20 AGOSTO 2002
 
 
 
 
Un giorno verso la fine del '59, avevo vent'anni e una vecchia millequattro, mio zio mi chiese di accompagnarlo in un grande ospedale allora quasi fuori Roma: dovevamo fare visita a una poetessa morente.
 
"Non solo la conosco da tutta la vita", mi spiegò lo zio durante il tragitto, "le devo i primi vaghi fremiti di erotismo. Quando ero bambino mi portava al cinema, qualche volta, innocentemente. Ma sapevo della sua fama di mangiatrice di uomini, e perciò la vedevo in una luce tutta speciale. In qualche modo, mi turbava".

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«CANTI ORFICI» DI DINO CAMPANA

 

di Silvio Ramat

 

da: La poesia italiana

1903-1943

 

Quarantuno titoli esemplari

Marsilio 1997

 

 

Stagione di rigogliose fioriture autobiografiche e di non meno trascinanti verità d'autore consegnate a un genere istintivo qual era, e più non è, l'epistolografia, il primissimo Novecento ci affida comunque un libro, il libro unico di un poeta (i Canti orfici di Dino Campana), che quei sostegni non li possiede.

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