Mario e Carlo Verdone

 

 

 

Protocollo privato

 

Per un inedito di Campana

 

di Mario Verdone

 

da Fiera Letteraria, ANNO II/numero 4 - gennaio 1947, pag. 8

 

 

 

Caro direttore,

la pubblicazione nel numero di Natale della « Fiera », a cura di Franco Matacotta, di una nuova variante del canto noto (non inedito) di Dino Campana, che fu divulgato da Mario Novaro (Riviera ligure, maggio 1916), da Bino Binazzi (Dino Campana, Canti orfici, Vallecchi 1928), da Enrico Falqui (Dino Campana, Inediti, Vallecchi 1942), e da Federico Ravagli (Dino Campana e i goliardi del suo tempo, Marzocco 1942) cui anch'io ricorsi per l'articolo Domodossola in Rinascita di Siena del 12 ottobre 1944; divulgato  sull’autografo-base dedicato al Novaro, per i primi; e sull'autografo Ricordo al caro amico ed eccellente poeta Federico Ravagli per l'ultimo caso; non mi sembra che colmi i vuoti e le oscurità della stesura finora conosciuta, come ritiene il Matacotta, ma anzi riproponga e renda prolissa una questione ormai pressoché risoluta.

E' difficile, anzitutto, colmare in Campana i vuoti e le oscurità: essi sono diventati quasi orme stilistiche della sua stessa poesia. Scrive giustamente il Ravagli (op. cit.) che « gli smarrimenti improvvisi, gli stati d'animo inespressi, le fratture liriche sono una caratteristica dell'arte di Campana. Egli aveva sovente, nelle sue creazioni, delle battute d'arresto, dei momenti attoniti, delle sospensioni che poi, dopo aver molto elucubrato, intendeva fissare nel loro primitivo e genuino manifestarsi ».

Se il Matacotta avesse potuto darci la data esatta dell'autografo da lui visto, forse ci avrebbe evitato di tornare sull'argomento. (Mi sembra, anzi, che in Prospettive, 1941, n. 14-15, egli stesso ritenesse che il Taccuino inedito dovesse situarsi cronologicamente «subito dopo la pubblicazione dei Canti orfici », cioè dal 1914 in poi, e  « prima dell'estate 1916 », cioè prima della pubblicazione in Riviera ligure e in Brigata, Ma poiché tale data egli non ha potuto stabilire con certezza, non possiamo considerare il testo della lirica da lui proposto come definitivo.

Essa infatti, come lo stesso Matacotta scrive sulla «Fiera», è stesa per intero nel taccuino dopo molte cancellature, riprese, modifiche, soppressioni di versi, ciò che fa ritenere che nel taccuino avvenissero soltanto le prime prove della lirica. E niente di più facile che la lirica dovesse perdere altri versi. Ciò dev'essere avvenuto perché la variante Matacotta registra troppi pleonasmi (anche di punteggiatura, v. i versi 8 e 34), ineleganze (« Là se c'è » invece di « Se là c'è » e « E se è elegiaca con il turchino»),  versi  brutti poi depennati (« Ti amo  con smisurato dolore »,  e versi  erratissimi  come « pare far vano le torri » che non si trova in nessun'altra lezione, e su cui il presentatore s'intrattiene invece lungamente per spiegare; ma a torto.

La stesura più accettabile del canto (« E’ nota, scrive il Falqui a pag. 319 degli Inediti, la tumultuosa incontentabilità di Campana, in parte forse dovuta anche alla sciagurata perdita e all'affrettata sostituzione del primo manoscritto dell'opera: di continuo veniva correggendo e modificando i suoi componimenti. Dei quali non per nulla esistono varianti in quantità ») la stesura più accettabile, ripeto, mi sembra tuttora quella dell'autografo al Novaro, adottata dal Binazzi, e rettificata in parte dal Falqui. Ma essa necessita ancora qualche ritocco, in base all’autografo Ravagli e all’esame critico fatto dal Ravagli nel suo libro.

E cioè, prendendo a base l'edizione del  Falqui: il verso 10  si  spezza  in  « Al margine degli occhi » « bruni della sera », come appariva anche dall'autografo Novaro, dove del resto la correzione fatta dallo stesso Campana era evidente. Il verso 39 si corregge in « Lascia il badile prendi il fucile ti tocca andar » (v. il chiaro autografo Ravagli, correzione dello stesso Campana e il commento Ravagli).

 

 

 

 

La frase, infine, «Il paesaggio è costituito dal ponte in riva al secondo fiume» potrebbe essere rettificata con «Il paesaggio è costituito da un ponte oltre il secondo fiume», diversamente dalla lezione Matacotta, piena di pleonasmi, di verbi all'imperfetto e non purificati, e che appare con evidenza non ancora giardinata (v. Ravagli).

Il titolo, e questa mi sembra l’osservazione più importante da fare, non è la dedica A Mario NovaroA M. N. (così ridotta dal direttore della Riviera ligure, come parrebbe dall'autografo Novaro; e neppure la dedica precedente (di circa un anno e mezzo) Ricordo al caro amico ed eccellente poeta Federico Ravagli nel modo che si legge nell'autografo riprodotto dal Ravagli nel suo libro, e che risulta tracciato su un foglio di carta da lettere del Bar Nazionale di Bologna. (La dedica fu cambiata da Ravagli a Novaro, dice i1 Ravagli, per «un omaggio reso al direttore della rivista da Campana, fatto immemore, ormai, del dono riservato al vecchio e nient'affatto illustre amico, di cui non aveva più notizie da quasi un anno e mezzo»).

E forse, per finire, neppure Canto proletario italo-francese come fu in origine nella stesura meno corretta, (quella del Matacotta) a quanto riferisce il Matacotta nel suo commento; ma, se non sbaglio, il titolo dovrebbe essere semplicemente Domodossola, il quale è conservato sia nell'autografo donato al Ravagli sia in quello donato al Novaro: cioè i due unici autografi attendibili della lirica.

E escludo anche l’autografo posseduto dal Bejor, che reca soltanto i primi dodici versi di Domodossola conclusi con due ecc. ecc.. Di questo autografo fu tenuto conto dal Falqui a pag. 283 degli Inediti; ma mi sembra senza utilità, dato che,  a quanto  attesta il  Ravagli, il  Campana  offriva «liriche mutilate»,  al Bejor - e  a  molti altri -  quando «intendeva iniziarlo a gustar la sua poesia» e « aveva il proposito di avviarlo grado a grado alla conoscenza della sua arte ».

Domodossola dunque il titolo, come il confine italiano che aveva attraversato e amato, e a cui nel canto  alludeva;  «Domodossola, come  una  canzone  all'Italia»,  e  anche  canzone   dell’intervento («prendi il fucile ti tocca andar». Al più, Domodossola 1915, che Falqui mantiene prudentemente in cima al suo testo, ma fra parentesi: dove il 1915 può essere anche una data di comodo.

Riprendere l’argomento critico della edizione esatta di questa lirica mi è sembrato necessario, non tanto per non turbare l'equilibrio di una lettura ormai accettata e chiara, quanto anche perchè, come scrive il Ravagli, «nessuna fu altrettanto nota a quelli che furono vicini al poeta». Fu infatti «la sua lirica preferita. Per vie solitarie o fuori di porta, in discreta compagnia, ne andava sovente declamando i primi versi con tono jeratico, con voce notturna ».