righi, Piccini, Galiani, Docci e tanti altri della compagnia, son da notare tra i dispersi. Sicchè qui ancora in giro siam pochi: ancora in giro ad arricchire... le statistiche demografiche. Quanto a me... che debbo dirti? Giù giù nell'anima son rimasto quel ch'ero, o m'illudo di essere: devoto della poesia e della notte, avverso alla mercatura, nemico del viver diplomatico.

Quando venne la guerra, partii anch'io. Ma feci poco, feci nulla: per via di quel paio d'occhi che sai. La satira goliardica, che aveva vestito il grigio-verde, naturalmente non tacque:

 

Il nostro buon Ravagli

Perduto il suo plotone

Se n'e tomato indietro

Più orbo che... minchione.

      Bim bom bom — Al rombo del cannon.

 

Fu allora che piantai codici e pandette: e andai in giro per l'Italia a insegnare che « il soggetto fa l'azione e l'oggetto la riceve ». La soddisfazione non era grande, in verità: ma io, imperterrito, a snocciolar per le scuole gli affluenti di destra e di sinistra, Cornelia madre dei Gracchi e « alea iacta est ».

La mia sorte pareva decisa senza rimedio. Ormai navigavo verso il porto placido delle soddisfazioni sedentarie, del dovere compiuto. Sarei finito benemerito dell'istruzione pubblica, pensionato e cavaliere. Fino a quando provai disgusto di quella vita: cercai di evadere. M'imbarcai per l'Africa: e pur non rinunciando a Cornelia e alle sue gioie, viaggiai lungamente per deserti cammini.

Ero attratto dal fascino delle giornate altalenanti e delle notti, all'addiaccio: dal mistero di genti barbare e di paesaggi biblici, dal miraggio d'ignote lontananze. E per le solitudini sahariane, nei silenzi d'azzurro e nei meriggi di fiamma, per hammade ramle quando ho pensato di venirti a cercare ne' miei ricordi.

Leggenda... Si, certo. Le vicende della tua vita non possono ridursi a biografia ben ordinata, col relativo corredo di fatti accertati, di date ineccepibili: le creazioni tormentate della tua arte non si possono elencare, per comodità degli studiosi, in uno schedario cronologico. Tutta la ma esperienza spirituale e corporea si sottrae alle indagini dei pedanti.

Così è nata la « leggenda Campana ». Perche hai viaggiato il mondo alla ventura, e hai scordato di conservare i docurnenti del tuo doloroso cammino; perchè hai commesso l'errore di non tenere il diario del tuo passaggio per le solitudini della pampa o nei tumulti degli angiporti. Dovevi tracciare il tuo itinerario: spedir biglietti da visita e cartoline illustrate da ogni stazione di transito: denunciare, dovevi, la dimora o la residenza abituale.

Perchè non hai tenuto il libro mastro della tua arte, con l'elenco dei poeti preferiti, il catalogo dei libri letti e la bella copia delle tue liriche con la data della composizione, si disturbano ora e s'arrabattano a districare il brogliaccio della tua fantasia creatrice e il quaderno delle prime note: a mettere un po' d'ordine nel tuo guardaroba in teriore: a decifrare sgorbi, a formulare ipotesi, a trar deduzioni, a risolvere l'enigma cronologico delle varianti. Così è nata la « leggenda Campana ».

Ma tu eri un ribelle alle leggi del quieto vivere, alle usanze della gente bennata, ai saggi consigli delle persone sagge. Eri senza fissa dimora, perche inseguivi un tuo sogno allucinante d'infinito. Eri un apolide, perche la poesia di cui andavi disperatamente in traccia ha la cittadinanza del mondo: tu, che pel mondo portavi la « scaglia di lavoro... del povero italiano non si sa ». La tua leggenda è qui.

E non saran certo queste scarne memorie del nostro tempo lontano a gettare un po' di lue sul dramma della tua disperata avventura.

Leggenda e mistero e poesia: e la tua vita fu poesia del mistero.

 

 

 Federico Ravagli