Gina Diletti Campana
Giovanna Diletti Campana: Ricordi su Dino Campana
Da: Souvenir d’un pendu, Carteggio 1910-1931, a cura di Gabriel Cacho Millet
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli
Giovanna Diletti Campana detta Gina (1875-1967), moglie di Torquato Campana (zio del poeta e suo maestro, scrisse questi Ricordi a Bologna nel 1965, all’età di novantanni, senza nessuna intenzione di eventuali pubblicazioni, ma dettati dal desiderio di lasciare a suo figlio Lello (Raffaello) quelle "poche cose“ che ricordava del suo nipote poeta.
Dino nacque [a Marradi il 20 agosto 1885, alle ore 14,30] nella casa di proprietà dell'ingegnere Vincenzo Mughini. Sua mamma [Francesca Luti detta «Fanny«, 1857-1925], essendo allora sposa giovane, non sapeva fasciarlo, usava allora, e d'era una barbaria, di fasciare i piccini da sotto le braccia fino ai piedini e richiedeva certo un po' ďabiltà.
Supplivano per lei Marianna e Barberina [Bianchi], due zitelle che abitavano allo stesso piano. Barberina era levatrice e così si può ben dire che fu allevato da loro. Dino si affezionò a loro e loro a Dino.Dopo qualche anno nacque Manlio [1888]. Io conobbi Dino durante il mio viaggio di nozze, era allora nel collegio dei Salesiani a Faenza, avrà avuto 11 o 12 anni. Andammo a trovarlo mio marito ed io, era in ricreazione e venne da noi in parlatorio, tutto sudato, teneva in mano il frustino e la trottola. Anche i maestri dei Salesiani lo giudicavano di grande ingegno, ma era uno scarabocchione disordinato. Dopo la nascita di Manilo, [Ninni], il cocco Dino passò in seconda, o per meglio dire in terza linea. Ninni sempre Ninni solo Ninni.
IL CONVEGNO A LA VERNA
“Io vidi dalle solitudini mistiche…”
di Silvano Salvadori
La Verna, 1910 - 2010
Il convegno tenuto a La Verna il 18 e 19 settembre 2010, nel centenario del famoso pellegrinaggi compiuto da Dino, segna certo un punto di svolta su tante mitologie campaniane.
Promotori l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e la Provincia francescana, ha visto come coordinatori il Prof. Giuseppe Langella nelle prime due sezioni e il Prof. Silvano Salvadori nell’ultima.
Sebastiano Vassalli
Profonda emozione
di Sebastiano Vassalli
da:
Tutto libri - Sabato 8 Luglio 1989
In risposta alla pubblicazione di alcune lettere di Campana, su
TuttoLibri, 1 Luglio 1989, a cura di Fernanda Gigli e Giuseppe Risso
Da: Inediti, a cura di Enrico Falqui, Vallecchi 1941
Nota di Paolo Pianigiani
Come è noto il "Quaderno" di Dino Campana fu ritrovato dal fratello Manlio dentro un cassone in soffitta, nella casa di Marradi. Giunto in originale nelle mani di Enrico Falqui fu trascritto, con insormontabili difficoltà di interpretazione, dovute al fatto che si trattava di appunti, che solo l'Autore avrebbe potuto e saputo interpretare.
Il "Quaderno" andò perso, nessuno sa come e perchè. Restano alcune pagine fotografate inserite come esempio nel bel volume degli Inediti, edito da Vallecchi nel 1942.
Falqui fece del suo meglio, per rendere il testo utilizzabile per l'edizione a stampa.
Di certo si è perso il mistero, tutto campaniano, della pagina scritta, dei pensieri sciolti, geniali, accumulati. Che solo alcune pagine fotografate continuano a far brillare.
...
Vasta terribile e pura
Ritorno inesorabilmente a te
Riscossa dal tuo sogno
Acqua di mare amaro
Che esali nella notte:
Aldo Orlandi, l'amico di Torino
di Stefano Drei
Sono il fanciullo più triste
Da La Stampa - TuttoLibri, 1 Luglio 1989
a cura di Fernanda Gigli e Giuseppe Risso
La lettera che pubblichiamo è una delle ultime scritte da Campana (l'ultima tra quelle indirizzate a Aldo Orlandi) prima di essere rinchiuso definitivamente in manicomio. E' stata spedita da Lastra a Signa (Firenze) il (9 novembre 1917. Campana non ha più nulla da chiedere né agli amici né alla vita, si sente «il più tristo fanciullo della terra che tutte le sue mamme hanno abbandonato». A tratti il discorso sembra perdere lucidità, ma ne acquista in vigore. Campana cerca di recuperare una propria italianità (la cui mancanza gli era stata più volle rimproverata): Guglielmo II diventa così Guglielmone, ma d'Annunzio rimane il vate buffone. Sente che per lui è finita: "Sono felice di vivere queste poche ore che mi restano», ma chiudendo la lettera ha un ultimo guizzo ironico e graffiante per Amalia Guglielminetti.
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