Figura 1. Domenico Baccarini, La Bitta che allatta, olio su tela, 1904,

Pinacoteca di Faenza.

 


 

 

Faenza come la Spagna

 

Nell'aria qualche

cosa di danzante

 

di

 

Leonardo Chiari

 

 

Andando verso la piazza di Faenza lungo via Santa Maria dell'Angelo, a sinistra, a fianco dell'imponente portone del Liceo Torricelli, c'è l'ingresso della Pinacoteca. Entrando, salendo lo scalone sulla destra, si accede alla sala dove domina il San Gerolamo ligneo di Donatello, circondato da immense tele.

 

Proseguendo, salendo una scala di legno, si giunge a un lungo corridoio gremito di opere. Verso la fine del corridoio, sulla destra, si trovano appese alcune tele stupefacenti.

C'è un quadro in particolare sulla parete, impressionante, che sembra bucare Ia superficie e fissare negli occhi l'osservatore: da una grande macchia rossa emerge un volto carnoso, con le labbra rosse, gli occhi grigio azzurri, i capelli nerissimi appena scompigliati. E una donna seduta che allatta, e guarda.

È un quadro di uno dei più grandi artisti dei primi del Novecento, il faentino Domenico Baccarini (Faenza, 1882 — Faenza, 1907), pittore, scultore, incisore, ceramista.

 

https://www.pinacotecafaenza.it/collezioni-e-storia/artisti/baccarini/ 

 

C'è nello sguardo della donna qualcosa di dolce e perverso: sembra protendersi in avanti, sembra volere qualcosa. Si vede dagli occhi che ha sofferto, che custodisce un segreto, ma allo stesso tempo accenna con gli occhi un sorriso malizioso. È come se con lo sguardo cercasse di sedurre lo spettatore e di respingerlo, custodendo gelosamente il neonato che è avvolto, come il corpo di lei rotondeggiante, in un drappo rosso, carnale, tra il cremisi e il carminio. 

È uno sguardo sessuale e materno allo stesso tempo. È una madonna col bambino che mescola amore sacro e amor profano. Sullo sfondo ci sono panni bianchi appesi, una tavola con un pasto appena consumato, un accenno di natura morta, un fiasco di vino rosso.

Le linee verticali provocano tensione; il punto di fuga, seguendo le linee proiettate dalla corda che sostiene i panni e dalla superficie del tavolo, si trova alla destra al di fuori del quadro, come se la stanza proseguisse in lontananza. I contorni, gli elementi circostanti, come le mani della donna, sono sfumati, graffiati, appena abbozzati. Definito e terso è solo il viso della donna, il suo sguardo carnale.

La donna raffigurata è Elisabetta Santolini, la donna che Baccarini amò tutta la vita: la chiamava affettuosamente la "Bitta", una specie di diminutivo di Elisabetta (il quadro, con un gioco di parole, si chiama la Bitta che allatta). La bimba allattata è Maria Teresa, loro figlia, che nacque il 4 agosto 1904: il padre dipinse questo quadro lo stesso anno, non molto tempo dopo. Aveva 22 anni. Morirà di tubercolosi nemmeno 3 anni dopo.

 

 

Figura 2. Domenico Baccarini, Autoritratto, olio su tela, 1903,

Pinacoteca di Faenza. Fonte Wikimedia Commons.

 

Quando Baccarini contrasse la malattia, la Bitta lo abbandonò per un altro pittore conosciuto una sera a Imola, a un carnevale. Da quest'ultimo ebbe altri figli. Nel 1909 fu trovata agonizzante in una panchina a Cervia. Anche lei morì a 25 anni.

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https://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/elisabetta-santolini-detta-la-bitta/ 

 

Pur essendo morto che era ancora un ragazzo, Domenico Baccarini ha studiato in tutto il mondo. Povero, schivo ma carismatico, affascinante, e celebre anche per aver riunito intorno a sé, in un sodalizio artistico e intellettuale (il Cenacolo Baccarini), i più grandi artisti faentini, e non solo, del suo tempo.

Una delle vie più importanti di Faenza è a lui intitolata: Corso Baccarini. Tutta la vita cercò di cogliere nella sua opera l'essenza della sua amata, la Bitta.

 

 

 

Figura 3. Altre opere di Baccarini raffiguranti la Bitta.

Per la prima immagine, Wikimedia Commons.

Per la seconda, https://www.nazionefutura.it/politica/baccarini-e-la-sua-bitta-la-boheme-romagnola/.

La terza è un particolare di La Bitta con le mani incrociate, Pinacoteca di Faenza

(foto di Leonardo Chiari)

 

 

I critici hanno scritto che Baccarini sapeva scavare nei tratti fisionomici dei suoi personaggi,

«frugare» con il pennello dentro i corpi dei suoi soggetti. Nella Bitta che allatta spiccano, oltre il nero dei capelli e il rosa della carne, il colore del latte, il colore del sangue. Questo modo di dipingere forte, a pennellate spesse, quasi violente, con tratti marcati, contorni neri, ma soprattutto con attenzione maniacale al corpo, è definito espressionismo (che è un po' la controparte dell'impressionismo, a cui forse siamo più abituati).

Per farsi un'idea dell'espressionismo si possono guardare le opere di Edward Munch (come il celeberrimo Urlo, talmente celebre che è diventato un'emoticon) o le opere di Egon Schiele (che praticamente dipinse solo corpi deformati). L'espressionismo si afferma in Germania ai primi del Novecento.

II faentino Baccarini, pur avendo spaziato dal Simbolismo al Liberty, è stato uno dei grandi pittori dell'espressionismo, uno dei primi a portarlo in Italia. Infatti, proseguendo lungo il corridoio della Pinacoteca, si accede a un'altra sala dove è esposto un imponente trittico di Baccarini, L'umanità di fronte alla vita (Le passioni umane).

 

 

Figura 4. Domenico Baccarini, L’umanità di fronte alla vita (Le passioni umane),

trittico, olio su tela, 1904-1906,

Pinacoteca di Faenza

(foto di Leonardo Chiari)

 

 

Si tratta di un'opera fortemente espressionista. E in quell'ammasso di corpi che sembra uscito da un girone dantesco, al centro, spunta un viso. È il viso della Bitta. Credo però che la più bella definizione dell'arte di Baccarini I'abbia data un poeta (anch'egli a suo modo espressionista), uno dei più grandi poeti del Novecento, Dino Campana (Marradi, 1885 — Scandicci, 1932). Campana, che a Faenza e allo stesso museo dedicò una delle più belle pagine dei Canti Orfici, vide le opere di Baccarini, e ne rimase ammaliato.

 

https://www.pinacotecafaenza.it/mostre/campana/ 

 

Così scrive nei suoi appunti, nel Taccuinetto Faentino:

 

Non so se sia conosciuto nel campo dell'arte un certo Baccarini di Faenza morto a 25 anni.

Suo simbolismo naturalistico. La matrona romagnola!!!

 

Chissà che la matrona romagnola non sia proprio la Bitta. Ma andiamo con calma: il poeta di Marradi definisce l'arte del pittore faentino simbolismo naturalistico. Questa definizione, un po' difficile, quasi ossimorica, è particolarmente importante perché può essere applicata, almeno per Campana, a tutta Faenza, a tutta la Romagna.

Cioè: Faenza, la sua vita, l'aria che si respira, la sua essenza, può essere definita simbolismo naturalistico. Per capire davvero Faenza bisogna aver capito I'arte di Baccarini, suo illustre cittadino. E non solo: simbolismo naturalistico è anche ciò che definisce Ia Spagna, Ia sua vita, Ia sua arte, e perciò Faenza neII'immaginario del poeta è come Ia Spagna.

Apparentemente, Ia Romagna e Ia Spagna hanno in comune solo una rima; e invece Campana ci dice che se capiamo Baccarini e il simbolismo naturalistico possiamo "gemellare" Faenza con Ia Spagna. In che modo? Per capire fino in fondo questo strano gemellaggio Faenza-Spagna bisogna fare, pur rimanendo in Pinacoteca, un passo indietro, un passo indietro nel tempo!

Di fronte alla Bitta che allatta chiudiamo gli occhi e proiettiamoci in un'estate torrida intorno agli anni '10: in quel tempo il giovane Campana viene qui, al museo (aveva fatto il Liceo classico Torricelli Iì accanto), e vede, oltre alle opere di Baccarini, delle antiche stampe. Rimane colpito da una stampa in particolare: il Sileno ebbro del pittore spagnolo Jusepe de Ribera (Xativa, 1591 - Napoli, 1652).

 

 

 

Figura 5. Ribera detto "Lo Spagnoletto", Sileno ebbro, acquaforte, 1628.

https://www.pinacotecafaenza.it/mostre/campana/5/

 

Ribera è stato un grandissimo pittore spagnolo del Seicento attivo principalmente a Napoli. In Italia è conosciuto con il soprannome di Spagnoletto. Per cosa è famoso? Per dipingere il corpo, rifacendosi a Caravaggio, con estremo naturalismo, con crudezza, lasciando lo sfondo del quadro, come a teatro, tutto nero, nella tenebra (la sua tecnica si chiama appunto tenebrismo, ma mi sembra che di -ismi ne abbiamo gia usati abbastanza).

L'arte dello Spagnoletto è tipicamente barocca. D'altro canto, la Spagna è stata la patria del Barocco con il celebre Siglo de Oro, il secolo del teatro. Guardando quella stampa di Ribera Campana torna indietro con la mente e con il cuore all'America latina dove è stato immigrato qualche anno prima: là, in Argentina, ha fatto il pianista nei caffè concerto, ha imparato la musica latina, ha conosciuto le danzatrici spagnole, ha danzato con loro. E allora la danza del Sileno ebbro della stampa si trasforma, sotto i suoi occhi, in una specie di danza latina, come il flamenco o il tango.

Comincia addirittura a sentire le chitarre di Spagna, l'eco dei secchi accordi che diventano un sottofondo sonoro alla sua visita. E vede animarsi la stampa di Ribera: le figure danzano —la danza elemento dionisiaco, la danza elemento sacro al dio Dioniso (il dio greco dell'ebbrezza, del vino). Così Faenza tutta comincia a diventare, nella sua mente, dionisiaca, come «dionisiaca» è la danza di Ribera, come «dionisiaca» è la Spagna carnale danzante. E Baccarini?

Torniamo al simbolismo naturalistico. Immaginate di sentirvi un po' macabri e di voler rappresentare simbolicamente la morte (nel Seicento, l'epoca del Barocco, si faceva spesso). Come simbolo della morte scegliete un teschio. Ma non fate un teschio stilizzato; anzi dipingete con precisione tutti i dettagli, in maniera estremamente realistica, come si trattasse di uno studio anatomico, di una fotografia.

Avrete dipinto un simbolo della morte, cioè il teschio, in maniera naturalistica. Questo è il simbolismo naturalistico. E dato il soggetto un po' macabro che avete scelto (ricordate l'Urlo di Munch, che tra l'altro somiglia a un teschio) siete stati anche un po' espressionisti.

Non è affatto un'operazione da poco: Simbolismo e Naturalismo sono state le maggiori correnti artistico-poetiche di fine Ottocento (si pensi a Baudelaire e Zola). II simbolismo naturalistico le fonde insieme. Ecco quello che fa lo Ribera lo Spagnoletto, ecco quello che fa, secoli dopo e in modo nuovo, Baccarini. Ed ecco perché Campana esordisce nella sua pagina sul museo così: «Il museo di Faenza. Ribera e Baccarini», istaurando fin da subito un collegamento fra i due pittori; e di conseguenza tra Faenza e la Spagna.

Va da sé che simbolismo naturalistico è anche una perfetta definizione della poesia di Dino Campana, oltre che dell'arte di Baccarini. E magari adesso sarà un po' più chiaro quello che Campana, che ha fama di essere uno dei poeti più difficili del mondo, annota nel suo Taccuinetto prendendo appunti su Faenza:

Faenza è l'immagine della danza latina... Spagna danzante. Spagna simbolismo naturalistico.

Pure non mi nascondo che è per il senso di liberazione che mi dà questo simbolismo naturalistico che io amo Faenza. Come m'inebria la Spagna.

II collegamento Spagna-Faenza è stato in parte suggerito dal confronto Ribera-Baccarini, e forse proprio dal confronto Sileno ebbro-Bitta che allatta: in entrambe le opere c'è il tema della sessualità, I'elemento dionisiaco, c'è il riferimento al vino. E poi la Faenza di Campana è rossa, come rosso era allora il palazzo del Liceo e della Pinacoteca.

Ancora: rosse (e nere!) sono le matrone romane, rosse (e nere!) sono le ballerine spagnole (tango o flamenco che sia). Quando Campana vede Baccarini e parlando del suo simbolismo naturalistico esclama: «La matrona romagnola!!!» con 3 punti esclamativi, come chi ha trovato qualcosa, sta forse osservando La Bitta che allatta.

 

 

 

Figura 6. Partendo da sinistra, la prima è Una matrona Romana di William Godward (1905), la seconda è

La danzatrice spagnola di Giovanni Boldini (1900), la terza è La Bitta che allatta (1905).

 

Forse nella mente di Campana La Bitta, la donna amata da Baccarini, è il simbolo naturalistico di Faenza. Certo il collegamento tra Faenza e la Spagna è a dir poco arzigogolato. Per paragonare Faenza e la Spagna siamo dovuti passare per Baccarini, per l'espressionismo, per l'arte cruda dello Spagnoletto, poi per il barocco, per il teatro, per il «dionisiaco», per la danza fino al flamenco o al tango argentino.

Perdersi lungo tutti questi collegamenti fa parte del gioco: l'artista è colui che trova collegamenti imprevedibili tra le cose. Sempre nello stesso brano Campana scrive infatti:

«Il valore dell'arte non sta nel motivo ma nel collegamento.....» E pensare che per seguire fino in fondo i collegamenti faentini di Campana dovremmo ancora scomodare Dürer, Michelangelo, Shakespeare, Puvis de Chavannes, Nietzsche e molti altri. Fermiamoci qui.

Se poi non siamo tanto inclini ai collegamenti (non ne facciamo più dalla tesina delle superiori quando dovevamo collegare tutte le materie) possiamo sempre imboccare il collegamento (stradale) che porta in piazza: dalla Pinacoteca ci saranno, dritto per dritto, 300 metri. Del resto è lo stesso poeta a dirci che per capire il simbolismo naturalistico di Faenza bisogna andare in piazza, viverla, parlare con la gente (senza tanta «filosofia»), ascoltare i discorsi, il sottofondo sonoro.

Piazza del Popolo di Faenza è una delle più belle piazze d'Italia. Sempre per usare le immagini campaniane sembra un grande caffè concerto, un grande palcoscenico all'aperto, un immenso scenario teatrale, con gli archi, le logge, la «grossa torre barocca» seicentesca che domina su tutto. 

«E già la grossa torre barocca è vuota e si vede che porta illuminati i simboli del tempo e della fede»: il simbolo del tempo è l'orologio, il simbolo della fede e la scultura marmorea seicentesca della Madonna col Bambino (contraria e complementare alla Bitta che allatta) incastonata nella torre. Sono tutti simboli profondamente barocchi! E siccome, ascoltando i discorsi,  «la vita ha qui un forte senso naturalistico. Come in Spagna», ecco di nuovo, questa volta incarnato nella viva piazza, il simbolismo naturalistico di Faenza.

 

 

 

Figura 7. Piazza del Popolo di Faenza.

Foto di Leonardo Chiari.

 

E per davvero passeggiando per la piazza dionisiaca di Faenza si respira nell'aria  «qualche cosa di danzante» - sarà la bellissima luce rossastra della sera che si deposita sui mattoni; saranno il Duomo, le logge, il palcoscenico coi tendaggi, le voci, i suoni, la torre barocca che sembra innestata qui da una città spagnola.

Forse basta immedesimarsi. Se poi siamo fortunati, e nella luce rossastra della piazza cade qualche accordo di chitarra (qualche artista di strada), si potrebbe per davvero sentire nell'aria un tocco di Spagna; si potrebbe davvero sentire liberarsi per la piazza, tra le voci, i passi e le luci, come in un caffè concerto, l'anima latina, romagnola, spagnola, carnale - il barocco, il teatro, il tango, Dioniso, il profumo di piada, il simbolismo naturalistico... non senza prima aver guardato la Bitta negli occhi, in via Santa Maria dell'Angelo 9.