Giuseppe De Robertis: Sulla poesia di Campana
Pubblicato sulla Rivista Poesia, Annata III, Fascicolo 6, marzo 1947
Giuseppe De Robertis su "LA VOCE", nella rubrica "Consigli del libraio", in un primo momento scrisse dei "CANTI ORFICI" così e non più che così: "notevole, ne riparleremo". In un secondo tempo, e cioè il 30 Dicembre 1914, apparve, sempre su "LA VOCE" un articolo di Giuseppe De Robertis. Tornò egli a parlare di Campana nel 1930 e infine, con un saggio critico "Sulla Poesia di Campana", nel 1947. Considero, quest'ultimo studio, il migliore di quanti sono stati fino ad oggi scritti su la poesia di Campana.
da Don Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte,
Collana "Gli Inediti" N. 6, Tipografia Sbolci, Fiesole,1971
Il primo incontro con Campana è felice e inquietante. Annota e finisce impressioni liete, dora la pagina d’un’arte lieve; e insieme soffre d’una incapacità a esprimersi, e tutto si agita e smania. Dosa le parole e le adorna come un classico; e s’affanna poi di non poter toccare il segno. Quelle impressioni, tu le collochi bene nel tempo, in quell’aria brillante che impregnò di sé l’estro dei frammentisti e liricisti (« La pioggia leggera d’estate batteva come un ricco accordo sulle foglie di noce » C. 61 [Canti orfici, III ediz.], « la costa è un quadretto d’oro nello squittire dei falchi » C. 62, « II fiume si snoda per la valle: rotto e muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d’azzurro » C. 65 », La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti » C. 52: già con una lineatura, una flessione limpida; e aveva cominciato dalle simmetrie più elementari: « fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti » C. 14); e subito appresso esse denunziano una febbre che è di Campana soltanto, a cui Campana deve le riuscite migliori, le quali soverchiano, appunto, quelle degli impressionisti e dei liricisti in blocco.
La Brigata
Dal «GIORNALE DEL MATTINO» (Bologna), 25 dicembre 1914
«E’ una vera rivelazione: Soffici pensa che sia l’unico volume di poesia uscito in quesťanno. Leggilo». In questi termini l’amico Ferrante Gonnelli il libraio fiorentino, che ricorda nell’aspetto, nell’intelligenza e perfino nel nome, che sembra colto a una novella del Lasca, i suoi confratelli del quattro e del cinquecento, mi scriveva giorni sono mandandomi un povero libercolo giallo non di sua edizione, ma stampato da una tipografia di provincia. Dino Campana? Sì, mi ricordavo di aver letto qualche cosa di molto interessante in uno dei più recenti numeri di Lacerba. Nient’altro.
L‘ invito però di un uomo di buon gusto come il Gonnelli, suffragato dall’opinione ď un grande artista, non meno che il ricordo dell‘ impressione personale, mi invogliarono subito alla lettura.
PER UN PIÙ LUNGO GIORNO
di Domenico de Robertis
Quando Dino Campana affidò a Papini e a Soffici, l'inverno del 1913, il manoscritto di quella raccolta di poesie e di prose che oggi sappiamo s'intitolava II più lungo giorno, senza volerlo si era premunito per una lunga latitanza del suo libro; e, in un certo senso, aveva cooperato alla sua sparizione. Il manoscritto era nato per durare e sopravvivere (è, oggi, il meglio conservato degli autografi di Campana); e per durare e sopravvivere più a lungo di quanto non sia rimasto sepolto tra le carte di Soffici aveva, se così si può dire, la vocazione dell'oblio. A quella data per noi abbastanza remota, un anno avanti la prima guerra mondiale, il libretto su cui Campana aveva trascritto il nucleo fondamentale di quelli che saranno i Canti orfici poteva avere forse due secoli! Dopo la notizia della sua ricomparsa, e l'emozione di ritrovarci davanti questo libro amato e perduto, proprio perdutamente amato, è stata questa, almeno per me, la sorpresa più grossa del vivo incontro col manoscritto del Più lungo giorno.
Giovanni Boine: Canti Orfici
Giovanni Boine
Prima pubblicazione Agosto 1915, su "La Riviera Ligure". Rubrica "Plausi e botte"
Copertina su carta giallo droghiere. Sul retro fra parentesi proprio in mezzo è stampato Die Tragödie des letzten Germanen in Italien (ci hanno da ultimo incollata su una strisciolina rossa come una pudica camicia, ma l'ho, da buon Gobinista, che diamine! grattata via con cura). Il ringraziamento prefazionale ai signori sottoscrittori è messo in ultimo al posto dell'indice, il quale come inutile non è stato fatto; e lì è pur ricordato «il coscienzioso, coraggioso e paziente stampatore sig. Bruno Ravagli» cui dunque nemmeno noi lesineremo le nostre cattedratiche lodi, sebbene parecchie lettere nel testo sian capovolte ed a pag.151 la riga che nientemeno dice «diosa virginea testa reclina d'ancella mossa» sia, com'è confessato, «andata all'aria» La carta a piacer suo muta di qualità tre volte in centosettanta pagine, brache, giacca e gilet di tre diversi vestiti. Inoltre è utile aggiungere che il libro è finito con queste sacramentali parole messe fuori testo a mo' d'epitaffio o di chiusa: They were all torn and cover'd with the boy's blood: cosicché BLOOD rosso e pauroso come una stilla od una ditata, sta lì (traccia d'assassinio o di liturgico sacrifizio?) come il tragico sigillo dell'opera.
Eugenio Montale: Sulla poesia di Campana
da: L'Italia che scrive, 1942
[...] Campana poeta visivo o poeta veggente? L'impressione che ci ha lasciato una recente rilettura dei Canti Orfici — voglio anticiparla fin d'ora — è che le corna di questo dilemma siano tutt'altro che inconciliabili: se è vero che anche i critici di Campana meno inclini a misticismo e irrazionalismo gli concedono « illuminazioni spinte fino al mito » (Gargiulo) e negano che per lui si possa parlare di semplice impressionismo (Contini); mentre d'altro lato il migliore interprete dell' « infrenabile notte » del poeta (Carlo Bo) si è espresso in frasi e immagini (« una poesia che non ha avuto il tempo dei fiori o l'ha avuto con il soccorso anticipato e crudele dei frutti ») che lasciano trasparire almeno un limite di questa poesia. L'osservazione, facile a farsi anche se non fosse confermata da ricordi personali, che Campana fu presto tenuto d'occhio dagl'intendenti, non deve far pensare che gli intonarumori del momento (futuristi, lacerbiani, ecc.) abbiano prestato molta attenzione all'autore dei Canti Orfici. Lo tennero per uno dei loro, forse, ma a debita distanza; e Campana stesso non li ricambiò di grande simpatia.
Gianfranco Contini
Gianfranco Contini: Campana poeta visivo
da:
Letteratura
Firenze 1937
Visions de route, de campagne, de voyage à pied, d’alcools: queste sono le Illuminations in un rigo, quali, più o meno esattamente, ha creduto di poterle riassumere Thibaudet, o è un sommario dei Canti orfici (un po’ meno alcoolici, un po’ meno afrodisiaci)? Già col raccogliere, sullo stesso piano, poesie e prose, lunghe solo fino all’esaurimento d’un tema, o d’una catena tematica, di passeggiata, e raccoglierle sotto quel titolo, Campana poneva se stesso, proprio negli anni della «scoperta» di Soffici, come un Rimbaud italiano; si faceva leggere nella chiave, nel ruolo d’un «voyant».
Ma Campana non è un veggente o un visionario: è un visivo, che è quasi la cosa inversa. («Che le corna di questo dilemma siano tutt’altro che inconciliabili», ha poi inteso di mostrare Eugenio Montale (Sulla poesia di Campana, nell’Italia che scrive di settembre-ottobre 1942), acutamente insistendo sulla dilatazione linguistica che Campana volle germanicamente conferire all’italiano). «Un treno: si sgonfia arriva in silenzio, è fermo: la porpora del treno morde la notte»: quell’ansito sottinteso, quando giunge al silenzio, e a un «silenzio occhiuto di fuoco», si scioglie in una visione ardente.
Si dice: un visivo, e s’intende qui un temperamento così esclusivo da assorbire e fondere in quella categoria d’impressioni ogni altra; com’è dello sparo di mezzogiorno calato nella «verde» campagna: «gli ultimi soffii di riflessi caldi e lontani nella grande chiarità abbagliante e uguale quando per l’arco della porta mi inoltrai nel verde e il cannone tonò mezzogiorno». E’ facile osservare come nel momento in cui la fantasia di Campana tocca la regione emiliana dai contorni netti e dalle tinte sicuramente campite, Bologna o Faenza, la sua potenza dl rappresentazione visuale si sfreni. Luogo ideale di Campana, che accoglie il lettore già dalla soglia dei Canti orfici: La Notte.
La notte di Dino Campana
di Carlo Bo
Pubblicato su "Resine",
numero doppio n. 58-59,
Marco Sabatelli Editore, Savona, 1994
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