Sandro Chia: Dino e Sibilla

 

Dino Campana e l'amore

di Silvano Salvadori 

  

Abusata la storia d’amore con Sibilla, come abusate sono le interpretazioni dei rapporti con le prostitute! Abusate nella loro interpretazione di cronaca, senza guardare al di là, o meglio senza guardare “al di dentro” del poeta!

Pochi, come Dino, non hanno scritto poesie convenzionali d’amore, coi loro tormenti, nostalgie, speranze ecc. : egli è alieno da ogni svenimento per le belle donne.

La vicenda per Sibilla ha spesso interessato per la sua morbosità, in un momento in cui la sua opera poetica era quasi conclusa; è una vicenda umana da guardare con sommo rispetto in cui Dino è vinto dall’amore. Ma quando si è vinti non si può rappresentare l’amore: si può solo viverlo e nel viverlo si può solo inginocchiarsi davanti a quel terribile dio giovinetto che ha nome Eros. Dinanzi a lui le nostre miserie divengono palpitante carne, carne sofferente che cerca solo la normalità; carne e corpo che rinunciano all’”opera”, per divenire vita quotidiana, per divenir carezza, sospiro, incontro, attesa. Davanti all’amore si vorrebbe rinunciare alla genialità, si accetta di farsi dimenticare dalla storia, dal destino, per trovare quel tempo che è fatto di rintocchi concreti, di minuti consumati e basta. Non si vuol essere speciali, poeti, superuomini.

L’amore quindi non va rappresentato, ma vissuto e basta; l’amore, in quella situazione, è oggetto che va agito.

E allora?

Ma l’Amore, quello di cui ”amore” è un caso particolare, vive dentro, è soggetto di una nostra identità; la donna è il paese sconosciuto e la navigazione verso di esso è eterna.

Nessuna blasfemia lo contamina. Dino attraversa le isole del mondo, gli arcipelaghi torbidi delle case di piacere; come Ulisse lega la sua anima, affinché i suoi occhi “vedano”, così Dino la lega alla parola. Ed ecco si apre una visione che è conoscenza!

Campana commenta un passo di Nietzsche, “La donna e la lontananza”, e molte sono le donne che lui vede passare nella lontananza, tangenti per un breve tratto al suo pellegrinare: immagini per cui prova “Pietas” e “Charitas”, ovvero amore cristiano. Condivide i loro destini, interiorizza i loro drammi, soprattutto se son prostitute. Fantastica sulle loro apparizioni e i loro densi corpi si disfanno sempre in immagini, odori, suoni.

Ma i più intensi sentimenti sono quelli immaginati. Così è per  “Una Femme qui passe”, : or il cuore la segue per una via infinita, dove da canto all’amore fiorisce l’idea. E un’altra donna passa sul ponte di Berna, un’altra è passata da Boboli: tutte sono tangenti alla sua vita; la toccano in un punto  basta. Egli le ama tramite l’arte, le chiama, come nel “La chimera”, rendendole eterne ora come pudiche madonne in un quadro di Leonardo o semplici popolane segantiniane, siano esse sulle Alpi o, come la Catrina, a Campigno.

A volte le rievoca dal passato, come Lydia del “Convito romano-egizio”, o come quell’idolo straordinario che è la Giuditta di Donatello in “Spada barbarica”.

L’amore per la povera bimba derelitta e indemoniata (“Una strana zingarella”) è tenerissimo: i suoi versi, non il suo corpo, il poeta vuole donarle.

Dino contempla, perché il suo possesso è nella mente, è nella musica dei loro gesti, dei loro capelli; la loro bellezza è la fluidità.

Anche la dove descrive un reale coito, in “Furibondo”, sente nella piena fantastica l’appello della morte, il ritorno nella mia patria antica nel gran nulla.

Molte delle sue immagini le ritroviamo anche in Baudelaire, ma in Dino la passione fisica conta meno; in “Donna genovese”, forse la sua più bella poesia d’amore, dice: non amore, non spasimo, un fantasma,/ un’ombra della necessità che vaga/ serena e ineluttabile per l’anima/ e la discioglie in gioia, in incanto serena, fino al finale: come è piccolo il mondo e leggero nelle tue mani.