Washington 1924, delegate WILPF di fronte alla Union Station (Foto appartenuta a Virginia Tango Piatti delegata WILPF)

 

 

Il WILPF

 

di Gigliola Tallone

 

 

Virginia Tango Piatti si reca a Washington il maggio 1924 come delegata italiana WILPF (Lega Internazionale delle donne per la Pace e la Libertà), in sostituzione della prof. Ida Vassalini del gruppo di Milano, malata e impossibilitata ad affrontare il lungo viaggio.
La casa fiorentina di Virginia di via della Fornace 9, frequentata da intellettuali e artisti e definita da un amico “la casa dell’utopia”, era stata perquisita il gennaio dello stesso anno, e vi furono sequestrati opuscoli di “Pax International”, la editrice del WILPF. Riesce, nonostante sia sotto stretta osservazione della polizia politica, a lasciare l’Italia, affidando il figlio decenne al direttore del collegio Domengè-Rossi.  Dal 1920 Agar aveva aperto la sede fiorentina WILPF in casa sua in via della Fornace 9.

Nel libro “Report of the fourth congress Women’s International League for Peace and Freedom, Pax, english edition, 1924”, sono riportati gli interventi delle prestigiose delegate provenienti dall’Europa, Giappone, Stati Uniti, e Italia, sotto l’egida della presidente internazionale Jane Addams. Virginia promette, al ritorno in patria, di pubblicare articoli sull’esito del congresso: “I shall express in public lectures the voice of this noble congress”. Manterrà la parola con gli articoli pubblicati in La Vita internazionale del 25 dicembre 1924 “Echi dell’ultimo congresso femminile per la pace a Washington” e nel Nuovo Giornale del 20 agosto 1924, intitolato “L’America e il problema dei negri”.

Virginia viene eletta, nel corso del congresso, membro della commissione della stampa internazionale. (Report... Washington 1 to 7, 1924, Pax Eglish Ed., cit.)

 

 


 

 

 

 

 

L’America e il problema dei negri

 

Agar (Virginia Tango Piatti)

 

Da: Il Nuovo Giornale di Firenze, 23 - 8 - 1924

 

 

NEW YORK, agosto.

 

Si viene, sì, a far la corte all'America con un bagaglio di bei sogni e di speranze. I dollari luccicano, di lontano, emblemi di pace e d'indipendenza.

Si sa da tutti che, prima di sbarcare a New York, la grande statua della Libertà ci saluterà lietamente da un'altura. Si sa che a Washington l'obelisco gigantesco che forma la tomba del Grande e dinanzi a cui sfilano ogni anno milioni di americani, è un monumento definitivo dell'indipendenza delle razze, degno di sfidare i secoli. Si sa che il Mausoleo di Abramo Lincon colui che per abolire la schiavitù ha offerto la vita come Cristo, è tutto un'apoteosi dell'affrancamento dei popoli e forma la più nobile sfida a tutte le oligarchie del mondo.

Si apprende come qualmente in ogni famiglia americana di razza inglese che si rispetti vien conservato nel salotto, come uno stemma di nobiltà, l’attestato ottenuto da qualche bisnonno umanitario, ai suoi tempi, come «promotore dell'abolizione della schiavitù».

L'attestato è commovente: vi si vede, in una fine incisione anglicana, un piccolo negro inginocchiato dinanzi a un grande personaggio - Washington o George Fox -  recante un piccolo foglio mezzo arrotolato le parole evangeliche: Egli è venuto per proclamare la libertà degli schiavi e l’apertura delle prigioni per quelli che sono legati…

Ma è anche  vero che, appena sbarcati in questa babilonica New York, capitale effettiva dei 48 stati dell'Unione, dopo le prime meraviglie ingenue dinanzi ai paradossali grattacieli - che coi loro pinnacoli rossi o grigi e le loro guglie strane hanno pure, nel grande quadro nebbioso la loro bellezza - ci si accorge di punto in bianco che... l'uomo nero è qui ancora in stato di schiavitù. Facchino di stazione o di piazza, servo di ristorante o lavandaio o zappatore o sguattero in case private, il negro

Maschio o femmina è qui nettamente separato dagli uomini bianchi ed è addetto sempre ai servizi più umilianti e faticosi.

La cosa salta agli occhi a chi giunge, sventando subito ogni idea preconcetta e ogni idilliaca illusione sopra la pacifica e ricca libera vita americana. Persiste qui ancora, indubbiamente, un problema che sarà difficile risolvere senza perturbamenti gravissimi.

I negri, e gli nomini di colore in genere che formano più di un decimo della popolazione, non hanno ancora acquistato nell'America del Nord, il diritto di sedersi in un caffè accanto ai signori bianchi. Non possono prender parte coi bianchi a giochi sportivi. Nessuno di essi ha potuto ancora sfondare  le porte del Congresso (il Parlamento) o del Senato. Ed è troppo difficile pei negri di affrancarsi nella loro vita dalla schiavitù del salario e della miseria, poiché la loro razza è stata trapiantata qui - dalle sue foreste spogliate dai pallidi avventurieri di tutte le razze, sfruttatori secolari delle loro miniere aurifere meravigliose - in stato miserevole, nuda e affamata, chiedente lavoro e pane.

Hanno trovato qui, coi buoni uffici dei missionari cattolici, che hanno accompagnato il loro esodo, lavoro e pane,  ma nulla di più, i negri africani.

Ha sempre fatto troppo comodo ai signori inglesi d'America e agli altri popoli venuti qui in cerca di fortuna, questo sotto popolo di sguatteri e di facchini  ignoranti che lo serve in silenzio. Così, col beneplacito dl Washington, di Abramo Lincoln, di Fox e di Jefferson, nonchè dei bisnonni umanitari e queste misses americane protettrici degli animali vedono, in genere, tranquillamente la loro razza, mettere i piedi sul collo dl un'altra razza, solo perché questa è nera di carnagione ed ha, dicono, addosso uno speciale disgustoso odore... (causato forse dall'olio di palma col quale si unge il corpo per vecchia abitudine),  un piede bene educato, abituato ai quotidiani igienici lavacri, flemmatico, una zampa di velluto, tutto quello che volete. Ma un piede, assolutamente piantato sopra un collo in modo di piegarlo senza scampo.

Tutto questo, in nome della democrazia e di Cristo Redentore... Ed ecco che, proprio in nome di quel Cristo di cui, a loro, maomettani, i missionari cattolici han parlato ardentemente, proprio in nome di un loro Cristo di razza negra e di una Madonna africana, quattro milioni di servi finora silenziosi si agitano oggi in un grande e imponente Congresso.

Hanno trovato finalmente, l’energia, questi apatici, addormentati nel loro sonno secolare, per rivolgersi al Presidente degli Stati Uniti, a Re Giorgio, al Parlamento inglese e chiedere l’abolizione immediata delle leggi più crudeli (è noto che il linciaggio esiste ancora in America, solo contro i negri); cercano d’imporsi con manifesti, con fanfare, con sfilate eleganti e pompose, con canti accorati e pieni di nobiltà, retaggio degli «Avi» sventuratissimi; vogliono uno stato indipendente, Liberia, retto da uomini della loro razza, per poter ritrovare la loro coscienza di popolo la Ioro forza d’origine, smarrite in lunghi anni di schiavitù e di umiliazione.

Ma sopratutto, l'assillante struggente desiderio di questi fratelli in ritardo è quello di sentirsi, dinanzi a tutto il mondo, proclamare eguali agli nomini bianchi, eguali in senso biologico, paleontologico e giù di lì... cessando di essere ingiustamente oggetti di disgusto e di pietà, per gli uni, di curiosità e di sfruttamento per gli altri.

Sin che il Cristo negro li ascolta e li aiuti! Che la Madonna africana ausiliatrice, benedica nell’avvenire lo sforzo  tragico e accorato compiuto dal grande «Conclave nero», newyorchese, anche se la grande America non è stata indulgente verso questo popolo vergine.

E così sia nei secoli dei secoli.