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Dino Campana è nell'aria...

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 Da sinistra: personaggio non identificato, don Francesco Bosi, avv. Giacomo Mazzotti, Lamberto Caffarelli, Diego Babini, Dino Campana, don Stefano Bosi. Foto scattata da Achille Cattani il 3 gennaio 1912, presso la cascata dell'Acquacheta.

Dall'album dell'avvocato Giacomo Mazzotti. Proprietà famiglia Baùsi, Firenze.


 

ORFEO E IL FOTOGRAFO

 

(Foto perdute e ritrovate di Dino Campana)

 

di Stefano Drei

 

 

La cascata che il torrente Acquacheta forma presso San Benedetto in Alpe, non lontano da Marradi, deve la sua fama ad una citazione dantesca. Il fragore che l’acqua produce percorrendo quasi in un sol balzo un dislivello di settanta metri viene dal Poeta paragonato a quello del Flegetonte, fra il settimo e l’ottavo cerchio dell’Inferno.

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 "Il più lungo giorno" di Dino Campana

Ma qual è il rapporto fra il manoscritto del Il più lungo giorno e i Canti Orfici?

di Paolo Pianigiani

Quando l’ho visto, seminascosto fra i libri di un venditore ambulante, davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, non volevo crederci... Il più lungo giorno... Dino Campana. Subito l’ho sfogliato, ho riconosciuto la scrittura, le parole, e la musica delle parole. Era proprio quella una copia del testo famosissimo, scomparso e riapparso a distanza di sessanta anni. A pagina 40 ecco apparire il testo de La Chimera, forse la poesia più famosa.
Una copia anastatica, naturalmente, la numero 800, una delle 1000 stampate dalla casa editrice fiorentina Vallecchi, del "numero zero" dei Canti Orfici, il mitico manoscritto che Dino Campana aveva consegnato a Papini e a Soffici, per averne un parere e per sperare, forse, in una pubblicazione.

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Primo Conti nel 1913

 

 

Intervista a Primo Conti su Dino Campana inclusa con alcune varianti nel volume P. Conti,

La Gola del merlo, Memorie provocate da G. Cacho Millet, Sansoni, Firenze 1983. 

Pubblicato in: Dino Campana Fuorilegge, Edizioni Novecento 1985

 di Gabriel Cacho Millet

          

 

PRIMO CONTI - Ricordo Campana come una specie di spirito vagante sulla terra, una specie d'arcangelo che disse quello che doveva dire e poi sparì. Sembrava uno di quei girovaghi nordici, fisicamente splendido, scalzo, col bastone sulla spalla e appeso al bastone un sacchetto di tela dove teneva i libri, le camice e un paio di scarpe che spesso si infilava per la strada.

Qualche volta è venuto di sorpresa a trovarmi nello studio perché amava il senso popolaresco dei miei collages e non è a caso che Cesare Vivaldi e Luciano De Maria abbiano rilevato nei miei dipinti e nelle mie poesie di allora un segreto legame coi Canti Orfici.

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 Enrico Falqui

 

IL MANOSCRITTO RITROVATO

   

   Ormai ci si era rassegnati a considerare chiusa per sem­pre, e nel peggiore dei modi, la storia del manoscritto ori­ginario dei Canti orfici. Triste e drammatica, se mai ve ne fu di somigliante presso di noi. All'ingrosso è più o meno risaputa da tutti coloro che s'interessano alle fac­cende della poesia; e da tutti è stata, fino ad oggi, com­pianta, tranne in fondo dai due ai quali è giocoforza at­tribuirne la responsabilità. Consegnato dal Campana a Papini e a Soffici affinché lo aiutassero a pubblicarlo, e da Papini a sua volta trasmesso a Soffici, nell'inverno del 1913, quel manoscritto fu perduto e quanto rovinoso sia stato per Campana lo smarrimento è documentato da lettere e testimonianze innumerevoli. Se volle, a sue spese, stampare i Canti orfici in una tipografia di Marradi nel 1914, dovette ricomporli e ricostruirli a memoria. Con quale sforzo e strazio si lascia immaginare.

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Gabriel Cacho Millet: prefazione al "Ritrovamenti biografici e appunti testuali", di Stefano Drei

 

 

PREFAZIONE

Rilevare le ombre che ancora oscurano la biografia di Dino Campana, poeta randagio che tanto soffrì e che scomparve quasi dimenticato nella solitudine di una stanza di manicomio, è un ob­bligo d’amore. Lo chiedono le sue fughe dettate dalla disperazione, le intemperanze che erano la ribellione di chi non si sente amato e poi la miseria, l’asilo notturno, le carceri, gli ospedali, i manicomi e quella solitudine spaventosa di chi ha perduto la compagna più fedele e insostituibile, unica: la poesia.

Ci tocca oggi toglierlo dall’ombra, gettare luce sul suo calva­rio, mostrarlo come autore del solo libro che scrisse e del quale si compie il centenario della pubblicazione. Bisogna illuminare i lati oscuri, cercarlo anche in piccole cose che apparentemente hanno scarsa importanza perché alla luce di tale ricerca si rivela l’uomo e qualche cosa del poeta come sta facendo il meritorio professore di lettere del Liceo Torricelli di Faenza, Stefano Drei.

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eugenio montale con drusilla tanzi detta la mosca

Eugenio Montale e la Mosca, Drusilla Tanzi

 

 

Eugenio Montale: Sulla poesia di Campana

da: L'Italia che scrive, 1942

 

 

[...] Campana poeta visivo o poeta veggente? L'impressione che ci ha lasciato una recente rilettura dei Canti Orfici — voglio anticiparla fin d'ora — è che le corna di questo dilemma siano tutt'altro che inconciliabili: se è vero che anche i critici di Campana meno inclini a misticismo e irrazio­nalismo gli concedono « illuminazioni spinte fino al mito » (Gargiulo) e negano che per lui si possa parlare di semplice impressionismo (Contini); mentre d'altro lato il migliore interprete dell' « infrenabile notte » del poeta (Carlo Bo) si è espresso in frasi e immagini (« una poesia che non ha avuto il tempo dei fiori o l'ha avuto con il soccorso anticipato e crudele dei frut­ti ») che lasciano trasparire almeno un limite di questa poesia. L'osservazione, facile a farsi anche se non fosse confermata da ricordi personali, che Campana fu presto tenuto d'occhio dagl'intendenti, non deve far pensare che gli intonarumori del momento (futuristi, lacerbiani, ecc.) ab­biano prestato molta attenzione all'autore dei Canti Orfici. Lo tennero per uno dei loro, forse, ma a debita distanza; e Campana stesso non li ricambiò di grande simpatia.

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  1. Con Dino, per le strade del mondo...
  2. Luigi Bandini: Con me e con Campana
  3. Contini su Campana
  4. Gabriel Cacho Millet: Con Calvino, solfeggiando "Genova"

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