Cesare Pavese

 

Pavese, Vassalli e la biografia mancata

 

di Gabriele Guccione

 

da: La Repubblica, 2 settembre 2013

 

 

SANTO STEFANO BELBO - Inutile cercare sugli scaffali delle biblioteche. Il libro di Sebastiano Vassalli che Giulio Einaudi, l'editore di via Biancamano, avrebbe voluto fargli scrivere non è mai andato alle stampe.

E neppure è mai stato scritto, nonostante i desiderata del «Re Sole» dell'editoria italiana, il quale «raramente - nota lo scrittore, che del Piemonte ha fatto la sua terra - cercava di guidare un tema a un suo autore».

 - Eppure: «quella volta con me cercò di farlo». Sarebbe dovuta essere la biografia di Cesare Pavese, scrittore cui è intitolato il premio di cui è stato insignito ieri Vassalli a Santo Stefano Belbo, insieme con Claudio Magris, Guido Zavanone e Beppe Severgnini. È una storia di tentativi tra i due, scrittore ed editore. E di «nodi irrisolti» sugli anni della guerra, che Einaudi avrebbe voluto fosse Vassalli a sciogliere.

Tutto ha inizio dalla pubblicazione nel 1984 de «La notte della cometa», romanzo-biografia sul poeta di Marradi: «il percorso di vita, umano e artistico, di un uomo che visse male, Dino Campana». «Il libro colpì molto Giulio Einaudi - ricorda Vassalli - il quale si mise in testa di farmi scrivere la biografia di Pavese». Tentativo andato a vuoto, spiega l'autore de «La chimera»: «Non sarei mai diventato biografo, e un rapporto come quello che ho avuto con Dino Campana (il suo «babbo matto», scrive ne «Le due chiese», ndr) si può avere una volta solo nella vita».

Il «divo Giulio» ci provò. «Mi invitò due volte a Zeme Lomellina - racconta lo scrittore - un posto non lontanissimo da dove abito, diciamo quindi un po' a metà strada, in cui lui che è stato un grande arredatore, cosa forse che gli era più congeniale, era impegnato nel giardino e negli ambienti del vecchio mulino comprato dalla vedova del fotografo Ugo Mulas.

E per due volte mi parlò di Pavese, me ne parlò in un modo un po' strano, con molte cautele e sfumature, non mi disse subito qual era lo scopo di questo suo interesse, lui non era mai diretto». Per Vassalli fu quasi una scoperta, nonostante non diede corso all'invito di Einaudi: «Capii che sul suo rapporto con lo scrittore santostefanese, sicuramente uno dei rapporti centrali della sua vita, erano rimasti dei punti interrogativi, delle cose che lui ancora non riusciva a risolvere, su cui evidentemente pensava che qualcun altro potesse aiutarlo».

Gli anni della guerra. Ecco il «nodo irrisolto» del «Principe» nei confronti dell'amico e collaboratore Pavese, che dopo l'armistizio sfollò a Serralunga di Crea, dove si trovava la sorella, e poi, per sfuggire a una retata repubblichina, presso il convitto dei padri somaschi di Casale, dove per sdebitarsi dava ripetizioni agli allievi. «Einaudi non capiva perché non avesse fatto una scelta di campo, perché venne allo scoperto solo a guerra finita».

Indizio del dubbio è la pagina del diario di Pavese datata 25 aprile 1945: «Quel giorno - precisa Vassalli - annotò: fuori tre fiocchi di neve. Io che avevo tre anni e mezzo mi ricordo che cosa fu il 25 aprile».

Tre fiocchi di neve. Come è possibile? Vassalli se lo domanda ancora, e non è escluso, anche se non sarà la biografia che Einaudi avrebbe voluto, che a distanza di tanti anni possa tornarci sopra: «Einaudi mi disse parecchie cose su Pavesee sugli anni della guerra. Cose che magari, prima o poi, cercherò di tirare fuori in maniera accurata dalla memoria, e che scriverò».

I ricordi pavesiani non si fermano però alla biografia mancata, iniziano dagli anni 60. «Quando cominciai a bazzicare in via Biancamano c'erano ancora persone che avevano avuto rapporti con lui - racconta - C'era in particolare un magazziniere che parlava dei litigi di Pavese con Giulio, litigi anche molto pittoreschi: pare che Pavese si mettesse in mutande per protesta, e la cosa durava per un'ora o due, finché andavano a fargli firmare delle carte; c'erano queste giovani donne scandalizzate. La cosa arrivava all'orecchio dell'editore che andava a fargli una ramanzina e allora lui si rimetteva i pantaloni».