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Gigliola Tallone, omaggio a Giuseppe Pellizza da Volpedo

 


VIRGINA TANGO PIATTI

 

“CANZONE IN MORTE DI GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO”

 

di Gigliola Tallone  

    

Gennaio 2012 - rev. Febbraio 2023

 

 

Una poesia di Virginia Tango Piatti “Agar”

 

Virginia ha scelto per quest’ode dedicata a Pellizza la forma di “canzone”, la più adatta, a mio parere, per la dolorosa dedica all’amico e la sua poetica pittura. Virginia conosceva bene Giuseppe, e lo frequentava assiduamente mentre era ospite del cognato Cesare Tallone, marito della sorella maggiore Eleonora. Aveva vent’anni al suo approdo a Bergamo, per assistere la sorella alla sua prima gravidanza. Irene, la primogenita, nasce a gennaio del 1889 e dopo pochi mesi Giuseppe Pellizza “Pepin” immortala con splendide fotografie il suo amato professore e la moglie con la bambina.

Irene, come si legge in posteriori lettere di famiglia, diventa la coccola di tutti gli allievi di Tallone che frequentavano la casa del professore.

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Emilio Cecchi

 

 

Quel Dino Campana 'selvatico e diabolico'

 

di Emilio Cecchi e Leonetta Cecchi Pieraccini 

 

Da Repubblica, 26 maggio 1990

 

 

A BOLOGNA C' E' UN PITTORE: SI CHIAMA MORANDI

 

Firenze, venerdì 4 gennaio 1918

 

Carissimo mio, prima di tutto ti dirò che ho già avuto il vaglia della Tribuna: che sollecitudine meravigliosa no? (...). Ma senti che mi capita stamani. Mi capita Campana. Fin qui nulla di eccezionale. L'eccezionale, l'inaudito è stata la conversazione; neanche la conversazione: il monologo. A momenti mi pigliava quel profondo sottile tremore che si prova dinanzi ai pericoli perché vedevo il viso del mio interlocutore vieppiù alterarsi e gli occhi lustrare come se fossero di vetro. Egli era in uno stato di eccitamento verboso e immaginativo che rasentava la pazzia.

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Vassalli, la guerra infinita

 

Chi ha «tradito» Dino Campana?

 
Polemica. Nel nome del poeta, 14 anni di accuse tra lo scrittore e il Comune di Marradi

 

di Mario Baudino

 

da La Stampa, Società e Cultura, domenica 12 Aprile 1998

 
 
«I libri rendono infelici... mi hanno fatto soffrire», avrebbe detto, forse sul letto di morte, lo psichiatra Carlo Pariani che ebbe come paziente Dino Campana, uno dei grandi poeti del nostro Novecento, nel manicomio di Castelpulci.

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Nota bibliografica

 

A cura di Enrico Falqui

 

Da: La Fiera Letteraria del 14 Giugno 1953

 

 

La bibliografia sulla vita e sull'opera di Dino Campana è in continuo aumento ed approfondimento. Alla centinaia di voci, già da noi registrate nella recente ristampa dei Canti orfici, sono da aggiungere queste altre trenta, senza peraltro escludere, com’ è  nel proprio di ogni bibliografia, che molte continuino a rimanerci ignote e molte ci siano sfuggite. Perciò saremo grati a chi vorrà, eventualmente, segnalarcele (al viale Giulio Cesare, 71, in Roma).

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Michele Mari

 

 

Campana. La maledizione di essere un poeta

 

Versi estremi. Si stampano i taccuini inediti dell’autore dei Canti Orfici.

Sono la riconferma di un grande genio. La sua vita?

Una tragica favola, oggi diventata un best seller.

Dal Corriere della Sera


15 luglio 1990

 


 

Oh avere un cielo nuovo. Dove fuggire

 

di Michele Mari

 

 

NeIl'inverno del 1913, mentre si recavano alla tipografia Vallecchi, Ardengo Soffici e Giovanni Papini furono improvvisamente accostati da uno strano personaggio. «Ci disse che si chiamava Dino Campana — racconta Soffici che era poeta e venuto appositamente a piedi da Marradi per presentarci alcuni suoi scritti, aveme il nostro parere e sapere se ci fosse piaciuto pubblicarli nella nostra rivista [Lacerba]. Tirò fuori di tasca un vecchio taccuino coperto di carta ruvida e sporca, di quelli dove i sensali e i fattori segnano i conti e gli appunti delle loro compere e vendite, e lo consegnò a Papini”.

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Campana. La maledizione di essere un poeta

 

 

Versi estremi. Si stampano i taccuini inediti dell’autore dei Canti Orfici.

Sono la riconferma di un grande genio. La sua vita? Una tragica favola, oggi diventata un best seller.

 

 

Solo, nel tempestoso silenzio

 

di Carlo Bo

 

Dal Corriere della Sera

 

15 luglio 1990

 

 

Quando Dino Campana morì nel manicomio di Castel Pulci, dove aveva passato ben quattordici anni, nel 1932 la notizia passò sotto silenzio, soltanto il giornale della sera di Firenze ne fece cenno in due righe. Eppure era morto uno dei grandi poeti del Novecento e sotto certi aspetti il poeta puro per eccellenza, un uomo che si era e in maniera tragica identificato con la sua chimera poetica.

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Enrico Falqui con la moglie, la scrittrice Gianna Manzini

 

 

Un disgraziato episodio della vita di Campana

 

di Enrico Falqui

 

La Fiera Letteraria, domenica 27 marzo 1960

 

 

Disgraziatamente la follia cominciò presto a battere alla porta del poeta Dino Campana. Il primo referto medico di cui si abbia notizia dopo quanto iI babbo ebbe a dichiarare fin dal 1900 al professor Brugia del Manicomio di Imola — reca la firma del professor Vitali, risale al 1906 e diagnostica: «una forma psichica a base di esaltazione, per cui si rende necessario il riposo intellettuale, l'isolamento affettivo e morale, e l'uso di preparati bromici».

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  1. Frammento su La Voce
  2. Mario Luzi: Campana, il mistero del manoscritto scomparso
  3. Mario Luzi: Un eccezionale ritrovamento fra le carte di Soffici
  4. Dino Campana nel ricordo di Viola Papini

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