Margherita C. Lewis

 

 

Il Poeta e Margherita

 

 E' apparsa dal nulla la misteriosa corrispondente scozzese di Dino, Margherita C. Lewis

 

di Paolo Pianigiani

 

Parlando del carteggio fra Dino Campana e Margherita C. Lewis, in un articolo comparso sul Mondo nel marzo del 1950,  Franco Matacottaa scelse un titolo a effetto, ma nella sostanza improprio: Il Poeta e la Pitonessa. Tutto si poteva dire di Margherita C. Lewis, ma non che avesse l'aspetto e il piglio di una pitonessa. Ancora oggi, in quella vecchia foto riapparsa fra le pagine di un suo libro, La Vita Vissuta e Cantata, dove ci guarda con i suoi grandi occhi malinconici e tristi, fa pensare piuttosto a una persona mite e romantica che a una sacerdotessa invasata.

Del carteggio fra  Dino e Margherita ci sono rimaste le quattro lettere che la Signora scozzese indirizzò al poeta, dalla sua residenza di Rigoli, in provincia di Pisa. Questa lettere sono state pubblicate una prima volta da Matacotta, nell'articolo appena citato e in seguito da Gabriel Cacho Millet, in Souvenir d'un pendu, per i tipi delle Edizioni Scientifiche Italiane di Napoli, nel 1985.

 
giorgio morandi

Giorgio Morandi

 


 

Marilena Pasquali: Gli incontri del giovane Morandi (1910-1914)

L'incontro a Bologna fra Dino Campana e Giorgio Morandi

da HORTUS MUSICUS, n° 11, Luglio – Settembre, 2002

 

Si è chiusa il 29 giugno, presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, la mostra I portici della poesia: Dino Campana a Bologna (1912-1914), a cura di Marco Antonio Bazzocchi e Gabriel Cacho Millet.1 Certamente l’elemento di maggiore interesse dell’iniziativa è rappresentato dal volume, assai documentato e circostanziato, che accompagna l’esposizione dei documenti. E non poteva essere altrimenti, vista la competenza e l’affidabilità dei curatori che hanno saputo fare il punto sullo stato degli studi campaniani su questo tema specifico e raccogliere ciò che a tutt’oggi è noto sull’argomento.

In questo quadro si inserisce anche il contributo storico-critico che mi è stato chiesto in merito all’incontro avvenuto nel 1914 tra il poeta e Giorgio Morandi,2 incontro emozionante per chi oggi scopre la copia dei Canti Orfici, nella prima, ormai leggendaria e preziosissima edizione stampata dalla Tipografia F. Ravagli di Marradi, con dedica del giovane poeta all’ancor più giovane pittore (29 anni l’uno, 24 l’altro):3

 

 

 

Sono il fanciullo più triste

Da La Stampa - TuttoLibri, 1 Luglio 1989

a cura di Fernanda Gigli e Giuseppe Risso

 

 

La lettera che pubblichiamo è una delle ultime scritte da Campana (l'ultima tra quelle indirizzate a Aldo Orlandi) prima di essere rinchiuso definitivamente in manicomio. E' stata spedita da Lastra a Signa (Firenze) il (9 novembre 1917. Campana non ha più nulla da chiedere né agli amici né alla vita, si sente «il più tristo fanciullo della terra che tutte le sue mamme hanno abbandonato». A tratti il discorso sembra perdere lucidità, ma ne acquista in vigore. Campana cerca di recuperare una propria italianità (la cui mancanza gli era stata più volle rimproverata): Guglielmo II diventa così Guglielmone, ma d'Annunzio rimane il vate buffone. Sente che per lui è finita: "Sono felice di vivere queste poche ore che mi restano», ma chiudendo la lettera ha un ultimo guizzo ironico e graffiante per Amalia Guglielminetti.

 

 Riccardo Bacchelli nel 1950

 

Dino Campana triste a morte

 

di Riccardo Bacchelli

 

Dino Campana in vita sua n'halfatte tante, che gli c'entrava anche e perfino il proposito, ogni tanto, di far giudizio e di mettersi in regola con la società. Così, anni prima di pubblicare « Canti Orfici », si iscrisse a Bologna studente in chimica nella illustre scuola del grande Ciàmician. Non so quanto ne imparasse, ma credo che la sua carriera di studente e il proponimento della saggezza finissero in una lite, ch'egli ebbe a attaccare non so con chi e non so perchè; forse, come gli avveniva, senza perchè. Fu nei pressi dell'Università, in Via Zamboni.

 

Lorenzo Gigli

 

 

Le lettere di Campana nell'archivio di Lorenzo Gigli

 

 da: Tutto libri - Sabato 8 Luglio 1989

 

 

DOPO L'ULTIMA SCOPERTA, RACCOGLIAMO LE LETTERE DI CAMPANA

 

di Franco Contorbia

 
 
Cosa aspetta il Vieusseux? Gentile direttore, è forse per un bizzarro gioco del destino che le lettere di Dino Campana a Aldo Orlandi, alle quali Gabriel Cacho Millet ha dedicato investigazioni appassionate e frustranti, siano emerse dall'archivio di Lorenzo Gigli, insieme con altre importanti schegge dell'epistolario campaniano, in perfetta coincidenza con la Campana-Renaissance un po' meccanicamente provocata (ad appena quattro anni dal centenario della nascita!) dalla scadenza dei diritti d'autore: per cui, se non ne ho perduto il conto, ben cinque ristampe dei «Canti Orfici», con e senza allegati, si sono già succedute da gennaio a oggi per le cure, rispettivamente, di Neuro Bonifazi (Garzanti), di Mario Lunetta (Newton Compton), di Sebastiano Vassalli e Carlo Fini (Tea), di Gianni Turchetta (Marcos y Marcos), di Fiorenza Ceragioli (che ha ripubblicato nella Bur il suo commento vallecchiano).

 

 

Gigino Bandini, l'amico di Marradi

 

da Meridiano di Roma, 17 aprile 1938

 

 

Le interessanti lettere di Campana pubblicate in Omnibus (19 febbraio u.s.) contengono la rivelazione di un suo aspetto che ignoravo: il suo credersi perseguitato dai compaesani. Non esito ad indicare come maniaca questa sua persuasione. Ovunque possono essere anime abbiette; e gente capace di basse persecuzioni, con delazioni od altro, può ben esserci nel mio paese: ma chi mai poteva avere un interesse a far ciò nei riguardi di Dino? Chi mai si occupava seriamente di lui? A meno che non ci sia stato di mezzo un odio verso i suoi.

Ma anche questo mi pare da escludere: la famiglia era delle più benvolute in paese. Non odio, non persecuzione; l'atteggiamento dell'ambiente verso di lui era bensì un senso di scandalo, quasi di costernazione, per le sue abitudini, e di imbarazzo e di timore in sua presenza, perché lo ritenevo matto; ad ogni sua ricomparsa, alla notizia di qualche sua nuova impresa, era magari un gran dire: "eh, povera famiglia; eh, che disgrazia!", ma nessuno gli muoveva vero rimprovero, appunto perché lo consideravano irresponsabile.

Luigi Orsini

 


 

Un’ignota cartolina di Dino Campana

 

di Antonio Castronuovo 

 

Da "La Rassegna della Letteratura Italiana”, a. 106, serie IX, luglio-dicembre 2002

 

 
In una cartella dell’Archivio Luigi Orsini conservato presso la Biblioteca Comunale di Imola è custodita una cartolina di Dino Campana assente nelle diverse edizioni di lettere del poeta di Marradi. Il documento consente  di ricostruire alcuni tratti della biografia  campaniana nell’agosto del 1917. La cartolina è contenuta in un foglietto bianco piegato in due, a mo’ di custodia, sul quale appare una scritta di pugno di Luigi Orsini: «Dino Campana di Modigliana». Va notato che quello di Luigi Orsini è un archivio abbastanza anomalo: sembra preparato dall’autore in vista della conservazione postuma, con molte glosse stilate di sua mano.
 
La cartolina raffigura in bianco e nero un panorama di Marradi, il paese nativo di Campana. Sul retro, sotto lo spazio per l’indirizzo, appare  la  stampigliatura  che  classifica l’immagine e ne fissa la data di produzione: «Ufficio Rev. Stampa – Milano, 4.7.1917  –  N. 1392». Il timbro postale sull’affrancatura è ben leggibile: «Marradi, Firenze, 19.8.17». La  cartolina  è  indirizzata  al «Prof. poeta / Luigi Orsini / Imola» e contiene il seguente testo in colonna:

 

Rispettosi  
 
saluti  
 
devmo  
 
Dino Campana
 
(soffre)  
 
Marradi.
A matita, sotto le parole campaniane, spicca l’annotazione: 
 

autore dei «Canti Orfici»  

morto pazzo

Innanzitutto un breve cenno su Luigi Orsini, nipote di quel Felice Orsini che aveva  attentato alla vita di Napoleone III (Luigi era figlio del fratello di Felice). Nato a Imola il 13 novembre 1873, si laureò in giurisprudenza a Bologna dove conobbe Pascoli e Carducci. Dal 1911 al 1938 tenne la cattedra di Letteratura poetica e drammatica al regio Conservatorio di Milano. Era una cattedra di prestigio, dato che Orsini era subentrato a Emilio Praga e a Giuseppe Giacosa e che dopo di lui fu tenuta da Salvatore Quasimodo.

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