Dal Corriere d’informazione - Sabato-Domenica 10-11 maggio 1958

 

Le occasioni per ricordare l'opera di Dino Campana, in una palestra di illustrazione della poesia moderna, sono infinite. Qui ci è occorsa quella dell'edizione, presso Vallecchi, delle lettere scambiate fra Dino Campana e Sibilla Aleramo. Sono un documento impressionante della stagione ultima del grande poeta, già battuto dalla follia, con accenti di disperato amore, di cupa solitudine, Il segno di un destino fra i più drammatici che la storia della poesia maledetta» ricordi.

Nè si possono dimenticare le due o tre lettere della madre del poeta all' Aleramo: forse le più dolenti; trepidanti per la sorte del figliolo, piene di preoccupazioni minute (la camiciola: «Non gliela potremo rifare l'anno prossimo»), di presagi. Dino Campana era nato a Marradi 11 20 agosto 1885; morì il 1 marzo 1932 nell'ospedale psichiatrico di Castel Pulci, a San Martin la Palma, nel pressi di Firenze. Collaborò a «La voce» e a «Lacerba». Ebbe vita Inquieta ed errabonda: «Viaggiavo molto. Ero spinto da una specie di mania dl vagabondaggio. Una specie dl instabilità mi spingeva a cambiare continuamente». Suoi libri: Canti Orfici e gli Inediti.

Cecchi ha scritto dl lui:

«Ho conosciuto alcuni poeti nostrani e forestieri. Non pretenderò che fossero poeti immensi; ma certo erano fra i massimi che l'epoca poteva mettere a mia disposizione. Accanto a loro, provavo ammirazione, riverenza. Accanto a Campana, che non aveva affatto l'aria di un poeta e tanto meno di un letterato, ma d'un barrocciaio, accanto a Campana, si sentiva la poesia come se fosse una scossa elettrica. un alto esplosivo. Non so di che specie egli fosse; se superiore o inferiore alla comune nostra; certo che era d'altra specie. Un fauno insaccato in quei miseri panni di fustagno, o un altro essere cosi tra divino e ferino, non avrebbe fatto diversa impressione. Genio poetico egli ebbe più d'ogni altro della nostra generazione. Italiano dello stipite di Giotto, di Masaccio e d'Andrea del Castagno... Campana dette un esempio d'eroica fedeltà alla poesia: di una poesia testimoniata davvero col sangue. Da lui s'inaugura un tono intimo e grave, nella nostra ultima lirica».