Dino Campana alla Biblioteca di Ginevra
di
ALBERTO PETRUCCIANI
Università di Roma “La Sapienza”
da: Biblioteche oggi • Vol. 32, n. 8, ottobre 2014
Una foto d’epoca della sala di lettura della Biblioteca di Ginevra (Bibliothèque de Genève, Centre d’iconographie genevoise)
Una prima ricostruzione della frequentazione del poeta, per 19 giorni tra il 7 aprile e il 19 maggio 1915, e delle sue varie letture:
l’importanza della documentazione d’archivio delle biblioteche e dei loro cataloghi per la storia della cultura
La “vita errante” di Dino Campana, su cui ormai da decenni Gabriel Cacho Millet raccoglie ogni frammento di documentazione e che è stata oggetto di varie (discusse) biografie, è un inesauribile oggetto di interesse, come i suoi Canti Orfici, stampati nel 1914 – ne ricorre quest’anno il centenario – nella modestissima tipografia del suo paese, Marradi.1
Tra i viaggi e vagabondaggi del poeta – a cui molti non hanno prestato fede, ma che via via è stato in genere possibile documentare – sono noti i suoi soggiorni in Svizzera (a Berna, Ginevra, Losanna, Basilea e altre città), in Francia, in Belgio e in Argentina.
Figura 1. Domenico Baccarini, La Bitta che allatta, olio su tela, 1904,
Pinacoteca di Faenza.
Faenza come la Spagna
Nell'aria qualche
cosa di danzante
di
Leonardo Chiari
Andando verso la piazza di Faenza lungo via Santa Maria dell'Angelo, a sinistra, a fianco dell'imponente portone del Liceo Torricelli, c'è l'ingresso della Pinacoteca. Entrando, salendo lo scalone sulla destra, si accede alla sala dove domina il San Gerolamo ligneo di Donatello, circondato da immense tele.
Piero Santi e Gabrio Ciampalini alla "Beppa", Firenze 1970
Ricordo di Campana
di Piero Santi
da: La Nazione (Firenze), 31 maggio 1939, p. 3
Piero Santi è nato a Volterra nel 1912 ed è scomparso nella sua Firenze nel 1990.
Ho conosciuto in anni lontani Piero Santi, straordinario intellettuale fiorentino, autore di libri come: "Due di loro", "Amici per le vie" e "Il sapore della menta". Nella casa studio, all'Erta Canina, sulle colline sopra Firenze, in mezzo a librerie senza fine, spiccava un quadretto con la riproduzione a stampa di una strana poesia. Era Piazza Sarzano di Dino Campana. "Un poeta nostro che devi leggere", mi disse Piero. Per me quello è stato l'inizio del grande incontro con Dino.
Non mi ha sorpreso quindi il sapere che nel 1939 Santi scrisse questo ricordo su Dino Campana, attualissimo ancora oggi, ricco di musica e di colori, di fremiti e di poesia.
(paolo pianigiani)
Bruciate le mie lettere
di Franco Matacotta
da: Successo, del 11 Gennaio 1959
Pubblichiamo oggi l’inedita e forse più straziante lettera che Dino Campana, poeta folle, inviò a Sibilla Aleramo nel 1917 prima che le porte del manicomio si chiudessero dietro di lui.
Violata, l’anno scorso, con la pubblicazione dell'epistolario d'amore tra Dino Campana e Sibilla Aleramo l'esplicita disposizione di Campana stesso, di bruciare le sue lettere, diviene legittimo, ora, dare alle stampe nella sua interezza questo eccezionale documento.
Ardengo Soffici, Autoritratto. Galleria degli Uffizi, Firenze
Dino Campana a Firenze
di Ardengo Soffici
da
Ricordi di vita artistica e letteraria
Vallecchi, Firenze 1931
Un mattino d'inverno del 1913, io e Papini andavamo alla tipografia Vallecchi in via Nazionale, dove si stampava Lacerba, per dare un'ultima occhiata alla composizione e all'impaginazione - non sempre agevole - della rivista. Prima ancora che fossimo entrati nello sgabuzzino a vetri che faceva da sala di redazione per noi e insieme da ufficio direttoriale dell'amico editore, questi ci venne incontro sin sulla porta e c'indicò un individuo seduto sur un canapè nero di tela cerata, nel corridoio, il quale - ci disse - era poc'anzi venuto e desiderava di parlarci.
La notte di Dino Campana
di Carlo Bo
Pubblicato su "Resine",
numero doppio n. 58-59,
Marco Sabatelli Editore, Savona, 1994
Dino e Antonia
di Emiliano Cribari
Milano e Marradi. Le Alpi e l’Appennino. Antonia Pozzi e Dino Campana. Due anime inquiete. Due poeti. Siamo agli inizi del Novecento.
Dino, in montagna, non cammina: fugge. Antonia invece ammira. Estasiata. Verso l’unico grande amore corrisposto della sua vita: la montagna. In alto, Dino cerca un riparo: in paese lo chiamano il matto; morirà in manicomio (di setticemia) dopo quattordici anni di reclusione. È il 1 marzo 1932. Antonia no: sceglierà dove morire. "Ho visto un pezzo di prato libero che mi piace" scriverà nel suo diario un anno prima. "Pensare di essere sepolta qui non è nemmeno morire, è un tornare alle radici. Ogni giorno le sento più tenaci dentro di me. Le mie mamme montagne".
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