Leonetta Cecchi Pieraccini, ritratto di Emilio Cecchi, 1916
Emilio Cecchi: False audacie
Pubblicato su: La Tribuna, Roma, n. 44, 13 febbraio 1915, p. 3.
Quasi una stroncatura...
Vinciamo la ripugnanza: accostiamo alle cose pure le profane. E diciamo due parole d'una scarlattina letteraria di questi ultimi tempi, che molti credono effettivamente portata da Mallarmé e da Rimbaud. Già l'avventura di questi due poeti in Italia, finora, era stata dolorosa. Ma le cose ora tirano al tragico; che sono entrati in mezzo gli imitatori, sfruttando insolenti e spensierati, come una cagnara di ragazzi assalta un pomario. - Naturalmente a Mallarmé e a Rimbaud, questi non debbono nulla. Sono gli ispiratori, i profeti, i negri; forse non li hanno nemmeno letti. - In tutto di questo di vero c'è, che è come non li avessero letti; perché non hanno saputo vederci se non un invito più conveniente di un altro alla loro improntitudine e pigrizia.
Sul "male" di Dino Campana
di Gabriel Cacho Millet
Da "Resine", n. 57-58, luglio 1994
IL “QUADERNO” DI DINO CAMPANA
di Silvano Salvadori
I Canti Orfici hanno costituito il prevalente terreno di caccia della critica letteraria. Forse di nessun poeta possiamo seguire un’evoluzione di testi poetici tanto sofferta e per di più testimoniata
Se fu avventurosa la vicenda del manoscritto dei Canti, non meno lo è stata quella dl Quaderno. Ritrovato dal fratello Manlio e contenente 43 composizioni, fu consegnato ad Enrico Falqui che ne curò la pubblicazione nel 1942 con la riproduzione fotografica di cinque pagine; il Falqui indicò a margine le varianti dei vari versi, senza fare una dettagliata ricostruzione delle sovrapposizioni nella stesura, densa appunto di ripensamenti e correzioni. Solo per la lirica “Oscar Wilde a San Miniato” la Ceragioli, in Belfagor, fece una trascrizione diplomatica che rivelò l’intenso lavoro di riscrittura tipico del poeta di Marradi.
EMILIO CECCHI
DINO CAMPANA
da: L'Approdo, Gennaio - Marzo 1952
Ringrazio l'amico Silvano Tognacci per avermi fornito questo importante documento. (p.p.)
Se uno torna col pensiero agli anni della formazione, in Italia, d'un nuovo senso della poesia, è colpito al vederli, così brevi anni, ingombri di tanti morti; e tutti morti giovani, o assai giovani : Corazzini, Michelstaedter, Gozzano, Locchi, Onofri, Bastianelli, Boine, Serra, Slataper. Dino Campana non fu tra i più giovani, relativamente alla morte materiale; ma gli anni da lui passati, fra il 1918 e il decesso nel 1932, in uno spedale psichiatrico, furono anni di morte. Quanto sorprendente e quasi mitologica era stata l'apparizione, fra le scomparse più tragiche fu quella di Dino Campana.
Ruggero Jacobbi
L'ESILIO E LA VISIONE
di
Ruggero Jacobbi
Intervento "a braccio" al convegno fiorentino organizzato dal Gabinetto Vieusseux
Pubblicato su "Dino Campana oggi", Vallecchi 1973
Sono veramente imbarazzato dalla circostanza di dovervi ammannire la mia eloquenza « a braccio » dopo i testi scritti, meditati e letti, di coloro che mi hanno preceduto. Non ho nulla di scritto. Cercherò brevissimamente di vedere in Campana e soprattutto nei « viaggi » di Campana (viaggi reali e immaginari), per piccoli esempi, l'incontro fra due temi di fondo, che non sono soltanto suoi ma di tutta una zona della poesia fra i due secoli: il tema dell'esilio ed il tema della visione. Anche in Campana si è manifestato, nella fattispecie di una Pampa e di un Sudamerica divenuti mito, quel desiderio di un libro da « negro », di un libro da « pagano », di un libro da noneuropeo, che Rimbaud espresse proprio in questi termini. Allo stesso tempo (come cercherò di dire, non di dimostrare; si dimostra con un apparato erudito, non con improvvisazioni) questa volontà di mettersi in esilio, di andare a cercare un altro spazio, o ciò che oggi chiamiamo Terzo Mondo, coincide — in quanto non sempre legato ad una realtà sperimentata, ma più spesso a memoria e fantasia — con la capacità visionaria di Campana. Basta guardare sulla pagina i passi dei Canti orfici e degli Inediti che si riferiscono all'Argentina.
Giuseppe De Robertis: Sulla poesia di Campana
Pubblicato sulla Rivista Poesia, Annata III, Fascicolo 6, marzo 1947
Giuseppe De Robertis su "LA VOCE", nella rubrica "Consigli del libraio", in un primo momento scrisse dei "CANTI ORFICI" così e non più che così: "notevole, ne riparleremo". In un secondo tempo, e cioè il 30 Dicembre 1914, apparve, sempre su "LA VOCE" un articolo di Giuseppe De Robertis. Tornò egli a parlare di Campana nel 1930 e infine, con un saggio critico "Sulla Poesia di Campana", nel 1947. Considero, quest'ultimo studio, il migliore di quanti sono stati fino ad oggi scritti su la poesia di Campana.
da Don Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte,
Collana "Gli Inediti" N. 6, Tipografia Sbolci, Fiesole,1971
Il primo incontro con Campana è felice e inquietante. Annota e finisce impressioni liete, dora la pagina d’un’arte lieve; e insieme soffre d’una incapacità a esprimersi, e tutto si agita e smania. Dosa le parole e le adorna come un classico; e s’affanna poi di non poter toccare il segno. Quelle impressioni, tu le collochi bene nel tempo, in quell’aria brillante che impregnò di sé l’estro dei frammentisti e liricisti (« La pioggia leggera d’estate batteva come un ricco accordo sulle foglie di noce » C. 61 [Canti orfici, III ediz.], « la costa è un quadretto d’oro nello squittire dei falchi » C. 62, « II fiume si snoda per la valle: rotto e muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d’azzurro » C. 65 », La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti » C. 52: già con una lineatura, una flessione limpida; e aveva cominciato dalle simmetrie più elementari: « fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti » C. 14); e subito appresso esse denunziano una febbre che è di Campana soltanto, a cui Campana deve le riuscite migliori, le quali soverchiano, appunto, quelle degli impressionisti e dei liricisti in blocco.
Dal «GIORNALE DEL MATTINO» (Bologna), 25 dicembre 1914
«E’ una vera rivelazione: Soffici pensa che sia l’unico volume di poesia uscito in quesťanno. Leggilo». In questi termini l’amico Ferrante Gonnelli il libraio fiorentino, che ricorda nell’aspetto, nell’intelligenza e perfino nel nome, che sembra colto a una novella del Lasca, i suoi confratelli del quattro e del cinquecento, mi scriveva giorni sono mandandomi un povero libercolo giallo non di sua edizione, ma stampato da una tipografia di provincia. Dino Campana? Sì, mi ricordavo di aver letto qualche cosa di molto interessante in uno dei più recenti numeri di Lacerba. Nient’altro.
L‘ invito però di un uomo di buon gusto come il Gonnelli, suffragato dall’opinione ď un grande artista, non meno che il ricordo dell‘ impressione personale, mi invogliarono subito alla lettura.