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 "Il più lungo giorno" di Dino Campana

Ma qual è il rapporto fra il manoscritto del Il più lungo giorno e i Canti Orfici?

di Paolo Pianigiani

Quando l’ho visto, seminascosto fra i libri di un venditore ambulante, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, non volevo crederci... Il più lungo giorno... Dino Campana. Subito l’ho sfogliato, ho riconosciuto la scrittura, le parole, e la musica delle parole. Era proprio quella una copia del testo famosissimo, scomparso e riapparso a distanza di sessanta anni. A pagina 40 ecco apparire il testo de La Chimera, forse la poesia più famosa.
Una copia anastatica, naturalmente, la numero 800, una delle 1000 stampate dalla casa editrice fiorentina Vallecchi, del "numero zero" dei Canti Orfici, il mitico manoscritto che Dino Campana aveva consegnato a Papini e a Soffici, per averne un parere e per sperare, forse, in una pubblicazione.

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Primo Conti nel 1913

 

 

Intervista a Primo Conti su Dino Campana inclusa con alcune varianti nel volume P. Conti,

La Gola del merlo, Memorie provocate da G. Cacho Millet, Sansoni, Firenze 1983. 

Pubblicato in: Dino Campana Fuorilegge, Edizioni Novecento 1985

 di Gabriel Cacho Millet

          

 

PRIMO CONTI - Ricordo Campana come una specie di spirito vagante sulla terra, una specie d'arcangelo che disse quello che doveva dire e poi sparì. Sembrava uno di quei girovaghi nordici, fisicamente splendido, scalzo, col bastone sulla spalla e appeso al bastone un sacchetto di tela dove teneva i libri, le camice e un paio di scarpe che spesso si infilava per la strada.

Qualche volta è venuto di sorpresa a trovarmi nello studio perché amava il senso popolaresco dei miei collages e non è a caso che Cesare Vivaldi e Luciano De Maria abbiano rilevato nei miei dipinti e nelle mie poesie di allora un segreto legame coi Canti Orfici.

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 Enrico Falqui

 

IL MANOSCRITTO RITROVATO

   

   Ormai ci si era rassegnati a considerare chiusa per sem­pre, e nel peggiore dei modi, la storia del manoscritto ori­ginario dei Canti orfici. Triste e drammatica, se mai ve ne fu di somigliante presso di noi. All'ingrosso è più o meno risaputa da tutti coloro che s'interessano alle fac­cende della poesia; e da tutti è stata, fino ad oggi, com­pianta, tranne in fondo dai due ai quali è giocoforza at­tribuirne la responsabilità. Consegnato dal Campana a Papini e a Soffici affinché lo aiutassero a pubblicarlo, e da Papini a sua volta trasmesso a Soffici, nell'inverno del 1913, quel manoscritto fu perduto e quanto rovinoso sia stato per Campana lo smarrimento è documentato da lettere e testimonianze innumerevoli. Se volle, a sue spese, stampare i Canti orfici in una tipografia di Marradi nel 1914, dovette ricomporli e ricostruirli a memoria. Con quale sforzo e strazio si lascia immaginare.

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Gabriel Cacho Millet: prefazione al "Ritrovamenti biografici e appunti testuali", di Stefano Drei

 

 

PREFAZIONE

Rilevare le ombre che ancora oscurano la biografia di Dino Campana, poeta randagio che tanto soffrì e che scomparve quasi dimenticato nella solitudine di una stanza di manicomio, è un ob­bligo d’amore. Lo chiedono le sue fughe dettate dalla disperazione, le intemperanze che erano la ribellione di chi non si sente amato e poi la miseria, l’asilo notturno, le carceri, gli ospedali, i manicomi e quella solitudine spaventosa di chi ha perduto la compagna più fedele e insostituibile, unica: la poesia.

Ci tocca oggi toglierlo dall’ombra, gettare luce sul suo calva­rio, mostrarlo come autore del solo libro che scrisse e del quale si compie il centenario della pubblicazione. Bisogna illuminare i lati oscuri, cercarlo anche in piccole cose che apparentemente hanno scarsa importanza perché alla luce di tale ricerca si rivela l’uomo e qualche cosa del poeta come sta facendo il meritorio professore di lettere del Liceo Torricelli di Faenza, Stefano Drei.

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eugenio montale con drusilla tanzi detta la mosca

Eugenio Montale e la Mosca, Drusilla Tanzi

 

 

Eugenio Montale: Sulla poesia di Campana

da: L'Italia che scrive, 1942

 

 

[...] Campana poeta visivo o poeta veggente? L'impressione che ci ha lasciato una recente rilettura dei Canti Orfici — voglio anticiparla fin d'ora — è che le corna di questo dilemma siano tutt'altro che inconciliabili: se è vero che anche i critici di Campana meno inclini a misticismo e irrazio­nalismo gli concedono « illuminazioni spinte fino al mito » (Gargiulo) e negano che per lui si possa parlare di semplice impressionismo (Contini); mentre d'altro lato il migliore interprete dell' « infrenabile notte » del poeta (Carlo Bo) si è espresso in frasi e immagini (« una poesia che non ha avuto il tempo dei fiori o l'ha avuto con il soccorso anticipato e crudele dei frut­ti ») che lasciano trasparire almeno un limite di questa poesia. L'osservazione, facile a farsi anche se non fosse confermata da ricordi personali, che Campana fu presto tenuto d'occhio dagl'intendenti, non deve far pensare che gli intonarumori del momento (futuristi, lacerbiani, ecc.) ab­biano prestato molta attenzione all'autore dei Canti Orfici. Lo tennero per uno dei loro, forse, ma a debita distanza; e Campana stesso non li ricambiò di grande simpatia.

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dino campana con autografo

Dino Campana, proprietà Famiglia Campana

 

 

I documenti, gli incipit delle lettere, i fogli di via, le notizie certe... Dino dovunque ha lasciato le tracce delle sue scarpe motose, della sua risata devastante, del suo dolore...

Proviamo a seguirlo per le strade del mondo.

 

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bandini

 

Con me e con Campana

di Luigi Bandini

da Meridiano di Roma, 17 aprile 1938

 

 
Le interessanti lettere di Campana pubblicate in Omnibus (19 febbraio u.s.) contengono la rivelazione di un suo aspetto che ignoravo: il suo credersi perseguitato dai compaesani. Non esito ad indicare come maniaca questa sua persuasione. Ovunque possono essere anime abbiette; e gente capace di basse persecuzioni, con delazioni od altro, può ben esserci nel mio paese: ma chi mai poteva avere un interesse a far ciò nei riguardi di Dino? Chi mai si occupava seriamente di lui? A meno che non ci sia stato di mezzo un odio verso i suoi. Ma anche questo mi pare da escludere: la famiglia era delle più benvolute in paese. Non odio, non persecuzione; l'atteggiamento dell'ambiente verso di lui era bensì un senso di scandalo, quasi di costernazione, per le sue abitudini, e di imbarazzo e di timore in sua presenza, perché lo ritenevo matto; ad ogni sua ricomparsa, alla notizia di qualche sua nuova impresa, era magari un gran dire: "eh, povera famiglia; eh, che disgrazia!", ma nessuno gli muoveva vero rimprovero, appunto perché lo consideravano irresponsabile.

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  1. Contini su Campana
  2. Gabriel Cacho Millet: Con Calvino, solfeggiando "Genova"
  3. Paolo Pianigiani: Intervista a Stefano Drei
  4. Luigi Schenoni: Dino Campana

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