Leonetta Cecchi Pieraccini, ritratto di Emilio, 1919
Emilio Cecchi: C. LINATI, D.CAMPANA
Pubblicato sulla "Tribuna" del 21 Maggio 1916
di Emilio Cecchi
Con Duccio da Bontà (1913), Carlo Linati chiuse i suoi quaderni di scuola. Nelle immagini d’alcuni artisti preferiti, aveva finito di riconoscer la propria sensibilità. E ormai s’armonizzava, col Baudelaire e col Laforgue, dentro quel caro impressionismo dossiano, impregnato di odor locale un po’ stantio, autorevole di un’agrezza d’eloquio provinciale di nonni, e bizzarro di tutte le curiosità miscellanee di biblioteca. Una sua lirica la trovava principalmente nel dire l’inquietudine di pubescenza; e l’incontro della sua gentil febbre vissuta con l‘allegrezza del primo possesso stilistico dava al suo ritmo la vagante leggiadria ch’è nel passo dei vannini, corti e intrampolanti sulle gambe appena snodate.
L'importante saggio di Alfredo Gargiulo, da "L’Italia Letteraria", IX, 1933, 9 pp. 1-2.
La redazione ringrazia gli amici Gabriel Cacho Millet e Luigi Corsetti della Biblioteca di Poggio a Caiano,
che hanno reso possibile questa pubblicazione.
Pur attraverso il solito schema dell’ « infelice di genio », la figura di Campana uomo è abbastanza nota. E comunque son da vedere, per la biografia, l’articolo del Soffici: Dino Campana a Firenze, e la prefazione del Binazzi all’Operacompleta. Senonchè, circa le doti del Campana quali risultarono piuttosto dalla vita, a noi non sembra utile alcun rilievo: tranne forse questo. Racconta il Binazzi (ed altre testimonianze concordano): « a certi momenti, quando le facoltà luminose del suo intelletto, accendendosi tutte, lo ponevano in istato di grazia, riusciva a dir delle cose addirittura meravigliose, anche per profondità. Sentenziava di popoli e di stirpi con acume di storico lungimirante, caratterizzava l’arte o la poesia dei vari popoli con tocchi da maestro ». Infatti, a ben guardare, ogni altro dato biografico non c’interessa; se non è poi neanche vero che le deficienze dello scrittore già accusino specificamente lo squilibrio cui alla fine soggiacque l’uomo.
Il quadro di Soffici esposto alla mostra futurista organizzata alla Libreria Gonnelli di Firenze, il 30 Novembre 1913.
La mostra ebbe uno straordinario visitatore orfico: Dino Campana
Faccia, zig zag anatomico che oscura
La passione torva di una vecchia luna
Che guarda sospesa al soffitto
In una taverna café chantant
D'America: la rossa velocità
Di luci funambola che tanga
Spagnola cinerina
Isterica in tango di luci si disfà:
Che guarda nel café chantant
D'America:
Sul piano martellato tre
Fiammelle rosse si sono accese da sé.
A Mario Maranzana « Pazzo sul serio »
G.C.M.
QUASI UN UOMO
Visita al poeta Dino Campana nel Manicomio di Castel Pulci
due tempi e una pausa
di
GABRIEL CACHO MILLET
Versione italiana di Mario Maranzana e dell'autore
TIPOGRAFIA COLANGELO
ROMA
PRIMO TEMPO
Il palcoscenico vagamente allucinante nella sua desolazione è vuoto. Non c'è sipario. Mostra una sala del manicomio di Castel Pulci (Firenze) nella quale sono in corso lavori di ammodernamento.
Due praticabili a gradoni, uno a destra uno a sinistra, potrebbero indicare la prima fase della costruzione di tribune per universitari che studieranno nel futuro i malati mentali. Sia come sia, il direttore dell'istituto ha ordinato di porre sui gradoni dei praticabili delle sedie per accogliere un gruppo di persone che sono venute a visitare un infermo illustre: il poeta Dino Campana (1885-1932).
Dino Campana, poeta a cavallo della cometa di Halley
Una biografia-racconto di Vassalli
di Maurizio Cucchi
(recensione a : Sebastiano Vassalli: «La notte della cometa». Einaudi, 240 pagine, 18.000 lire)
Su Tuttolibri, anno XI, n. 436. Supplemento a La Stampa del 5 Gennaio 1985
Chissà, forse sarebbe meglio se artisti, scrittori, poeti, potessero scomparire nell'opera, dandosi da fare, prima di andarsene, per cancellare ogni possibile traccia, per distruggere ogni documento o testimonianza della propria vita. È commovente l'interesse di chi si affanna attorno alla biografia di un autore amato; ma è sempre, anche, l'attività del biografo, o del lettore di biografie, un po' indecente e crudele.
GUIDO TALLONE
Bergamo 11.5.1894 - ALPIGNANO 30.9.1967
di Gigliola Tallone
Guido Tallone dipinge sotto i tamerici nel giardino di Alpignano
Allo zio Guido non piacevano i dolci e provava vero ribrezzo verso le caramelle, al punto che a me, alle mie sorelline Laura e Donatella e ai nostri amichetti, dava una mancetta per ogni carta di caramella trovata nel prato della casa di Alpignano. Faceva una eccezione per il panettone, una sola volta all’anno e sempre pochi giorni prima di Natale. Andava al Cova di via Montenapoleone, comprava un panettone, ne strappava un pezzo con le mani e poi lo faceva confezionare nuovamente per farlo recapitare subito a casa nostra, in via Bigli 6. All’arrivo del fattorino, nella sua bella divisa da operetta, era tutto un salto di gioia. Mamma! Papà! Lo zio! È arrivato lo zio Guido! La mamma stava al gioco, siete sicure bambine? Aprilo! Aprilo! E una volta scoperto il panettone con la zampata dello zio, ci infilavamo i cappotti e via verso il Cova. Il tragitto era brevissimo e non c’era alcun pericolo per noi bambine, nemmeno nei pomeriggi invernali milanesi già scuri, dato il rarissimo traffico di auto degli anni ’50. Giunte al Cova era facile trovare lo zio. Dove era un’assemblea di gente festosa, lì in mezzo era il nostro zio Guido.
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