Francesco Meriano e Bino Binazzi
Campana cerca Binazzi
Estratto dal sito: https://www.bibliotecasalaborsa.it/bolognaonline/
Binazzi fu il primo a scrivere positivamente di Campana, il 25 dicembre 1914, con un intervento sul "Giornale del mattino". Nell'articolo, intitolato Un poeta romagnolo (Dino Campana), salutò il marradese come "poeta di razza", come fenomeno singolare e nuovo. Lo descrisse come un tipo scontroso e solitario, propenso a vivere da poeta, a "preferire l'avventura eccezionale e la vita sciolta e vagabonda di tutte le anime sublimi".
Bino Binazzi e Giovanni Papini
Due pareri discordi su Dino Campana
ricerca di Claudio Mercatali
dal Blog della Biblioteca di Marradi
Nel 1971 la Comunità Montana dell'Alto Mugello, formata da Marradi, Palazzuolo e Firenzuola, curò la seconda edizione di un interessante libretto su Dino Campana, che è qui accanto. Lo scrisse don Lorenzo Righi, priore di Bombone, frazione di Rignano sull' Arno, studioso di letteratura e poeta lui stesso, che ricostruì con precisione la divergenza di opinioni fra Binazzi e Papini a proposito di Dino Campana.
Don Lorenzo Righi
Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte
Collana "Gli Inediti" N. 6
Tipografia Sbolci, Fiesole, 1971
Si sa che fu Giovanni Papini a scoprire in Giuseppe Ungaretti il poeta nuovo1.
E fu Piero Bargellini a rivelarci il poeta Carlo Betocchi.
Chi scoprì e rivelò la poesia di Dino Campana?
Fu il poeta Bino Binazzi.
Alberto Viviani ha lasciato scritto di lui: "Io non credo ancora che Bino Binazzi sia passato così come una bella e vivida luce destinata a pochi.
La bestialità e la supina vigliaccheria che tanto lo amareggiò nel suo tempo e che purtroppo dura tutt'ora indefessa, dovrà pur bene avere un periodo di precipitazione"2.
E che egli, il Binazzi, fosse poeta autentico lo prova la bella introduzione alle sue poesie di Ardengo Soffici3.
Luigi Bonaffini: Ordine e disordine in Campana, "Genova" e la questione della quarta strofa
di LUIGI BONAFFINI
Brooklyn College
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Prima edizione Forum Italicum, Vol. 13, n. 3, 1979 |
State University of New York |
Nella quarta strofa di "Genova," che è senz'altro il brano più noto e discusso di tutta l'opera di Campana, e che ha suscitato infinite polemiche, non ancora risolte dopo sessant'anni di critica campaniana, l'ambiguità del messaggio poetico si cristallizza nella sua forma più estrema e disarticolata. Al pieno sole di maggio della prima strofa sopravviene la sera, miscuglio di luce e di ombra: "I palazzi marini avevan bianchi / arabeschi nell'ombra illanguidita," ed il poeta cammina nella incertezza crepuscolare "nell'ambigua sera... / Ed andavamo io e la sera ambigua,"sotto "gli occhi benevoli" delle stelle, le "Chimere dei cieli":
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Nel 1916 Dino Campana s'infatuò di una profetessa scozzese stabilitasi in Toscana:le chiese per cartolina di poter avere un figlio con lei
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Chi abbia familiarità con l'opera poetica di Dino Campana e con quel tanto di notizie che faticosamente la critica ha potuto raccogliere della sua tumultuosa esistenza non puo rinunciare a riconoscere un consapevole contenuto "messianico" in quella poesia e in quella vita. Del resto, a sollecitare nel poeta il sogno di redimere l'umanità, di trasformare, come egli stesso dice, il "miasme humanin", in un mondo di "creature pure", contribuirono non soltanto la sua particolare natura, tutta istinto ed esaltazione, ma anche l'atmosfera di cultura nella quale egli compì la sua formazione. Se è vero che egli ha il suo debito con Poe, Villon e Rimbaud, e perfino con Jean Rictus, e che tutta la sua storia di pellegrino in patria e di emigrante d'oltralpe sia da considerare nient'altro che una delle tante "fughe" letterarie di cui la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento sono pieni, altrettanto vero è che egli ebbe debiti grandi colla cultura crepuscolare e post-crepuscolare del suo paese. Non per nulla il Boine, che nel secondo decennio del secolo andava disperatamente in cerca di "nuove Americhe da scoprire", lo riconobbe ben presto come "fratello", dopo la "gran febbre d'esaltazione ricevuta dalla lettura dei Canti Orfici".
Pubblico una lettera che Margherita C. Lewis spedì a una rivista specializzata nell'occulto nel 1921. E' la prima volta che compare il nome completo di Margherita (che Franco Matacotta chiamava "la Pitonessa") e finalmente si ha la conferma della sua firma per esteso.
Come ormai è noto Carnecchia era il cognome del "Vate Pisano", Francesco Giovanni Carnecchia, scomparso prima dell'incontro (documentato da alcune lettere) fra Margherita e Dino Campana.
paolo pianigiani
CORRISPONDENZA
[Il nome e l'indirizzo dello scrittore, non necessariamente per la pubblicazione, è richiesto come prova di buona fede, e deve in ogni caso accompagnare la corrispondenza inviata per l'inserimento nelle pagine della OCCULT REVIEW.--NDR.]
UNA RICETTA PER UNGUENTO
All'Editore di Occult Review.
Caro signore, — I particolari di una ricetta per fare un unguento italiano per disinfettare e guarire tutti i tipi di ferite e piaghe, che è stata comunicata a una famiglia torinese per mezzo dello spirito di un defunto nel modo che vedremo, possono essere di interesse per i vostri lettori.
Alfredo Luzi su Matacotta
L'anacoluto della vita
Biografia e poesia di Franco Matacotta
da: Incontri transnazionali.Le Monnier, Firenze, 2005, pp.177-183. |
Nel poemetto "La peste di Milano" che dà il titolo al volume pubblicato nel 1975, la ribellione di Matacotta contro la dimensione falsamente necessitante della civiltà tecnologica e capitalistica, è raggrumata nell’accusa rivolta alla città, dove egli si era recato, attratto dal mito del progresso sociale ed economico :
.......E’ qui proibito l’anacoluto della vita. Senz’armi, non val la pena vivere.
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