PRESENTATA LA NUOVA EDIZIONE ANASTATICA DE “IL PIU’ LUNGO GIORNO”
di Silvano Salvadori
Marradi, 21 agosto 2020
Giovedì 20 agosto, centotrentacinquesimo genetliaco del poeta Dino Campana è stata presentata a Marradi la ristampa anastatica del manoscritto “Il più lungo giorno”. Erano presenti, oltre alla presidente del Centro, Mirna Gentilini, il vicepresidente, Rodolfo Ridolfi, e il prof. Stefano Giovannuzzi dell’Università di Perugia.
La prof.ssa Gentilini, ha ricordato l’emozione provata nel 1973 al convegno “Campana Oggi” - fondamentale per subire il “contagio” campaniano - promosso dal Gabinetto Viesseux di Firenze. Il convegno fu organizzato coi massimi studiosi dopo che era stato reso pubblico il ritrovamento del manoscritto fra le carte di Soffici con un articolo di Mario Luzi sul “Corriere della Sera” del 17 giugno 1971.
La ristampa anastatica del manoscritto “Il più lungo giorno” in 500 copie numerate: evento
di grande spessore culturale al Centro Studi Campaniani per il 135° genetliaco Campaniano
Il Centro Studi Campaniani, nel rispetto delle regole per il Covid 19, festeggia il 135° genetliaco campaniano con un’iniziativa di grande spessore culturale : la ristampa anastatica del manoscritto “Il più lungo giorno” di Dino Campana.
Questa terza edizione segue quella realizzata nel 1973 da Archivi d’intesa con Vallecchi, in occasione della presentazione del leggendario manoscritto
perduto da Soffici nel 1913 e quella del 2001 edita dal Centro Studi in occasione del 30° anniversario dell’annuncio del poeta Mario Luzi sul “Corriere della Sera” del ritrovamento da parte della vedova di Soffici nella casa di Poggio a Caiano.
Franco Matacotta: Dino Campana e alcuni suoi inediti
Con questo importante articolo, voluto da Curzio Malaparte, Franco Matacotta fece conoscere le carte inedite custodite da Sibilla Aleramo: alcune lettere e il famoso Taccuino che lo scrittore di Fermo pubblicherà nel 1949. Sarà conosciuto con il nome di Taccuino Matacotta.
Da “Prospettive”, V, 15 febbraio – 15 marzo 1941
"Tel qu’en Lui-même enfin l’eternité le change" (Mallarmé)

Franco Matacotta, disegno di Giuseppe Capogrossi
Il 30 giugno 1916, Cloche, come Campana soleva talvolta scherzosamente chiamarsi, scriveva da Rifredo di Mugello a una sua ammiratrice che gli aveva espresso il desiderio di incontrarlo: "Je ne saurais jamais vous três agréable à Marradi. C’est un pays où j’ai trop souffert et quelque peu de mon sang est resté collé aux rocker de là haut. Mais ca ne vois que pour moi et vous pouvez voir ça mieux dans les couchants étranges de mes poésies". "Couchants étranges de mes poésies".
Paolo Pianigiani: Due punti di vista
Dino nel dicembre del 1913, si reca presso la sede della rivista “Lacerba”, a Firenze per incontrare i due direttori, Ardengo Soffici e Giovanni Papini, ai quali presenta e affida il manoscritto delle sue poesie dal titolo Il più lungo giorno, sperando in una pubblicazione, almeno di qualche testo, nella rivista. Soffici, ultimo depositario del quaderno, in un trasloco lo smarrisce; verrà ritrovato tra le sue carte solo qualche anno dopo la sua scomparsa, nel 1971.
Il momento del primo incontro - qui descritto proprio da Soffici - corrisponde, dunque, all’inizio della lunga e tormentata vicenda del manoscritto, che conteneva testi che, insieme ad altri, confluiranno nei Canti Orfici. Dopo lo smarrimento del “taccuino”, Campana li riscriverà basandosi su altri manoscritti e li pubblicherà nel 1914 presso la tipografia Ravagli di Marradi.
La testimonianza di Soffici, quasi una cronaca in diretta, è del 1931.
Marco Bulgarelli: La divisa nascosta di Dino Campana
Dino Campana allievo ufficiale di Fanteria a Ravenna
Articolo pubblicato, con qualche variante, ne "Il lettore di Provincia", fascicolo 94, dicembre 1995
Nel considerare la figura del poeta Dino Campana, spesso non si è riusciti a fare a meno d'immaginarlo come una specie di Orfeo la cui esistenza è stata graffiata dalle cicatrici di periodiche discese nei regni senza luce, sordi e ronzanti, dell'inesprimibile ignoto. Proprio per questo i suoi estenuanti vagabondaggi, la sua solitudine miserabile, la serie quasi persecutoria degli arresti subiti in varie città d'Italia e all'estero, e ancora il degrado scimmiesco sperimentato nelle corsie dei manicomi hanno potuto acquistare il valore di un vero e proprio martirio e di una testimonianza, quasi fossero stati anch'essi i segni dell'autenticità di una parola scavata con le mani sanguinanti alla radice delle cose.
MISURE CRITICHE
Nuova serie
Anno XIII, n. 2 - XIV, n. 1
Luglio-Dicembre 2014 Gennaio-Giugno 2015
FAUSTO TUSCANO
ASPETTI DEL PENSIERO MUSICALE
DEI CANTI ORFICI
«Scrivo novelle poetiche e poesie; nessuno mi vuole stampare e io ho bisogno di essere stampato: per provarmi che esisto, per scrivere ancora ho bisogno di essere stampato.»[1] – così Dino Campana da Marradi il 6 gennaio del 1914 a Giuseppe Prezzolini, allora direttore della rivista fiorentina «La Voce». «Per provarmi che esisto», scrive. È la poesia che dà senso alla vita. La storia della pubblicazione dell’opera di Campana è nota. Prezzolini non risponde alla lettera. La richiesta inutile è un altro fallimento che si aggiunge ad una serie, lunga, di fallimenti non solo professionali ma anche affettivi, esistenziali. Il libro, che contiene poesie che il giovane poeta ha composto e raccolto negli ultimi dieci anni trascorsi viaggiando per il mondo, tra Firenze e Bologna, da Genova alla Francia, la Svizzera, i Paesi Bassi, l’Argentina, è stampato a Marradi nell’estate del 1914, con i soldi di una colletta, dal tipografo Ravagli.2 Nel dicembre dell’anno prima, a Firenze, Campana aveva consegnato il manoscritto (un’unica copia) a due tra gli intellettuali fiorentini più in vista del momento, Giovanni Papini e Ardengo Soffici, con la speranza che lo leggessero e lo pubblicassero, magari sulla nuova rivista «Lacerba». I due promisero di leggere, ma persero il manoscritto. La raccolta, che si chiamava Il più lungo giorno, poteva essere una novità letteraria importante. Il poeta dedica la prima metà del 1914 alla ricostruzione/rielaborazione – in parte a memoria – delle poesie perdute. (Il manoscritto perduto salterà fuori solo nel 1971, a casa di Soffici).[2] Il libro pubblicato nel 1914 ha un nuovo titolo: Canti Orfici.
Foto di Claudio Corrivetti, Roma
Giovanni Costetti: I Canti Orfici di Dino Campana
Pubblicato su "LA TEMPRA" (Pistoia), II, 1915, 1, pp. 6-7
Credo che un giudizio di pittore sopra un’opera di poesia possa interessare forse più della critica d’un letterato o d’un filosofo. E più facile all’artista di avere di essa un’opinione meno logica, più istintiva, più passionale.
Mi pare che la critica diventi spesso arido esame di difetti o qualità tecniche e agisca dietro certi presupposti malsicuri. Infatti a seconda di certi suoi dogmi mutevoli ammette o nega valori che anche negati o ammessi non distrugge o non afferma durevolmente.
Le forbici del critico cosiddetto competente, tagliano spesso male, o troppo o insufficientemente.
Il critico non dovrebbe esistere perché non è un uomo d’intuizione, e l’opera d’arte vera è sempre intuitiva. Ma forse la ragione materiale di esistere del critico è l’opera d’arte voluta cioè falsa che è sovrabbondante e che bisogna condannare.
Pagina 2 di 13