Paolo e Jan, foto di Alena Fialová

 

 

Una poesia di Jan Vladislav

 

 

Dal sito : Le Bar à Poèmes

 

Traduzione di Andreina Mancini 

 

 

 

Brume

 

Di nuovo, comignoli

che fumano nella bruma

del mattino. Di nuovo,

foglie, giorni

dell'albero messo a nudo

che sfiorano in volo

nella tua strada deserta

il selciato bagnato

dell'alba. E di nuovo

cuore, ferita pulsante,

rannicchiato tra i libri,

che pensa solo a te

accanto al fuoco mezzo spento

e ghiacciato. Ma fuori da questi giorni

che crollano sotto il tuo peso, non ci sono

giorni.

 

Crudeltà della felicità

che tu mi insegni,

crudeltà dell'amore

con cui mi travolgi:

vorresti dunque che io

fossi solo una torcia

di resina che brucia

con alte fiamme? Ma non posso

bruciare più in alto.

Posso solo cadere in cenere.

Che la mia ultima

goccia di resina ti divori nel fuoco,

anche te.

 

 Recinto, pianta rampicante,

e in alto, brunito e bagnato,

il muro. Finestre, la tua

e altre due, gocciolanti

ora nella bruma.

Un vecchio albero del marciapiede, scuro,

sanguinante. E il lampione

che tremola e scuote

nell'erba un'ombra

sempre più bucata,

come la vita di qui. Tali sono

le sentinelle. Ma la nostra ombra,

lei, non è diversa: buchi

e bruciature della vita -

lo sappiamo.

 

Crudeltà del rimpianto

che tu mi insegni,

crudeltà del desiderio

con cui mi travolgi:

vorresti dunque

che io danzassi di desiderio

fin sulla punta

di un ago? Ma non posso

fare un passo. Posso solo

fare il grande salto.

Quando rovescerò la sedia

potessi trascinarti con me,

anche te.

 

Recinto, e, davanti,

selciati dove mi attardo

e che calpesto. Dei passi, come

colpi col calcio del fucile sulla terra

bagnata dei fossi. Vicino al sentiero,

nella pozza del suo sangue,

l'albero muore. Dei passi e la notte,

che fischiano nella boscaglia

di fronte. E sopra

nella nebbia, finestra

e rami che bagnano

tutta la notte. Tutta

la notte: non ci senti,

bagnati fino alle ossa,

ci senti mai

dalla finestra, chiedere

aiuto?

 

Crudeltà del pianto

che tu mi insegni,

crudeltà della menzogna

con cui mi travolgi:

vorresti dunque

che io mi cavassi gli occhi    

e conservassi abbastanza forza

per credere? Ma non posso più

neppure gridare. Posso solo

afferrare il mio destino,

il tuo collo, per strangolare

questa sventura.  

 

Tutti chiedono

aiuto, chi respira

e vive. Tutti. Anche colui

che uccide, chiede aiuto

ma prima di chiunque altro

intorno a lui, prima di chiunque altro

intorno a me. Poi lo giudichiamo

da un cuore in cui gonfia

il desiderio crudele, lo stesso,

di prendere questo brandello

sanguinante di vita

intorno al collo e stringere. Tutti

chiedono aiuto. Anche colui

che uccide e vuole vivere,

almeno così.