
Da:
DINO CAMPANA, Lettere di un povero diavolo: Carteggio (1903-1931)
A cura di Gabriel Cacho Millet
Polistampa Editore, Firenze 2011
CAMPANA A NOVARO
Lastra a Signa, [Lastra a Signa, aprile 1916]
Egregio Novaro,
questa poesia mi sembra memorabile.1 È scritta molti anni fa da una donna di2 Firenze (morta).3 A parte qualche noiosità femminile di melopea e qualche scintillamento di braccialetto (all’odalisca) apre un po’ la gretta e taccagna arte italiana.4 La strofa liberata dalla multiforme5 catena, con due6 o tre assonanze elementari ritenta7 un più puro amore delle luci8 e delle forme.9

Consigli benevoli
di Ardengo Soffici (A.S.)
Da: La Voce del 25 febbraio 1909
Di Luisa Giaconi, buon’anima, la quale come scrittrice non valeva proprio nulla, non avremmo, di certo, fatto parola, mai, se il Marzocco non ci venisse assordando – chi sa perchè – da più mesi con le sue fanfare laudative e non volesse farci ingollare per forza, l’opera di lei come gran cosa.
DINO CAMPANA e SIBILLA ALERAMO
di Paolo Puppa
Tratto da "Lettere impossibili" di Paolo Puppa (2009, Gremese editore)
Da un piccolo fascicolo con copertina rosa, trovato dagli eredi tra i faldoni di Sibilla Aleramo, è emersa di recente una lettera vergata in carta da pacchi e con una scrittura un po’ sconnessa, datata 3 aprile 1927. Nel testo, spiccano ai lati macchie di sugo e di polpette.
Signora, Signora, Signora, la primavera si sveglia pure qua, in questo tetro stanzone. Io la vedo oltre le sbarre di ferro, oltre i vetri spessi. Nel tanfo della camerata, tra i sospiri e i sordi respiri dei pazzi addormentati, l’oro e l’azzurro dei decrepiti crepuscoli si cambiano in verde. E allora debbo scrivervi, perché una dolcezza acuta mi torce i nervi, mentre invoco la piaga e il fiore delle vostre labbra. Chi vi scrive, Matrona, è Dino e poi Carlo e poi Giuseppe e poi e poi Campana. E’ stato mio fratello Manlio che m’ha rapito, rapito, rapito a me la madre, la Fanny crudele e fuggitiva. Certo, con lei sono stato un po’ primitivo. Come con voi talvolta.
«Verrò a Firenze per rompervi la testa »
di Enrico Falqui
da “La Fiera Letteraria”, numero 8, giovedì 23 febbraio 1967
Prima della riscoperta del manoscritto Il più Lungo Giorno, presentato al mondo nel 1973, così Falqui sottolineava l'assoluta importanza della perdita da parte di Soffici. (p.p.)
A proposito di Dino Campana e dei suoi Canti orfici vogliamo oggi ren der pubblica, e così sottoporre all’altrui riflessione, una circo stanza che ci sorprende non sia stata ancora avanzata, con la dovuta sottolineatura, da parte di altri, pur essendo numerosissimi coloro che si sono, anche molto sottilmente, occupati dell’opera. L’osservazione riguarda l’integrità del testo dei Canti orfici, quale fu stampato, in Marradi, dal Ravagli nel 1914.
Testo che, dopo l’edizione curatane dal Binazzi, per Vallecchi, nel 1928, noi potemmo migliorare nelle successive ristampe vallecchiane del ’41, del ’52 e del ’60, sempre prendendo e tenendo a campione quello della prima edizione, secondo il preciso desiderio dello stesso autore, tuttavia consapevoli, per sua stessa ripetuta confessione, delle inesattezze e delle incertezze cui non gli era stato disgraziatamente possibile sottrarre quelle pagine, scritte « in vari intervalli della sua vita errante » e lasciate « come a testimonio di sé medesimo ».
Una testimonianza sulla fedeltà della quale il Campana interveniva di frequente, a voce e per iscritto, con giunte e varianti e correzioni nelle copie offerte agli amici o vendute a estranei: segno che non finiva di esserne insoddisfatto.
Giuseppe Ungaretti
Ungaretti e Campana
di
Mario Petrucciani
da:
Lettere Italiane
Vol. 34, No. 1, GENNAIO-MARZO 1982
Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.
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PER UNA TESI DI LAUREA.
Nelle circa novecento pagine della prosa teorica e critica di Ungaretti — lungo un arco che copre oltre cinquanta anni del secolo — non compare il nome di Campana. Eppure è Nel nome di Campana, il quale avrebbe potuto darci « un libro come tanti di quel tempo di passaggio dal crepuscolarismo al futurismo » — ha scritto Bo1 — che la poesia italiana moderna ha compiuto uno dei suoi eccezionali dirottamenti.
da: Succedeoggi, 19 Agosto 2025
L'italianista Renato Martinoni, dopo aver per lunghi anni indagato sulla vita e sulla poesia di Dino Campana, gli ha dedicato un romanzo nel quale si confondono poesia e stramberie.
LA CHIMERA NEI «CANTI ORFICI» DI DINO CAMPANA
di Neuro Bonifazi
Dall'epoca romantica in poi, nel corso del secolo XIX e oltre, in Europa, i mitici mostri dell' antichità (Medusa, Chimera, Sfinge, Gorgone, Sirena, ecc.) diventano, nell'immaginario dei poeti, i simboli della loro concezione della bellezza in genere, di quella femminile in specie, della Donna e dell'eros. A cui si aggiungono le immagini emblematiche ed evocative dei grandi artisti, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Dürer, ecc., e in particolare, a un certo punto, l'immagine della Gioconda.
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