Gleiton Lentz: Alchimia del verbo, una lettura simbolica della Chimera

 

Gleiton è il traduttore dei Canti Orfici in lingua portoghese

 

Inconsciamente io levai gli occhi alla torre barbara, scriveva Campana all'inizio del suo canzoniere orfico con piena consapevolezza di sé, perché sapeva, mentre tratteggiava quelle righe, che sacrificava all'irrazionale il significato primario delle cose, preferendo l'inconscio al conscio, il vaneggiare alla realtà. Se è già nella sua visionaria Notte che s'intravede per la prima volta il riferimento alla torre, ad una torre barbara, sarà invece la sua figura quella tipica del poeta torre d'avorio. Ossia, colui che si compiace nel disgregare il mondo — inteso come la suprema realtà — mediante lo sdoppiamento dell'io, nonostante un accentuato sguardo visionario delle cose.

A differenza della maggior parte degli scrittori del suo tempo, la vicenda letteraria del poeta transalpino è conosciuta attraverso un solo libro, i Canti Orfici, scritto nel primo quindicennio del secolo XX, i cui versi sono tra i primi ad introdurre in Italia i poèmes en prose, o le novelle poetiche, tipico procedimento poetico usato dai simbolisti francesi, sebbene l'opera presenti anche componimenti scritti in versi liberi, procedimento stilistico che già lascia intravedere una trasgressione della tradizione. Queste scelte poetiche hanno permesso al poeta orfico di creare testi memorabili e di dare un nuovo tono alla letteratura poetica dell'epoca, in cerca di un ritmo musicale più coinvolgente e unico.

La rottura della costruzione logica, sia nei versi liberi sia nei poemetti in prosa, ha permesso al poeta di giungere ad una verità che gli appariva in mezzo ad un caos mistico, il suo simbolo visivo, e di costituire uno strumento conoscitivo in grado di cogliere le segrete analogie tra la realtà e il sogno. Questa sorta di coscienza, sapientemente fugace, incide direttamente sulla composizione dei canti che rappresentano, in sintesi, un viaggio, onirico o reale, lontano o vicino, verso i luoghi mitici campaniani (Faenza, Genova, Marradi, Montevideo, la Pampa argentina), e il cui registro temporale sembra esser stato abolito e fissato per sempre nell'eternità.

Il trasformare gli elementi del paesaggio in emozioni, il rivivere ricordi attraverso una vertigine che travisa le cose ma non le cancella, il suggerire mediante le parole il mistero delle origini e del divenire degli uomini, sono alcuni degli elementi che ricorrono frequentemente nei canti del suo lungo viaggio. In un secondo momento, rimontano all'immaginario simbolista, in particolare alla dualità suprema tra realtà/sogno, dato che il poeta, nell'impossibilità di conoscere la vera realtà mediante l'esperienza, si avvale della sua intuizione non razionale ed immediata, per esprimere le rivelazioni dell'ignoto e i presentimenti che gli affiorano nell'animo.

Come ci racconta la storia, Campana comincia a pubblicare i suoi primi scritti in riviste letterarie come Il Papiro e Il Goliardo. Nel 1912 esce il suo primo testo a stampa dal titolo Montagna (Il Papiro, 8 dicembre 1912) che il poeta firma come "Campanone"1 , la prima versione di ciò che diventerà la celebre Chimera degli Orfici, e la cui composizione già faceva presagire un enigma ancora più grande di quello che la propria figura mitica, la Chimera, annuncerebbe al poeta, ossia, il "mito-Campana".

Dunque, nei Canti Orfici, oltre ad Orfeo, che non è mai nominato lungo il viaggio, tranne nel titolo che dà nome all'opera, il mito della donna, della mitica e misteriosa figura femminile, la Chimera, anch'essa depositaria di verità segrete, appare distintamente lungo il canzoniere:

 

La Chimera2 

Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l'immobilità dei firmamenti
E i gonfi rivi che vanno piangenti
E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.

 

La Chimera, che rappresenta la composizione più celebre di Campana e il testo che più si avvicina all'idealizzazione della donna, è una figura ricorrente ed emblematica nei canti. Ma, se da un lato la Chimera può rappresentare il mitico mostro appartenente all'antica mitologia greca, oriunda dell'Anatolia, che i poeti hanno descritto con la faccia di leone, il corpo di capra e la coda di serpente, o, d’accordo con la versione più diffusa della leggenda, metà donna metà serpente; dall’altro può indicare una visione tragica della vita chimerica in senso stretto, a causa del suo mistero impenetrabile che gli uomini non riescono a raggiungere; in Campana il mito sembra acquistare un altro carattere allegorico: quello della donna che ha come virtù la capacità di assumere vari aspetti, la "donatrice d'amore dei porti", la "cariatide dei cieli di ventura", la "regina della melodia", che il poeta vede come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'ombra, come un'antica amica, l'eterna Chimera che ha sempre tenuto tra le mani il suo vecchio cuore; è, con il suo valore di presenza-assenza, la propria visione della Poesia.

"Chacun sa chimère"3 , dirà Baudelaire, dato che ad ognuno sembra doveroso portare la sua propria chimera, somma presenza portatrice di paradossi, dell'impossibilità di partecipare al destino di sé stesso e degli altri. Come nel poème en prose del poeta francese, dove il poeta/narratore incontra un fantastico corteggio di uomini misteriosi che trasportano una chimera sulle loro spalle, nei canti di Dino Campana, "il soggetto poetico si presenta come il poeta del misterioso ed ignoto poema della Chimera"4, la intravede, la canta, nel tentativo di comprendere il suo mistero, che provoca in lui una reazione di incertezza non necessariamente angosciante né penosa, ma di fascino.

In questo modo, in un tono ipotetico, il poeta non sa se gli é apparso tra le rocce il pallido viso della Chimera, o se ha potuto vedere appena un sorriso indefinito — piega enigmatica delle labbra di tutte le creazioni simboliche — sulla sua fronte di splendente candore. La mitica figura appare al poeta proprio come un'enigma, un'immagine indefinita e lontana, simile al vago sorriso della Gioconda, facendo riferimento al celebre dipinto di Leonardo da Vinci. Così, il continuo richiamare la misteriosa sorella della Gioconda, comincia a risultare più chiaro: si tratta di una sorta di idealizzazione della figura femminile, nel momento in cui il suo pallore mitico viene irradiato dalla luce della leggenda.

Ma il poeta, dato che il suo poema è fatto di voluttà e di dolore, "segnato da una linea di sangue", insiste nell’evocare la sua Regina adolescente, insiste nel divisare il cerchio delle sue labbra sinuose, per capire il senso enigmatico del suo sorriso leonardesco, perché qualcosa di simile chissà voleva annunciargli la Chimera, che egli nomina Regina della melodia, ossia, regina della propria poesia.

Di fronte all'immagine, quando il suo desiderio si offusca di maledettismo, il poeta fa risuonare la propria condizione svelando un'atmosfera assai decadente, dicendo: "io poeta notturno, io per il tuo dolce mistero, io per il tuo divenir taciturno", finché giunge al momento più alto dell'atmosfera che coinvolge tutta la sua scrittura orfica, ossia, alla notte: "io poeta [che] vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo".

Ma la figura femminile, a volte nominata regina e sorella, a volte Chimera o Gioconda, si mostra come una presenza che elude ogni tentativo di cattura e di comprensione, impossibile conoscerla, sebbene il poeta insista, anche se il dolore già lo avvolge, nel guardare le bianche rocce, nel sentire le mute fonti dei venti e l'immobilità dei firmamenti, nell'ascoltare il piccolo corso di acqua che scorre piangendo, nel vedere le ombre del lavoro umano nelle colline di fredda atmosfera, tutto a causa di un richiamo continuo verso l'ignoto.

Infatti, grazie ad una descrizione nettamente allegorica — e che da descrizione assume il carattere di suggestione —, nella quale, allo stesso tempo, si descrive e suggerisce il misterioso sguardo tra il poeta e la mitica figura, Campana delinea un eccezionale quadro della condizione del poeta catturato da un mistero impenetrabile. E il poeta, per quanto l'abbia richiamata, per quanto l'abbia invocata, sa in verità, che lei, la Chimera, è una presenza che solo può essere evocata nel suo scomparire, solo nella sua indefinita lontananza, infine, solo da un poeta che ha fatto del verbo un'alchimia.

 



Bibliografia


BAUDELAIRE, Charles. Œuvres Complétes. Paris: Éditions du Seuil, 1968.

BAZZOCCHI, M.A. Faust all'Università. I portici della poesia: Dino Campana a Bologna. A cura di M.A. Bazzocchi e G.C. Millet. Bologna: Pàtron Editore, 2002.

CAMPANA, Dino. Canti Orfici e altre poesie. A cura di Renato Martinoni. Torino: Einaudi, 2003.

Cantos Órficos. Tradução de Gleiton Lentz. Desterro: Nephelibata, 2004.

LENTZ, Gleiton. Volo verso la Torre d'Avorio: L'immaginario simbolista nella poesia di Graf, Campana e Roccatagliata. Florianópolis: UFSC/CCE, 2007.

MURICY, Andrade. Panorama do movimento simbolista brasileiro. São Paulo: Instituto Nacional do Livro, 1973, 1º e 2º vols.

PECORARO, Aldo. Campana fra Verlaine, Baudelaire e Rimbaud. Materiali per Dino Campana. A cura di Piero Cudini. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 1986.



Note

BAZZOCCHI, M.A. Faust all'Università. I portici della poesia: Dino Campana a Bologna. A cura di M.A. Bazzocchi e G.C. Millet. Bologna: Pàtron Editore, 2002, p. 51.

2 Edizione di riferimento: Canti Orfici e altre poesie. A cura di Renato Martinoni. Torino: Einaudi, 2003.

BAUDELAIRE, C. Petits Poèmes en Prose. Œuvres Completes. Paris: Éditions du Seuil, 1968.

PECORARO, Aldo. Campana fra Verlaine, Baudelaire e Rimbaud. Materiali per Dino Campana. A cura di Piero Cudini. Lucca: Maria Pacini Fazzi Editore, 1986, p. 140.