Silvano Salvadori: Alda Merini a Dino Campana

 

di Silvano Salvadori

 

 

 

A DINO CAMPANA

 

Ritorna,  che cantar canzone di voto

Dentro l’acqua del Naviglio io voglio

Perché tu sia riesumato dal vento.

Ritorna a splendere selvaggio

E giusto ed equo come una campana,

riscuoti questa mente innamorata

del suo dolore, seme della gioia,

mia apertura di vento e mio devoto ragazzo

che amasti la maestra poesia.

 

ALDA MERINI, 1994


 

La vicenda biografica e poetica di Alda Merini è stata spesso messa in relazione con quella di Dino; anche la canzone del 1999 di Roberto Vecchioni per la poetessa cita:

 

“Ogni amore della vita mia

è cielo e voragine, ……

Dalla casa dei pazzi, da una nebbia lontana,

com'è dolce il ricordo di Dino Campana;

perchè basta anche un niente per essere felici,

basta vivere come le cose che dici,…”

 

Recentemente il testo di Cacho Millet, “Non si avrà ragione di me” Ed. Postcard, che seleziona una serie di testi dedicati al poeta di Marradi, riporta una prosa di Alda sulla comune esperienza manicomiale.

Più toccante ci sembra invece questa lirica: Alda dedica a Dino una sacra “canzone di voto” che riesuma quell’immagine del poeta nell’acqua del Naviglio, immagine che lui stesso aveva già intravisto nella gora del mulino di Campigno (La Verna- Ritorno) e nell’Aar di Berna (Arabesco-Olimpia): “laggiù come il mio cadavere”, tremolante sott’acqua e qui rammulinata dai gorghi del vento del ricordo.

Un ricordo pregnante di una monumentalità etica: “giusto ed equo” il poeta, voce argentina nel seno selvoso della natura; si ode come un eco da valle a valle e getta una luce, un brillio dal tempo barbaro di una anelata vita primeva, “pristina”, sana, panica. Dino, selvaggio fra i prati delle sue montagne, cha alita lo stesso “sospiro della vita notturna delle selve”; Dino che si commuove davanti ad una tremula foglia od un fiore e allo stesso tempo brama cibarsi di un agnello ucciso per una frenesia dionisiaca “ e pretendere di cuocerlo a mò di selvaggio fra gli sterpi” (testimonianze raccolte da Mario Bejor).

Dino, come Alda, ha la “la mente innamorata del suo dolore”, perché solo il dolore è fecondo, solo i rami dei nostri sogni che la vita pota producono frutti, sacri come quelli dell’ulivo o ebbri come quelli della vite; dal dolore nasce la Speranza che il poeta effonde nello spirito della parola, che altri venti, aprendo il suo costato, spanderanno come polline fecondo in altri animi, ed altri fiati renderanno eterna e sempre nuova nel  divenire della propria coscienza.

“Suoni la mia testa/ elettrizzata esausta come corda/ che si dirompe”,  implorava Dino in “Il tempo miserabile consumi”: sì, squillare fino allo strazio, fino al sacrificio estremo di sé, per devozione alla propria missione, nell’anelito di una fede che solo  un fanciullo mantiene incorrotta e pura.

Il poeta manda la sua parola per il mondo, si apre perché le folate del suo canto scorrendo sulle cose le vivifichino, il suo spirito crea un riscontro di vento che penetra chi lo sa ascoltare: “mia apertura di vento” dice Alda.

Molti critici “furono tutti coperti del sangue del ragazzo” (They were all torn and cover’d with the boy’s blood –colophon di chiusura ai Canti Orfici) e molti lettori, ci auguriamo, ne saranno salvati!