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Nessuno, credo, si piglia più la briga di andarsi a leggere le cento pagine di poesia di Papini, uscite per Vallecchi nello stesso anno dei Canti Orfici. Ben retribuite con i diritti d'autore quelle di Papini, stampate a cura e spese dell'autore e dei marradesi le altre. Non ci sarei andato nemmeno io, per non perderci il tempo. Ma la stroncatura di Dino, che campeggia nella lettera inviata a Bino Binazzi e pubblicata su La Brigata, richiedeva quel poco di controllo. Ho cercato i rospi e i serponi, tralasciando le maestrine con le ascelle sudaticce. Ed ecco il rospo, custode d'orti, e il frustone, steso al sole, innocuo e fratello.

Dino dipinge sempre dal vivo, e lo fa anche quando stronca.

(paolo pianigiani)

 


 

Precauzione

 

Vogliono che sia soltanto poeta. E allora ecco un po' di poesia.

Se sbagliarono non raglierò contro di loro. Ho in corpo, dopo tre mesi di purgazione, tutto l'evangelismo della lattuga.

Se mi scavo la buca, in queste e simili credenze e fiducie — di aver sensibilità, ad esempio — non chiedo nessun rinvio di giudizio e guardo da molto lontano ogni eventuale avvocato.

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 montano foto

 Firenze 1914

di


Lorenzo Montano

 

da “La Nuova Antologia”, 1954, fascicolo 1837, pp. 73-80


Ci vorrebbe il genio d’uno Stendhal d’un Tolstoi, e forse non basterebbe, per rappresentare a chi non l’ha provato il senso di stabilità da cui era pervaso il mondo fino alla prima guerra mondiale. Mondo ormai ridotto ad una sottilissima scorza ad opera di Marx e di Nietzsche, il Marx dei benestanti, per tacere di tarli più antichi; ma la compattezza e la solidità della nostra illusione non erano intaccate. Il futuro si apriva dinanzi a noi a perdita d’occhio, per generazioni senza numero, variato magari da sviluppi tecnici e sociali (la più parte desiderabili) ma sostanzialmente immutabile.

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Enrico Gurioli, “Barche Amorrate”, ed. Pendragon

  

 

Dal libro di Enrico Gurioli, “Barche Amorrate”, ed. Pendragon, ecco un bel brano dedicato a Giuseppe Vannicola.

 

La redazione ringrazia l’amico Enrico per averci permesso la pubblicazione.

 

 

Dino Campana restava un essere misterioso, oscuro e inquietante anche se la sua momentanea fama era arrivata fra quei tavoli dei caffè fiorentini, diventati  sempre meno ostili,  dove non c’era più Giuseppe Vannicola avendo egli  scelto di terminare la sua esistenza terrena a Capri, l’isola in cui i nomi più illustri della letteratura, della storia, della musica, dell’arte del suo tempo andavano per trascorrere l’inverno.[1]  Capri era di moda; diventata non solo per gli stranieri una moderna Babilonia mediterranea: tutto vi era permesso, comportamenti licenziosi, sfrenate passioni etero e omosessuali, orge che facevano rivivere i tempi dell’ imperatore Tiberio, il quale vi aveva costruito una sontuosa residenza che, secondo la tradizione, era teatro di dissolutezze. Vannicola affermava spesso “Bisogna vivere più di una vita! Spingere fino alla passione la curiosità di tutte le emozioni, moltiplicare ed esagerare se stesso e il mondo. Non più essere o non essere, ma essere e non essere, cioè essere e parere, vivere la propria vita e la propria leggenda”. A Capri cercava forse di respirare anche il clima della nobiltà russa  condannata all’esilio dai soviet  dei primi fermenti rivoluzionari cominciati nel 1905. Nino era stata l’ultima trasgressiva compagna del dandy Vannicola, il vero maudit della scapigliatura fiorentina iniziato ai piaceri del fumo, dell’alcol, dell’assenzio, nei raffinati ambienti culturali parigini. Dopo una crisi mistica smaltita nell’Abbazia di Montecassino con la convinzione di prendere i voti, il richiamo di un mondo fatto di sigarette al mentolo, incerti rapporti sessuali e procaci donne fece tornare Giuseppe Vannicola nel vizio e nel disordine della vita pagana, minando ulteriormente la salute di un organismo debole, infettato dalla sifilide e da una artrite deformante.

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Trafiletto pubblicitario per i Canti orfici


 

La Voce cambia pelle: 15 novembre 1914

 

Lacerba, proprio nel numero che vede la pubblicazione di tre testi in prosa di Dino, estratti dai Canti Orfici, annuncia ai lettori il prossimo mutamento di rotta della rivista La Voce. Il passaggio di consegne è da Prezzolini a De Robertis. Dalla politica e dalla filosofia alla letteratura e all'arte. I firmatari dell'annuncio, sotto lo pseudonimo di "Camerieri", non possono essere che Papini e Soffici.

Abbiamo il piacere di rendere disponibile quella copia di Lacerba, in versione integrale, che comprende, oltre ai tre testi di Dino, anche, in ultima pagina, un curioso trafiletto pubblicitario dei Canti Orfici.

Inoltre c'è una articolo di Ottone Rosai assolutamente da leggere!

La redazione

 


 

LA “VOCE” SI RINNOVA

 

Dopo sei anni di gran lavoro e di bel coraggio Giuseppe Prezzolini, amico anche in guerra, lascia la direzione della Voce. Non la Voce, chè ci scriverà spesso. Ma la vecchia Voce polilatere, più seria che lirica, più sociale che artistica, sparisce con lui.

La direzione è stata affidata a Giuseppe De Robertis, un ragazzo meridionale di molto buon gusto e d’inaspettato profondità critica, il quale, invece di laurearsi, preferisce mettere insieme una bella rivista che raccolga finalmente i nomi più sicuri della giovane letteratura italiana.

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evaristo boncinelli

 

 

L'altra metà della luna: Evaristo Boncinelli

 

 

Da: Carlo Pariani, Vita non romanzata di Dino Campana scrittore

e di 

Evaristo Boncinelli scultore, Vallecchi, Firenze, 1938 

 



Accanto alla biografia dello scrittore Dino Campana si addice, per simile ingegno e destino, quella di Evaristo Boncinelli scultore, sebbene molto differiscano il carattere e le abitudini.
 
Presentiamo un lungo estratto dal volume di Carlo Pariani. Il libro è dedicato a Dino Campana e ad Evaristo Boncinelli. Mentre con Dino lo psichiatra ebbe alcuni incontri, con Evaristo invece il testo si basa sulla lettura delle schede cliniche e su colloqui con i familiari. Evaristo risiedeva a San Salvi, abitualmente nel reparto "Tranquilli". A volte veniva ricoverato per brevi periodi fra gli "Agitati".

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Giaconi Tebaide copia

 

Tebaide di Luisa Giaconi. Tradizione del testo

di Susanna Sitzia

da: «Oblio. Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Ottonovecentesca»

Periodico trimestrale on-line diretto da Nicola Merola

A. IV, n. 14-15, Autunno 2014, pp. 64-78

 

 Luisa Giaconi è autrice di un libro poetico intitolato Tebaide. Poesie. Questo saggio indaga la tradizione del testo.

Editio princeps

Tebaide. Poesie di Luisa Giaconi è un libro postumo. Giaconi morì di tubercolosi all’età di trentotto anni il 18 luglio 1908, cinque mesi prima che il libro fosse finito di stampare a Bologna il 15 dicembre 1908. Il libro è postumo, ma la sua costruzione si deve a Giaconi. È noto che la poetessa operò una severa selezione delle sue poesie; prescelse soltanto diciotto poesie e personalmente ne stabilì la sequenza. L’edizione 1909 di Tebaide è non solo editio princeps ma anche quella originale, l’unica curata e approvata dall’autrice: Luisa Giaconi, Tebaide. Poesie, con un epilogo di G. S. Gargàno, Bologna, Nicola Zanichelli, 1909, finito di stampare il dì 15 dicembre 1908 nella tipografia di Paolo Neri in Bologna (da qui T1909). 

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Dino e l'Antologia POETI D'OGGI di Papini e Pancrazi

 

Papini/Pancrazi, Le ombre di Parnaso, Firenze, Vallecchi, 1973

 

 

L'editore Vallecchi incaricò,  nel 1917, Papini e Pancrazi di realizzare una Antologia di poeti contemporanei, che vide la luce nel 1920, con  il titolo Poeti d'oggi.

I due critici inserirono (pag. 72-78) i seguenti testi di Campana:

La matrona, La petite promenade du poéte, Sulla Falterona, presso la Verna, Marradi, Toscana.

Riproduciamo il carteggio del Maggio del 1917, dove Papini propone a Pancrazi di inserire nella lista dei poeti selezionati anche Dino Campana.


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  1. Marta Questa: Elena Ghika (Dora D’Istria)
  2. Luisa Giaconi, otto poesie, una prosa
  3. Nemi: Una poetessa solitaria
  4. Luisa Giaconi in Francia, una recensione

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