Una lettera inedita
Dino Campana e (Villa) Irma
di Andrea Cogerino
Da: L’Avventura dei Canti Orfici,
Firenze, Edizioni Gonnelli, 2014
Ringrazio Andrea Cogerino di avermi autorizzato a pubblicare questa bellissima lettera di Dino. (paolo pianigiani)
Nel 1917 i miei bisnonni ospitarono a Rubiana "il poeta matto", Dino Campana. Negli anni Ottanta e Novanta mia nonna Alice, figlia di Irma Gallo e Renzo Bottinelli, mi parlava spesso del "poeta pazzo" che sua madre (e suo padre) ospitò tanti anni prima. Stando ai racconti di famiglia che per decenni — quasi cento anni a questo punto — si son tramandati, il poeta Dino Campana era una persona buona e sensibile, ma molto solitaria e sofferente, e un po' matta: andava nel fiume Messa d'inverno (un'ora a piedi dal Mollar, dov'era ospitato presso Villa Irma), spaccava il ghiaccio e faceva il bagno. Mia nonna Alice mi raccontava spesso anche di lettere che il poeta scrisse a sua madre, Irma, e mai ritrovate. A metà degli anni Novanta i miei nonni se ne andarono, e delle lettere non si seppe più nulla.
Una lettera natalizia di Dino Campana
da La Fiera letteraria XV, 52, 25 Dicembre 1960, p. 3
Ricordo d' una vacanza
di Vera Wygod
La lettera fu scritta dal poeta a mo' di ringraziamento, in tempo natalizio come questo, per l'ospitalità datagli dalla proprietaria d'una tenuta, la Granvigna, sita all'imbocco della Val di Susa presso Almese. Avverte la proprietaria (signorina Elisa Albano) riandando colla memoria alla sua vita in villa di allora, che la visita di Campana fu memorabile per un libro francese che egli le diede, un libro ridotto in pessime condizioni, testimonianza del carattere disordinato o di una fin troppo vorace lettura fattane dal poeta. Peraltro, aggiunge la signorina. le macchie o scritti a cui si allude nella lettera erano frutto della fantasia del poeta, visto che sia in casa che sulle pare ti esterne non ce ne sono mai stati. Né poteva trattarsi di scritti sulle mura di case nelle vicinanze poiché la villa sta in piena campagna, fuori dell'abitato.
Per la tomba di Campana
di Piero Bargellini
da:
Poesia, fascicolo 3/4
1946
Marginalia
(trascrizione di Andreina Mancini)
Ho sul tavolino il volume d’Inediti di Dino Campana, aperto sulle tavole finali, a riguardo l’incisione intitolata: ”Tomba di Dino Campana a Badia a Settimo”. A fianco d’un forte campanile che s’alza da terra tondo romanico e termina esagono gotico, si vede una piccola chiesina con rosoncino a mattoni dentro la quale furon riposte le ossa di Dino Campana. Ricordo il pomeriggio domenicale, mi pare del 1939, quando io e mia moglie vagammo lungamente per la pianura di San Colombano, in cerca del cimiterino dove, tra i tumuli dei morti pazzi, era confuso quello del poeta dei Canti Orfici. Sull’imbrunire giungemmo ai piedi del grande campanile abbaziale e scoprimmo la chiesina mezza diruta adibita a stanza mortuaria della parrocchia. Entrammo tra bare e catafalchi, ma il priore, credendoci una coppia clandestina, ci scacciò dalla cappella. Pochi giorni dopo, potei comunicare agli amici il progetto di togliere i resti di Dino Campana dal cimiterino di San Colombano e tumularli nell’antica chiesina ai piedi della potente torre campanaria.
Ritorno a San Colombano
di Piero Bargellini
in «Il Frontespizio», a. X, n° 7, 1938, p. 441
Caro Falqui e caro Bartolini, come vi avevo promesso, sono tornato a San Colombano. Il custode, appena mi ha visto, m’ha fatto cenno d’inoltrarmi pure nel camposanto, e mi ha indicato nel piccolo prato, ora raso, una croce. Con le tue venti lire, caro Bartolini, aveva sùbito comprato una croce, non di legno però, come tu intendevi, ma di ghisa stampata, con base di cemento. Egli stesso aveva poi composto una breve epigrafe, per un cartellino smaltato, e vi diceva: “qui giace la salma di Dino Campana poeta italiano. 1932”.
«Verrò a Firenze per rompervi la testa »
di Enrico Falqui
da “La Fiera Letteraria”, numero 8, giovedì 23 febbraio 1967
Prima della riscoperta del manoscritto Il più Lungo Giorno, presentato al mondo nel 1973, così Falqui sottolineava l'assoluta importanza della perdita da parte di Soffici. (p.p.)
A proposito di Dino Campana e dei suoi Canti orfici vogliamo oggi ren der pubblica, e così sottoporre all’altrui riflessione, una circo stanza che ci sorprende non sia stata ancora avanzata, con la dovuta sottolineatura, da parte di altri, pur essendo numerosissimi coloro che si sono, anche molto sottilmente, occupati dell’opera. L’osservazione riguarda l’integrità del testo dei Canti orfici, quale fu stampato, in Marradi, dal Ravagli nel 1914. Testo che, dopo l’edizione curatane dal Binazzi, per Vallecchi, nel 1928, noi potemmo migliorare nelle successive ristampe vallecchiane del ’41, del ’52 e del ’60, sempre prendendo e tenendo a campione quello della prima edizione, secondo il preciso desiderio dello stesso autore, tuttavia consapevoli, per sua stessa ripetuta confessione, delle inesattezze e delle incertezze cui non gli era stato disgraziatamente possibile sottrarre quelle pagine, scritte « in vari intervalli della sua vita errante » e lasciate « come a testimonio di sé medesimo ». Una testimonianza sulla fedeltà della quale il Campana interveniva di frequente, a voce e per iscritto, con giunte e varianti e correzioni nelle copie offerte agli amici o vendute a estranei: segno che non finiva di esserne insoddisfatto.
Alberto Tallone, lo Stampatore di Alpignano
DINO CAMPANA E I TALLONE
(con fermata a Empoli)
di Paolo Pianigiani
Articolo pubblicato su il Bullettino Storico Empolese anno 2018, dedicato a Giuliano Lastraioli
Premessa
Parlare di poesia con Giuliano non era facile. Quando, credendo di fargli piacere, gli parlai del suo primo e unico libro di poesie, i Canti nell’ombra, mi apostrofò: l'ho rifiutato! Son cose da ragazzi. A me interessa solo la storia, la storia degli uomini... Ma quando, recentemente, siamo andati a prendere la sua biblioteca privata, donata dalla famiglia, insieme agli altri libri, a tutti gli empolesi, ecco la gran sorpresa che non ti aspetti: nella libreria che Giuliano si teneva in casa, lontana dagli occhi di tutti, si è visto che la poesia era ben presente, letta e commentata. Tutta, dai lirici greci fino a Montale. Immancabili i Canti Orfici di Dino Campana. Ne parlammo una volta, lui assolutamente carducciano, io assolutamente, campaniano. Si finì con parlare della Sibilla, concordando che la sua figura di musa per il poeta di Marradi era di secondo piano e forse inesistente, essendo apparsa nella vita di Dino solo dopo la pubblicazione del suo unico libro. Ho approfondito, quel poco, un aspetto della biografia di Dino Campana. Pensando che Giuliano lo avrebbe letto con piacere, con quella benevolenza che non mancava mai. Incidentalmente si citerà anche la nostra Empoli, cosa che gli avrebbe fatto subito alzare in aria il sigaro. Si fermi, qui si deve approfondire! Lui era così, il mondo girava intorno a Empoli. Si ricordi, meglio primo a Empoli che quarantesimo a Firenze!
I raffronti inequivocaboli fra Filippo Tramonti e Dino Campana, montati magistralmente dal mio amico Giancarlo Calciolari sul sito Transfinito.eu
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