Jan Vladislav: Dino Campana e la Primavera di Praga

 

L'intervista al traduttore dei Canti Orfici in lingua Ceca

 

 

di Paolo Pianigiani 

 

 jan

Paolo e Jan



Jan Vladislav è stato il primo traduttore in Europa dei Canti Orfici in volume. La sua traduzione, infatti, esce a Praga nel 1968 e il saggio, inedito in Italia, che accompagna il testo, è del luglio - agosto del 1967. Quindi si tratta della prima traduzione in volume a livello mondiale, insieme a quella del Salomon (New York, 1968), che però è parziale e con i testi in ordine diverso dall’originale.

Il 1968, per l'allora Cecoslovacchia, fu un anno terribile: in quell‘anno fu spenta dai carri armati russi la nascente Primavera di Praga, il 21 agosto. Il 20 agosto è la data di nascita di Dino Campana. Due anniversari quasi coincidenti.

Dopo ricerche non facili, pensavo infatti che vivesse ancora in Francia, sono riuscito a trovare Jan Vladislav nella sua casa di Praga, appena tornato da un viaggio in Canada, e ho potuto fargli alcune domande sulla sua traduzione dei Canti Orfici, di cui nessuno in Italia sa nulla. In nessuna delle numerose edizioni, anche recenti, del libro di Dino Campana, infatti, la versione in lingua ceca viene citata, mentre sono presenti quelle inglese, rumena, francese, tedesca e spagnola.

Jan Vladislav, oltre che poeta e traduttore, è un intellettuale di primo piano della Repubblica Ceca: da sempre un "non allineato", figura fra i firmatari di Carta 77, e si è sempre battuto per l'affermazione dei diritti civili nel suo paese, pagando le sue idee con l'impossibilità a pubblicare le sue opere e con l'esilio in Francia, a partire dal 1981. Le sue poesie sono state pubblicate nella Repubblica Ceca solo recentemente, nel 1991.

Nello stesso anno ha ricevuto il premio dello Stato come traduttore, dalle mani del ministro della Cultura Pavel Dostál. Jan Vladislav si scusa con me per il suo italiano, non parla la nostra lingua da almeno cinque anni. Naturalmente il suo italiano è invece perfetto, condito da un leggero accento francese, frutto del suo esilio di venti anni, a Sèvres, in Francia. Ha tradotto, oltre a Campana, Dante, Montale, Ungaretti, Svevo, Pirandello: il suo italiano è fluido e musicale.


 

Paolo Pianigiani: Jan, come hai conosciuto Dino Campana?

Jan Vladislav: Intanto ti dico subito che Dino Campana è fra i miei poeti preferiti. Quando ho deciso di tradurre i Canti Orfici non avevo riferimenti di altre traduzioni, sapevo di essere il primo ad avventurarmi in quella impresa. Ho letto le prime notizie su Campana nella Storia della Letteratura Italiana di Francesco Flora, in quattro volumi, nel 1942, nella Biblioteca Nazionale di Praga. I

n questo libro Campana viene avvicinato ai due maggiori poeti italiani contemporanei, Montale e Ungaretti, che poi ho avuto la fortuna di conoscere. Ho anche tradotto, in lingua ceca, alcune delle loro opere. Ho visto le prime poesie del poeta di Marradi sull'Antologia della Poesia Italiana Contemporanea, dello Spagnoletti, nel 1960. I Canti Orfici, che ho letto nella edizione del 1962, quella curata dal Falqui, mi hanno colpito subito per la loro novità, per le immagini allucinate, per le visioni, per il ritmo dei versi e delle brevi prose.

 

P. P.: Sei uno dei maggiori traduttori del tuo paese, oltre che poeta e saggista. Hai tradotto i sonetti di Shakespeare, le poesie di Verlaine, Butor, i classici italiani… Come ti sei avvicinato alla traduzione e, in particolare, alla poesia?

Jan V.: La poesia fa parte della mia vita: sono nato a Hlohovec in Slovacchia nel 1923 e ho studiato al liceo del mio paese, in campagna. I miei genitori erano di origini ceche e a 15 anni ci siamo trasferiti a Polièka, fra la Moravia e la Boemia. Quando avevo 11 anni mi è capitata fra le mani una rivista che conteneva corsi di tre lingue diverse. Da lì, probabilmente, è nato il mio interesse per la traduzione. Portare ai lettori del mio paese poesie e romanzi scritti da scrittori lontani: questa è stata la mia, difficile, missione. Ho sempre letto poesia, in particolare tedesca e francese. I francesi erano molto letti, ai miei tempi, in particolare Rimbaud e Verlaine, naturalmente, ma anche Apollinaire, che aveva vissuto a Praga. La lingua italiana l'ho imparata da solo, quando lavoravo come assistente in una biblioteca. C´era un solo libro in lingua italiana, il Canzoniere del Petrarca. Ho cominciato ad imparare l'italiano su quel libro. Inoltre, come scrittore non allineato, l’attività di traduttore era la sola che poteva consentirmi di lavorare. La censura era più tollerante verso le mie traduzioni, che verso i testi originali. Almeno finché non mi hanno impedito di pubblicare, dal 1970 in poi, anche le traduzioni.

 

P.P.: Che rapporti hai avuto con l'Italia?

Jan V.: Dovete immaginare le difficoltà che un intellettuale non gradito al regime, come sono stato io, aveva nell'avvicinare la cultura dei paesi occidentali, anche come semplice studioso. Comunque sono venuto in Italia nel 1964, grazie ad una borsa di studio universitaria, per partecipare ai festeggiamenti per il quarto centenario della morte di Michelangelo. Sono rimasto tre mesi, partecipando ai convegni organizzati a Firenze, a Roma e nel bellissimo paese natale dell'artista, Caprese.

In seguito sono tornato, ho conosciuto Montale, a Milano, presentato da un amico comune, naturalmente, era difficile avvicinare Montale. Ho avuto con lui un incontro di tre ore. Ungaretti l'ho conosciuto a Roma, nella sua casa di piazza Remuria, insieme a Mario Diacono, che era il suo segretario. Mi parlò con ammirazione di Campana, come già aveva fatto Montale. Di Ungaretti avevo tradotto Il sentimento del tempo, pubblicato a Praga nel 1961. Un altro amico che ricordo con piacere è Emilio Villa.

Da questi incontri, grazie alle impressioni e ai libri di cui ho potuto disporre, è nata l'idea di tradurre Dino Campana. Mi è stato molto utile anche il saggio di Neuro Bonifazi, quello edito dalle Edizioni dell’Ateneo, nel 1964.

 

P.P.: Parlami della pubblicazione dei Canti Orfici a Praga, in quell'anno che nessuno può dimenticare, il 1968.

Jan V.: Certamente era un periodo di grande curiosità e interesse per la cultura occidentale, nel mio paese. L'apertura, non solo politica, della Primavera di Praga, permetteva di avvicinare autori in precedenza non permessi dalla censura. Tutto finì, come tu sai, con i carri armati russi. Dopo fu ancora peggio. La piccola edizione in lingua ceca dei Canti Orfici, Šílený Orfeus, (letteralmente: Orfeo Pazzo) uscí nella collana di poesia Kvìty Poezie della casa editrice praghese Mladá Fronta, in 3.000 copie, che furono esaurite in 2 mesi.

Ricordo che ho avuto un premio per quella traduzione, dall'editore. Avevo già pronta anche la traduzione di una antologia di Montale, ma dopo l'arrivo dei russi, pubblicare per me era diventato impossibile. E' uscita recentemente, nel 2001, a Praga, con il titolo Anglický roh, (Il corno inglese).

 

P.P.: Perchè hai intitolato i Canti Orfici Šílený Orfeus?

Jan V.: La mia traduzione è formata da due parti, la prima, che comprende i Canti Orfici veri e propri, intitolata Orfickè Písnè (Canti Orfici, in italiano) e la seconda A Ostatní (letteralmente E Altri, intendendo naturalmente "altri scritti"). Il titolo che riunisce le due parti, Šílený Orfeus (Orfeo Pazzo), l‘ho scelto per sottolineare l’origine orfica dell'opera di Campana e le vicende legate alla sua vita. Il mio saggio che accompagna i testi tradotti, inizia appunto con la citazione del libro di Edouard Schurè, i Grandi Iniziati, dal capitolo dedicato a Orfeo.

 

P.P.: Il tuo saggio avvicina Campana a scrittori come Kafka (è citato il testo dai racconti: Desiderio di essere un indiano), come Eliot (Quattro Quartetti); come mai hai avuto l’idea, per quegli anni tutt'altro che scontata, di collocare i Canti Orfici in un clima europeo?

Jan V.: Mi sembrava naturale inserire la poesia di Dino Campana nell’ambito dei grandi scrittori visionari, come sono stati Kafka ed Eliot, Joyce ed Apollinaire. Mi fa piacere che la critica più recente abbia confermato questa mia intuizione.

 

P.P.: Nel 2001 hai avuto un riconoscimento ufficiale dal tuo paese, il Premio dello Stato per la tua attività di traduttore. Deve essere stato bello per te…

Jan V.: Certamente, mi ha fatto piacere, ma è arrivato troppo tardi. Troppi sono i ricordi, per me, perchè possano essere cancellati da un premio letterario. Dal 1951 ho lavorato come traduttore, ma non potevo pubblicare nel mio paese le mie poesie e i miei saggi.

 

P.P.: Come certo saprai, Dino Campana oggi è molto più conosciuto e apprezzato rispetto a quando lo hai tradotto per la prima volta. Ci sono state scoperte importanti, come quella del manoscritto perduto da Soffici, che è riapparso, come la Fenice... Hai avuto modo di seguire queste vicende?

Jan V.: Purtroppo per me non è stato possibile seguire da vicino le vicende di cui mi parli, non ho avuto la possibilità procurarmi i libri necessari. Solo recentemente mi è stato regalato il libro di Sebastiano Vassalli, La notte della cometa, che ho cominciato a leggere in questi giorni. Cosa dici, forse aspettavo la tua visita?

 

Probabilmente sì, questa piccola importante scoperta era nell'aria, adesso che i confini dell'Europa si sono allargati e certamente permetteranno scambi culturali maggiori, qualcuno prima o poi si sarebbe accorto di questo piccolo libro, quasi dimenticato, che nel 68 circolava a Praga, insieme ai carri armati.

A me piace pensare che fu una piccola luce in mezzo al buio, che scese allora sulle sponde della Moldava. La poesia, comunque, è una speranza che rimane accesa, anche nei momenti peggiori della storia degli uomini.

 


 

L’incontro con Jan Vladislav è di quelli che lasciano il segno, presto ce ne sarà un altro, ho promesso di portare alcuni libri di cui gli ho parlato, l'edizione critica di Fiorenza Ceragioli, una copia del manoscritto perduto, l'edizione anastatica dei Canti Orfici originali, appena ripubblicata dal Centro Studi Campaniani “E. Consolini”, a Marradi. 

E poi, non ne ho ancora parlato con Jan, ma mi sono accorto che mancano, chissà perchè, tre testi nella sua traduzione: Immagini del viaggio e della montagna, Fantasia su un quadro di Ardengo Soffici e Frammento (Firenze): solo lui può completare il lavoro e regalare ai lettori del suo paese tutti i Canti Orfici, magari in una nuova, bellissima, edizione.

 

Pubblicato su:  Cartevive di Lugano