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emilio cecchi 1916 ritratto di leonetta cecchi pieraccini

Leonetta Cecchi Pieraccini, ritratto di Emilio Cecchi, 1916

 

Emilio Cecchi: False audacie

 

Pubblicato su: La Tribuna, Roma, n. 44, 13 febbraio 1915, p. 3.

 

Quasi una stroncatura...

 

 

Vinciamo la ripugnanza: accostiamo alle cose pure le profane. E diciamo due parole d'una scarlattina letteraria di questi ul­timi tempi, che molti credono effettivamente portata da Mal­larmé e da Rimbaud. Già l'avventura di questi due poeti in Italia, finora, era stata dolorosa. Ma le cose ora tirano al tra­gico; che sono entrati in mezzo gli imitatori, sfruttando inso­lenti e spensierati, come una cagnara di ragazzi assalta un po­mario. - Naturalmente a Mallarmé e a Rimbaud, questi non debbono nulla. Sono gli ispiratori, i profeti, i negri; forse non li hanno nemmeno letti. - In tutto di questo di vero c'è, che è come non li avessero letti; perché non hanno saputo veder­ci se non un invito più conveniente di un altro alla loro im­prontitudine e pigrizia.

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1916.8.2.r a cecchi 

 1916.8.2

 

Cartolina postale a Cecchi da Rifredo: 31 Luglio 1916

 

Cartolina Postale di Dino Campana a Emilio Cecchi, scritta a Rifredo di Mugello in data 31/Luglio/1916

 

 Da: "Lettere di un povero diavolo", Carteggio campaniano curato da Gabriel Cacho Millet, Ed. Polistampa.

 

CAMPANA A CECCHI

 

[ Rifredo, 31 luglio 1916]

L’articolo era bellissimo.1 La portata troppo grande per la mia miseria presente. Ringraziai e tacqui, attendendo da me stesso una risposta che non venne. Sono troppo ammalato. Per ora non cerco che di poter vivere alla meglio. Ricorderà che quando Lei mi vide a Firenze ero più morto che vivo. Sibilla avrebbe un bel da fare per compiere la sua missione. Pero la sua idea è simpatica, et si vous dites encore qu’elle a du coeur à l’ouvrage! Sono qua con una russa incredibile, venuta dall’Africa. Ma la psicologia russa si impara in due giorni e ne ho abbastanza. Tornando, Lei mi sembra che voglia interessarsi per farmi guadagnare qualche quattrino. Ma in che modo si potrebbe interessare Marinetti? lo vorrei fare l’affare subito, e dedicargli magari gli ormai noiosi canti orfici.

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Gigino Bandini, l'amico di Marradi

 

da Meridiano di Roma, 17 aprile 1938

 

 

Le interessanti lettere di Campana pubblicate in Omnibus (19 febbraio u.s.) contengono la rivelazione di un suo aspetto che ignoravo: il suo credersi perseguitato dai compaesani. Non esito ad indicare come maniaca questa sua persuasione. Ovunque possono essere anime abbiette; e gente capace di basse persecuzioni, con delazioni od altro, può ben esserci nel mio paese: ma chi mai poteva avere un interesse a far ciò nei riguardi di Dino? Chi mai si occupava seriamente di lui? A meno che non ci sia stato di mezzo un odio verso i suoi.

Ma anche questo mi pare da escludere: la famiglia era delle più benvolute in paese. Non odio, non persecuzione; l'atteggiamento dell'ambiente verso di lui era bensì un senso di scandalo, quasi di costernazione, per le sue abitudini, e di imbarazzo e di timore in sua presenza, perché lo ritenevo matto; ad ogni sua ricomparsa, alla notizia di qualche sua nuova impresa, era magari un gran dire: "eh, povera famiglia; eh, che disgrazia!", ma nessuno gli muoveva vero rimprovero, appunto perché lo consideravano irresponsabile.

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Luigi Orsini

 


 

Un’ignota cartolina di Dino Campana

 

di Antonio Castronuovo 

 

Da "La Rassegna della Letteratura Italiana”, a. 106, serie IX, luglio-dicembre 2002

 

 
In una cartella dell’Archivio Luigi Orsini conservato presso la Biblioteca Comunale di Imola è custodita una cartolina di Dino Campana assente nelle diverse edizioni di lettere del poeta di Marradi. Il documento consente  di ricostruire alcuni tratti della biografia  campaniana nell’agosto del 1917. La cartolina è contenuta in un foglietto bianco piegato in due, a mo’ di custodia, sul quale appare una scritta di pugno di Luigi Orsini: «Dino Campana di Modigliana». Va notato che quello di Luigi Orsini è un archivio abbastanza anomalo: sembra preparato dall’autore in vista della conservazione postuma, con molte glosse stilate di sua mano.
 
La cartolina raffigura in bianco e nero un panorama di Marradi, il paese nativo di Campana. Sul retro, sotto lo spazio per l’indirizzo, appare  la  stampigliatura  che  classifica l’immagine e ne fissa la data di produzione: «Ufficio Rev. Stampa – Milano, 4.7.1917  –  N. 1392». Il timbro postale sull’affrancatura è ben leggibile: «Marradi, Firenze, 19.8.17». La  cartolina  è  indirizzata  al «Prof. poeta / Luigi Orsini / Imola» e contiene il seguente testo in colonna:

 

Rispettosi  
 
saluti  
 
devmo  
 
Dino Campana
 
(soffre)  
 
Marradi.
A matita, sotto le parole campaniane, spicca l’annotazione: 
 

autore dei «Canti Orfici»  

morto pazzo

Innanzitutto un breve cenno su Luigi Orsini, nipote di quel Felice Orsini che aveva  attentato alla vita di Napoleone III (Luigi era figlio del fratello di Felice). Nato a Imola il 13 novembre 1873, si laureò in giurisprudenza a Bologna dove conobbe Pascoli e Carducci. Dal 1911 al 1938 tenne la cattedra di Letteratura poetica e drammatica al regio Conservatorio di Milano. Era una cattedra di prestigio, dato che Orsini era subentrato a Emilio Praga e a Giuseppe Giacosa e che dopo di lui fu tenuta da Salvatore Quasimodo.

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papessajpg

 

Campana eretico

 

         Guglielmina e Manfreda al balcone           

                                 

                                    di Paolo Pianigiani       

                         


Tutto o quasi è stato detto sul poeta di Marradi, ma che nelle sue poesie abbia parlato di eresia non l’aveva ancora detto nessuno. Almeno che io sappia.Due poesie del Quaderno (contenente testi autografi di Dino Campana, ritrovato in un baule dal fratello del poeta, Manlio, e pubblicato da Enrico Falqui nel 1942), contraddistinte dai numeri XIII e XXVI, parlano di due personaggi femminili, Guglielmina di Boemia e Manfreda da Pirovano .
Basta sfogliare un libro che parla di eresie e queste due figure misteriose, fra le poche ad avere un nome, fra i personaggi che compaiono nelle opere di Dino Campana, acquistano subito densità  storica e si diffonde nell’aria odore acre di roghi e di Sante Inquisizioni.      

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coveresine

 
 
 

Sul "male" di Dino Campana

 

di Gabriel Cacho Millet

 

Da "Resine", n. 57-58, luglio 1994

 

 
 
Chi passa dalla lettura dei Canti Orfici a quella delle migliaia di pagine scritte sulla vita dell'autore resta immancabilmente deluso. Il poeta degli Or­fici è altrove. Spesso mi sono chiesto cosa hanno in comune il Dino Campana dal genio folgorante che canta nei Canti con quel poveretto di Marradi dallo stesso no­me, ingombrante ospite di carceri, ospedali, prefetture e manicomi, perseguitato ed errante. E ora ho voglia di rispondere: nulla. Ma il mito, la leggenda, alcuni biografi e qualche critico (Boine, Papini, Soffici, Binazzi e altri) ce lo hanno consegnato in un solo pacco come il "poeta pazzo", vittima della poesia e non solo della poesia, quasi mai come chi a un tratto, dal fondo della sua notte, «mette in questione l'atto stesso di scri­vere» (Ruggero Jacobbi, L'avventura del Novecento, Milano, Garzanti, 1984, p. 450).
 
Una pesante barriera si è alzata tra noi e la sua singolare avventura col verbo, costringendoci a leggerlo con l'ossessione di scoprire dietro ad ogni verso, in agguato, il mat e sarebbe l'ora di allontanare quello spettro con un'a­nalisi scientifica del quadro della sua malattia, che certamente non spiegherà la sua poesia, ma ci aiuterà a leggerlo meglio. Dove leggerlo meglio significa che è doveroso che gli psicanalisti, gli psichiatri e gli storici della psichiatria in Italia stiano da una parte, e i critici letterari dall'altra. Nel 1957, Manlio Campana, fratello del poeta, chiese a Michele Campana (lo scrittore di Modigliana, compagno di Dino al Convitto Salesiani di Faen­za, ma da molti creduto per sbaglio suo cugino), di togliere dalle future edizioni della poesia Salgo per scale nere (Tre squilli, Firenze, "Il Fauno", 1957, p. 8) la dedica seguente: «A Manlio Campana nel nome del suo infelice fratello Dino».
 

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Appendice agli Inediti del 1942: i manoscritti

 

Nella Appendice, alla fine del volume Inediti, edito da Vallecchi nel 1942, Enrico Falqui inserì una serie di riproduzioni di manoscritti originali in suo possesso.

Si tratta di:

  •  una lettera (non spedita e ritrovata dai familiari di Dino) con due poesie, scritta da Genova alla rivista La Lettura

  •  quattro pagine del Quaderno,

  •  alcune lettere con testi poetici indirizzate a Mario Novaro, il direttore della Riviera Ligure.

 


 

SPETTABILE REDAZIONE DELLA LETTURA E CORRIERE DELLA DOMENICA...

 

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  1. Eduardo Scuhré: I Grandi Iniziati
  2. Walter Della Monica: Dino Campana
  3. Silvano Salvadori: Il Quaderno
  4. Andrea Zanzotto, Il mio Campana

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