"Carmelo Bene. Me l'ero immaginato definitivamente ingoiato da una vita quotidiana inimmaginabile, e triturata dal suo stesso genio, portato via su galassie tutte sue, a doppiare pianeti che sapeva solo lui. Perduto, insomma. Poi ha iniziato a girare con questo suo spettacolo anomalo, una lettura dei Canti Orfici di Dino Campana.
Sibilla Aleramo, alias Rina Faccio
Sibilla ricorda Dino: una testimonianza diretta
Da: Dino Campana. "Le mie lettere sono fatte per essere bruciate", a cura di Gabriel Cacho Millet
Testimonianza depositata nel 1950, presso l'Istituto Gramsci, Roma Archivio Aleramo
A Firenze, settimane prima, avevo sentito parlare, forse da Franchi, di uno strano volumetto: Canti Orfici, pubblicato in veste meschina a spese dell'autore Dino Campana. L'avevo portato con me in campagna. Lo lessi, ne rimasi abbacinata e incantata insieme, tanto che scrissi al poeta alcune parole d'ammirazione. Egli mi rispose, una bizzarra cartolina. Abitava anche lui in quel momento nel Mugello, nel suo paese nativo, Rifredo (sic). Vi fu uno scambio epistolare, dopo di che ci incontrammo a Barco, un gruppetto di case ad un valico dell'Appennino Toscano.
Proprietà Famiglia Bàusi, Firenze |
Alla ricerca delle foto autentiche di Dino Campana
Intervista a Stefano Drei, il ricercatore che ha trovato la foto inedita di Dino Campana
a cura di Paolo Pianigiani
L’aveva promesso, il prof. Stefano Drei: ho tolto una foto dall’album di Dino Campana, ma forse riuscirò a trovarne una nuova…
Dopo aver scoperto che la foto di gruppo di una classe del Liceo Torricelli, non comprendeva il poeta di Marradi, ma un altro studente, tale Filippo Tramonti, le ricerche sono continuate, fino a scoprire una nuova foto, recentemente messa in copertina dell’ultimo volume curato da Gabriel Cacho Millet, “Lettere di un povero diavolo”, uscito a Dicembre 2011 per i tipi di Polistampa, a Firenze.
Ma proviamo a ricostruire la storia di questa foto, rarissima, scattata nel gennaio del 1912, a un giovane ancora sconosciuto, ma che sarebbe diventato di lì a pochi mesi l’autore dei Canti Orfici.
Paolo Pianigiani: L’onore di un poeta
Il duello (mancato) di Dino Campana
Pubblicato su Erba d'Arno, n. 101-102, Fucecchio 2005
Da una lettera di Franco Matacotta a Emilio Cecchi
Nel Fondo Matacotta si cono conservati i documenti relativi alla vicenda, ma solo con il ritrovamento degli articoli sul Telegrafo è stato possibile ricostruire questa curiosa storia.
Gli antefatti
A partire almeno dal primo di aprile del 1916, data che figura in una lettera al fratello Manlio, Dino risiede insieme ai genitori, che vi si erano trasferiti per la nomina del padre Giovanni a Direttore Didattico, a Lastra a Signa, presso l’Albergo Sanesi.
Convalescente per una malattia di sette mesi, il poeta si trasferisce il 28 di maggio del 1916 a Livorno, in via Malenchini n. 9, presso la signora Fortunata Natali e frequenta la villa della pittrice marradese Bianca Fabroni, ad Antignano. Si porta dietro alcune copie dei Canti Orfici, con la speranza di venderle, contando anche sulla pubblicazione dell’articolo di Emilio Cecchi sulla Tribuna del 21 Maggio. Viene quasi subito fermato (31 maggio) da un maresciallo di finanza, scambiato per una improbabile spia tedesca, perchè chiede a due signore indicazioni sulla ubicazione del Cantiere navale Orlando e della Regia Accademia Navale. Chiarito l’equivoco viene rilasciato. Dino rimane a Livorno fino al 20 giugno, quando viene di nuovo arrestato, questa volta dalla Polizia Municipale, per aver fatto in pubblico discorsi strani. Viene rilasciato ma espulso da Livorno.
"Il più lungo giorno" di Dino Campana
Ma qual è il rapporto fra il manoscritto del Il più lungo giorno e i Canti Orfici?
di Paolo Pianigiani
Quando l’ho visto, seminascosto fra i libri di un venditore ambulante, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, non volevo crederci... Il più lungo giorno... Dino Campana. Subito l’ho sfogliato, ho riconosciuto la scrittura, le parole, e la musica delle parole. Era proprio quella una copia del testo famosissimo, scomparso e riapparso a distanza di sessanta anni. A pagina 40 ecco apparire il testo de La Chimera, forse la poesia più famosa.
Una copia anastatica, naturalmente, la numero 800, una delle 1000 stampate dalla casa editrice fiorentina Vallecchi, del "numero zero" dei Canti Orfici, il mitico manoscritto che Dino Campana aveva consegnato a Papini e a Soffici, per averne un parere e per sperare, forse, in una pubblicazione.
Firenze 1914
di
Lorenzo Montano
da “La Nuova Antologia”, 1954, fascicolo 1837, pp. 73-80
Ci vorrebbe il genio d’uno Stendhal d’un Tolstoi, e forse non basterebbe, per rappresentare a chi non l’ha provato il senso di stabilità da cui era pervaso il mondo fino alla prima guerra mondiale. Mondo ormai ridotto ad una sottilissima scorza ad opera di Marx e di Nietzsche, il Marx dei benestanti, per tacere di tarli più antichi; ma la compattezza e la solidità della nostra illusione non erano intaccate. Il futuro si apriva dinanzi a noi a perdita d’occhio, per generazioni senza numero, variato magari da sviluppi tecnici e sociali (la più parte desiderabili) ma sostanzialmente immutabile.
Giovanni Papini: Il poeta pazzo
Da: Passato remoto (1885-1914), Firenze, L'Arco, 1948
Si fa un gran parlare, oggi, del poeta Dino Campana, e v'è un alacre lavorio intorno alla sua parva opera: edizioni critiche, stampe d'inediti, studio di varianti, saggi esegetici e biografici, tesi di laurea. Siccome fui dei primi a pubblicare cose sue in Lacerba e il primo a farlo figurare in una antologia, voglio dire come lo conobbi e quale immagine mi resta di lui.
Scrisse a Lacerba nel '13 ed io e Soffici ci accorgemmo subito che non era un de' tanti sconosciuti burbanzosi vestiti di falsa umiltà che mandano le loro ejaculazioni verbali alle riviste. Il primo incontro con lui avvenne una mattina d'estate nel piccolo Caffè Chinese ch'era presso alla vecchia stazione demolita.

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