Ritorno del poeta
di Giuseppe Raimondi
Da: La Fiera Letteraria della domenica 11 Giugno 1953
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“In ogni caso né da vivo e tanto meno da morto, si avrà ragione di me”
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E la leggenda di Campana continua. Continua in braccio ai terrori filologici degli zelanti, o preda della critica che vuole servirsene a rovescio, per sospingere in un mondo di leggenda anche la figura concreta dell'uomo, e tende a interpretare il suo lavoro come il prodotto di una notte del «sabba» futuristico, la facile pazzia del secolo. Campana medesimo, durante la vita terrena, si compiacque forse di alimentare la leggenda, appoggiandosi ad elementi di costume letterario che, nella provinciale Italia degli anni tra il '912 e il '915, recavano con voce di favola delle vicende, non tanto lontane, di Rimbaud, Verlaine, di parnassiani e simbolisti.
Irrazionale e assurdo nella poesia di Campana
di Mario Petrucciani
da: Idea, luglio 1951
Sia ben chiaro che l'Indagine sullo « irrazionale » del Campana non intende in nessun modo ricondurre la genesi della sua poesia ai fattori biografici e clinici da cui fu travolta la sua esistenza terrena, ma aspira ad un approfondimento esclusivamente critico della sua opera, perchè ne risulti meglio individuata la posizione storica e più acutamente chiarita la forza di commozione.
MEMORIE SU DINO CAMPANA
di Luigi Bartolini
Da Nuova Antologia, 1 ottobre 1941
Ero andato ad abitare in casa ďuno di quei fiorentini che sanno legare pietrine a musaico. Vecchio, bonario, tollerava tutto. Tollerava che non fossi rientrato in casa, di notte, passandola al vento buio dell´Arno o del Piazzale Michelangelo. Fra le altre cose, tollerò che io tenessi a dormire, nella mia camera, per alcuni giorni, forse una quindicina, Dino Campana. Egli dormiva in terra sopra una stuoia dozzinale.
Diceva che non gli importava di dormire per terra: e, sopra il punto del suo grande timore di riuscire ad essere di peso alle persone, tutti quelli che l´hanno conosciuto sanno quanto egli fosse delicatissimo, pudico come una vergine fanciulla che abbia paura di spogliarsi, anche se sta chiusa a chiave dentro la camera. Infatti Campana aveva accettato di venire a dormire nella mia casa perché proprio non avrebbe potuto fare a meno. Nessun altro, allora, gli avrebbe dato ospitalità.
Dino Campana ricorda la sua prima gioventù
Olimpia, "la figlia del droghiere svizzero che stava a Marradi"
ricerca di Claudio Mercatali e Mario Catani
dal Blog della Biblioteca di Marradi
Dino Campana dopo i Canti Orfici (settembre 1914) non pubblicò più quasi niente.
Ormai la stagione della poesia alta per lui era passata e rapidamente la malattia stava prendendo il sopravvento.
Ci sono giunti frammenti, appunti e abbozzi del 1915 e 1916 in cui si nota chiaramente il suo degrado. Però da questi a volte emerge ancora qualche lampo di genio.
Un inedito di Dino Campana
di N. F. Cimmino
da: Lo Stato, Periodico politico, direttore Giovanni Baget-Bozzo
anno II - n. 9 - 3 Marzo 1961
Stamperia Tiber - Roma
Dino Campana visse fra il 1885 e il 1932, ma gli ultimi quattordici anni li passò nel manicomio di Castel Pulci : fu infatti internato il 28 gennaio 1918, mentre ancora infuriava la guerra. La sua vita fu un susseguirsi ininterrotto di sofferenze, con il male sempre in agguato, che lo rendeva incapace di fermezza e di distensione, per cui vagò incessantemente da Marradi, ove era nato e dove il padre insegnava, per l'Italia, in molti paesi europei, in Argentina ove si recò nel 1908 esercitando vari mestieri per vivere, restandovi solo pochi mesi. Un amore gli si conosce, quello per Sibilla Aleramo, ma neppure ad esso potè ancorarsi, sicché ben presto la scrittrice dovette allontanarsi da lui, dopo scene tempestose e dolorose che ferirono e prostrarono entrambi.
Guido La Regina, autore della serigrafia dedicata ad Arabesco - Olimpia. Foto Oscar Savio, Roma
Una serigrafia per "Arabesco - Olimpia" di Dino Campana
di Mario Petrucciani
Presentazione di Mario Petrucciani sui quaderni di Letteratura e Interpretazione Figurativa II, 3,
De Luca ed., Roma 1970
Balenante di simboli strappati alle tenebre dell'ineffabile, sospesa tra le regioni del caos e quelle dell'eden, la poesia di Campana sembra concentrare la sua vitalità fondamentalmente nella audacia con cui - più di ogni altra, almeno in Italia - combatte la sua ostinata battaglia contro l'automatismo delle comuni certezze.
Interpretando così il salto radicalmente innovatore della lezione simbolista, Campana viene a collocarsi nel punto in cui la grande stagione decadente d'Europa si apre il varco sull'anno zero della poesia pura, di cui egli resta quindi tra noi l'iniziatore, ma anche il modello meno imitabile, e il più inquietante. Perché in quel punto, mentre delinea sorprendenti anticipazioni della lettertura del 900, fino ai nostri giorni - l'erotismo, l'alienazione tecnologica delle metropoli, il rifiuto dell'ordine, Campana sceglie per sé il compito più arduo: quello del messaggero orfico.
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