Tradurre poesia è un'esperienza spettacolare
Da: Unimondo.org
La traduzione poetica è un’arte e un’esperienza spettacolare. Ne abbiamo parlato con Antonio Nazzaro: poeta, giornalista, traduttore, nato a Torino, con una conoscenza profonda sia della lingua sia delle molteplici differenti culture dei paesi dell’America Latina.
Il prezioso lavoro di Nazzaro è un ponte sicuro sul quale muoversi per raggiungere paesi fra loro distanti. Esso, infatti, si può paragonare a un bellissimo arco, pulito, dal quale vengono scoccate poesie italiane tradotte in spagnolo dall’Italia verso il Sudamerica e, nella direzione opposta, poesie di vari autori sudamericani tradotte nella nostra lingua. Unendo, così, e attraverso file di versi - diversi come gli autori che fa sconfinare - il Bel Paese con i bellissimi popoli della vasta e complessa realtà che si estende a sud del Messico.
Lorenzo Righi: Dino Campana poeta della notte
Don Lorenzo Righi
Trascrizione integrale da: Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte
Collana "Gli Inediti" N. 6, Tipografia Sbolci, Fiesole, 1971
Si sa che fu Giovanni Papini a scoprire in Giuseppe Ungaretti il poeta nuovo1.
E fu Piero Bargellini a rivelarci il poeta Carlo Betocchi.
Chi scoprì e rivelò la poesia di Dino Campana?
Fu il poeta Bino Binazzi.
Alberto Viviani ha lasciato scritto di lui: "Io non credo ancora che Bino Binazzi sia passato così come una bella e vivida luce destinata a pochi.
La bestialità e la supina vigliaccheria che tanto lo amareggiò nel suo tempo e che purtroppo dura tutt'ora indefessa, dovrà pur bene avere un periodo di precipitazione"2.
E che egli, il Binazzi, fosse poeta autentico lo prova la bella introduzione alle sue poesie di Ardengo Soffici3.
IL RITORNO DI DINO CAMPANA DAL BELGIO: QUATTRO DOCUMENTI INEDITI
Caroline Mezey
Bedford College, London
Da: Modern Language Review, Vol. 4, ottobre 1983
traduzione di Andreina Mancini e Paolo Pianigiani
Le circostanze della vita di Campana, i suoi atteggiamenti bohémien, i suoi viaggi in paesi stranieri, la perdita del manoscritto dei Canti Orfici e la tragedia dei suoi ultimi anni hanno teso a focalizzare l'attenzione critica sul poeta come poète maudit. I tentativi dei suoi biografi di stabilire una cronologia certa e dettagliata della sua vita sono stati in gran parte frustrati dalla scarsità della documentazione originale. Molte informazioni sono ovviamente contenute nella trascrizione del Dr. Pariani delle conversazioni con il poeta a Castel Pulci, e ulteriori informazioni sono state fornite da Enrico Falqui, la cui conoscenza di amici e parenti del poeta gli ha fornito una fonte pronta di materiale di "seconda mano".1 La documentazione originale, tuttavia, non è stata pubblicata, e particolarmente deplorevole è stato il silenzio sul periodo tra la fine degli anni universitari di Campana a Bologna (1907) e la sua iscrizione all'Università di Genova nel 1912.
Paolo Pianigiani: Il Poeta e Margherita
E' apparsa dal nulla la misteriosa corrispondente scozzese di Dino, Margherita C. Lewis |
di Paolo Pianigiani |
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Parlando del carteggio fra Dino Campana e Margherita C. Lewis, in un articolo comparso sul Mondo nel marzo del 1950, Franco Matacottaa scelse un titolo a effetto, ma nella sostanza improprio: Il Poeta e la Pitonessa. Tutto si poteva dire di Margherita C. Lewis, ma non che avesse l'aspetto e il piglio di una pitonessa. Ancora oggi, in quella vecchia foto riapparsa fra le pagine di un suo libro, La Vita Vissuta e Cantata, dove ci guarda con i suoi grandi occhi malinconici e tristi, fa pensare piuttosto a una persona mite e romantica che a una sacerdotessa invasata.
Del carteggio fra Dino e Margherita ci sono rimaste le quattro lettere che la Signora scozzese indirizzò al poeta, dalla sua residenza di Rigoli, in provincia di Pisa. Questa lettere sono state pubblicate una prima volta da Matacotta, nell'articolo appena citato e in seguito da Gabriel Cacho Millet, in Souvenir d'un pendu, per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane, nel 1985.
Franco Matacotta: Il Poeta e la Pitonessa
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Nel 1916 Dino Campana s'infatuò di una profetessa scozzese stabilitasi in Toscana: le chiese per cartolina di poter avere un figlio con lei
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Chi abbia familiarità con l'opera poetica di Dino Campana e con quel tanto di notizie che faticosamente la critica ha potuto raccogliere della sua tumultuosa esistenza non puo rinunciare a riconoscere un consapevole contenuto "messianico" in quella poesia e in quella vita. Del resto, a sollecitare nel poeta il sogno di redimere l'umanità, di trasformare, come egli stesso dice, il "miasme humanin", in un mondo di "creature pure", contribuirono non soltanto la sua particolare natura, tutta istinto ed esaltazione, ma anche l'atmosfera di cultura nella quale egli compì la sua formazione. Se è vero che egli ha il suo debito con Poe, Villon e Rimbaud, e perfino con Jean Rictus, e che tutta la sua storia di pellegrino in patria e di emigrante d'oltralpe sia da considerare nient'altro che una delle tante "fughe" letterarie di cui la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento sono pieni, altrettanto vero è che egli ebbe debiti grandi colla cultura crepuscolare e post-crepuscolare del suo paese. Non per nulla il Boine, che nel secondo decennio del secolo andava disperatamente in cerca di "nuove Americhe da scoprire", lo riconobbe ben presto come "fratello", dopo la "gran febbre d'esaltazione ricevuta dalla lettura dei Canti Orfici".
Primo Conti: Campana, ultimo discorso
Intervista a Primo Conti su Dino Campana inclusa con alcune varianti nel volume P. Conti, La Gola del merlo, Memorie provocate da G. Cacho Millet, Sansoni, Firenze 1983.
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Pubblicato in: Dino Campana Fuorilegge, Edizioni Novecento 1985 di Gabriel Cacho Millet |
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Primo Conti nel 1913 |
PRIMO CONTI - Ricordo Campana come una specie di spirito vagante sulla terra, una specie d'arcangelo che disse quello che doveva dire e poi sparì. Sembrava uno di quei girovaghi nordici, fisicamente splendido, scalzo, col bastone sulla spalla e appeso al bastone un sacchetto di tela dove teneva i libri, le camice e un paio di scarpe che spesso si infilava per la strada.
Qualche volta è venuto di sorpresa a trovarmi nello studio perché amava il senso popolaresco dei miei collages e non è a caso che Cesare Vivaldi e Luciano De Maria abbiano rilevato nei miei dipinti e nelle mie poesie di allora un segreto legame coi Canti Orfici.
Franco Scalini: Dino Campana studioso in soffitta
da “NELL’ODORE PIRICO DELLA SERA DI FIERA”
Tipografia Faentina, Faenza 2004
di Franco Scalini |
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La casa di Dino a Marradi:in alto le finestre della soffitta
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Erano i primi giorni d’estate del 1957. Uno di quei giorni, a Marradi, nel tardi pomeriggio mi ero soffermato nella strada davanti alla casa dove abitavo dal 1944, in via Pescetti, casa che era stata di Dino Campana. Ogni tanto mi capitava di gettare l’occhio sulle lapidi murate qualche anno prima nella facciata a ricordo del poeta, in particolare su quella che riporta il brano dei Canti Orfici intitolalo: “Marradi (Antica volta. Specchio velato)”, titolo di cui non mi risultava chiaro allora il significato del l’ultima parte tra parentesi, cioè “Specchio velato”. Altre volte avevo riflettuto su ciò, e cercato anche in qualche libro una puntuale spiegazione, ma senza alcun risultato. Mentre mi lambiccavo il cervello intorno a quella parte del titolo per me oscura , vidi che stava arrivando verso casa il dottor Manlio Campana, fratello di Dino.
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