Giosuè Carducci
Walter Mauro: Il rapporto fra Giosuè Carducci e Dino Campana
Dal primo numero del 2007 della rivista, "Pagine della Dante", della Società Dante Alighieri
Nella notte del 16 febbraio del 1907, esattamente cento anni fa, moriva Giosué Carducci, a settantadue anni, e con lui scompariva la prima figura rappresentativa di quel secondo Ottocento che ha rappresentato per la poesia italiana l’avvio di un dettato poetico nuovo e diverso, dopo la grande triade del preromanticismo e dell’idealismo che con Foscolo, Manzoni e Leopardi aveva rappresentato un momento di intensa e incomparabile tensione poetica, i cui riflessi, del resto, non mancheranno di illuminare anche la parola e il lavoro letterario della seconda parte del secolo, fino al primo Ottocento. Due giorni dopo quel 16 di febbraio, si svolsero i funerali: dietro il feretro, da Mura Mazzini fino al cimitero della Certosa, a Bologna, c’erano autorità politiche, Filippo Turati fra gli altri, Alfredo Oriani, e soprattutto, come presenze non soltanto simboliche, Giovanni Pascoli dalla pace di Barga, e Gabriele D’Annunzio.
Leonetta Cecchi Pieraccini, ritratto di Emilio Cecchi, 1916
Emilio Cecchi: False audacie
Pubblicato su: La Tribuna, Roma, n. 44, 13 febbraio 1915, p. 3.
Quasi una stroncatura...
Vinciamo la ripugnanza: accostiamo alle cose pure le profane. E diciamo due parole d'una scarlattina letteraria di questi ultimi tempi, che molti credono effettivamente portata da Mallarmé e da Rimbaud. Già l'avventura di questi due poeti in Italia, finora, era stata dolorosa. Ma le cose ora tirano al tragico; che sono entrati in mezzo gli imitatori, sfruttando insolenti e spensierati, come una cagnara di ragazzi assalta un pomario. - Naturalmente a Mallarmé e a Rimbaud, questi non debbono nulla. Sono gli ispiratori, i profeti, i negri; forse non li hanno nemmeno letti. - In tutto di questo di vero c'è, che è come non li avessero letti; perché non hanno saputo vederci se non un invito più conveniente di un altro alla loro improntitudine e pigrizia.
Sul "male" di Dino Campana
di Gabriel Cacho Millet
Da "Resine", n. 57-58, luglio 1994
IL “QUADERNO” DI DINO CAMPANA
di Silvano Salvadori
I Canti Orfici hanno costituito il prevalente terreno di caccia della critica letteraria. Forse di nessun poeta possiamo seguire un’evoluzione di testi poetici tanto sofferta e per di più testimoniata
Se fu avventurosa la vicenda del manoscritto dei Canti, non meno lo è stata quella dl Quaderno. Ritrovato dal fratello Manlio e contenente 43 composizioni, fu consegnato ad Enrico Falqui che ne curò la pubblicazione nel 1942 con la riproduzione fotografica di cinque pagine; il Falqui indicò a margine le varianti dei vari versi, senza fare una dettagliata ricostruzione delle sovrapposizioni nella stesura, densa appunto di ripensamenti e correzioni. Solo per la lirica “Oscar Wilde a San Miniato” la Ceragioli, in Belfagor, fece una trascrizione diplomatica che rivelò l’intenso lavoro di riscrittura tipico del poeta di Marradi.
Alfredo Gargiulo: Dino Campana
da "L’Italia Letteraria", IX, 1933, 9 pp. 1-2.
Pur attraverso il solito schema dell’ « infelice di genio », la figura di Campana uomo è abbastanza nota. E comunque son da vedere, per la biografia, l’articolo del Soffici: Dino Campana a Firenze, e la prefazione del Binazzi all’Opera completa. Senonchè, circa le doti del Campana quali risultarono piuttosto dalla vita, a noi non sembra utile alcun rilievo: tranne forse questo. Racconta il Binazzi (ed altre testimonianze concordano): « a certi momenti, quando le facoltà luminose del suo intelletto, accendendosi tutte, lo ponevano in istato di grazia, riusciva a dir delle cose addirittura meravigliose, anche per profondità. Sentenziava di popoli e di stirpi con acume di storico lungimirante, caratterizzava l’arte o la poesia dei vari popoli con tocchi da maestro ». Infatti, a ben guardare, ogni altro dato biografico non c’interessa; se non è poi neanche vero che le deficienze dello scrittore già accusino specificamente lo squilibrio cui alla fine soggiacque l’uomo. Passando allo scrittore come non avvertire, preliminarmente, che la poesia del Campana resta invece, ancora oggi, in una sorta di limbo? La critica aiutò pochissimo; e si dica lo stesso delle scelte antologiche.
EMILIO CECCHI
DINO CAMPANA
da: L'Approdo, Gennaio - Marzo 1952
Ringrazio l'amico Silvano Tognacci per avermi fornito questo importante documento. (p.p.)
Se uno torna col pensiero agli anni della formazione, in Italia, d'un nuovo senso della poesia, è colpito al vederli, così brevi anni, ingombri di tanti morti; e tutti morti giovani, o assai giovani : Corazzini, Michelstaedter, Gozzano, Locchi, Onofri, Bastianelli, Boine, Serra, Slataper. Dino Campana non fu tra i più giovani, relativamente alla morte materiale; ma gli anni da lui passati, fra il 1918 e il decesso nel 1932, in uno spedale psichiatrico, furono anni di morte. Quanto sorprendente e quasi mitologica era stata l'apparizione, fra le scomparse più tragiche fu quella di Dino Campana.
Ruggero Jacobbi
L'ESILIO E LA VISIONE
di
Ruggero Jacobbi
Intervento "a braccio" al convegno fiorentino organizzato dal Gabinetto Vieusseux
Pubblicato su "Dino Campana oggi", Vallecchi 1973
Sono veramente imbarazzato dalla circostanza di dovervi ammannire la mia eloquenza « a braccio » dopo i testi scritti, meditati e letti, di coloro che mi hanno preceduto. Non ho nulla di scritto. Cercherò brevissimamente di vedere in Campana e soprattutto nei « viaggi » di Campana (viaggi reali e immaginari), per piccoli esempi, l'incontro fra due temi di fondo, che non sono soltanto suoi ma di tutta una zona della poesia fra i due secoli: il tema dell'esilio ed il tema della visione. Anche in Campana si è manifestato, nella fattispecie di una Pampa e di un Sudamerica divenuti mito, quel desiderio di un libro da « negro », di un libro da « pagano », di un libro da noneuropeo, che Rimbaud espresse proprio in questi termini. Allo stesso tempo (come cercherò di dire, non di dimostrare; si dimostra con un apparato erudito, non con improvvisazioni) questa volontà di mettersi in esilio, di andare a cercare un altro spazio, o ciò che oggi chiamiamo Terzo Mondo, coincide — in quanto non sempre legato ad una realtà sperimentata, ma più spesso a memoria e fantasia — con la capacità visionaria di Campana. Basta guardare sulla pagina i passi dei Canti orfici e degli Inediti che si riferiscono all'Argentina.
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