Bino Binazzi e Francesco Meriano

 

Campana cerca Binazzi

 

  Estratto dal sito: https://www.bibliotecasalaborsa.it/bolognaonline/

 

Binazzi fu il primo a scrivere positivamente di Campana, il 25 dicembre 1914, con un intervento sul "Giornale del mattino". Nell'articolo, intitolato Un poeta romagnolo (Dino Campana), salutò il marradese come "poeta di razza", come fenomeno singolare e nuovo. Lo descrisse come un tipo scontroso e solitario, propenso a vivere da poeta, a "preferire l'avventura eccezionale e la vita sciolta e vagabonda di tutte le anime sublimi".

Per il giornalista i Canti Orfici erano un prodotto del Futurismo: senza "l'allegro incendio futurista" non sarebbero mai venuti alla luce. E spiegava il motivo con un attacco ad alzo zero contro l'accademismo carducciano: "si seguitava a confondere letteratura e poesia, poeta e professore, e si anelava all'aula disdegnando il magnifico vento dei quadrivi".

Binazzi divenne il motivo degli occasionali ritorni a Bologna di Campana dal 1914, "nelle tempestose soste dai consueti viaggi" e dopo il definitivo abbandono degli studi di chimica all'Università, nella primavera del 1913. Oltre che a vendere personalmente nei caffé bolognesi copie dei suoi Canti Orfici, Campana cercava con insistenza la sua compagnia, gli chiedeva favori. Ancora Raimondi:

Lo rividi, una notte, nello stanzino di correttore di bozze di Binazzi al Giornale del Mattino: era l'inverno. Binazzi intabarrato, il cappello calato in capo, la sigaretta in bocca, quasi a scaldarsi a quel poco di fuoco. Campana, in un abituccio frusto, senza cappotto, silenzioso, nel frastuono delle linotipe della vicina tipografia. Si parlò di avvenimenti della giornata: era il tempo di guerra.

I rapporti intellettuali tra Campana e Binazzi, il "solo amico egli ebbe negli anni prima del cancello, prima del muretto d'ospedale", continuarono positivamente nei mesi successivi. Raffaello Franchi ha reso testimonianza dell'influenza dell'opera di Campana sulla impostazione della rivista "La Brigata", fondata nel 1916 a Bologna da Binazzi e Meriano:

Binazzi dice di voler fondare una rivista in cui la poesia sia intesa in senso orfico. I Canti di Campana stanno agglutinando e fortificando la nostra atmosfera.

Sulla rivista Campana fu proclamato "il più grande poeta di questa generazione italiana". Ma intanto il funambolico poeta vagabondo cominciò a sparlare dell'amico giornalista. Lo accusò di non darsi da fare abbastanza per fargli avere un ricovero in ospedale e di essere in combutta con l'odiato Papini e con "i cari sciacalli del cupolone fiorentino". Rifiutò la sua ammirazione: "E' vero che dice che sono il primo poeta d'Italia me io preferisco essere l'ultimo poeta della Papuasia che avere tali colleghi".

I rapporti tra i due andarono avanti tra alti e bassi fino - ed anche oltre - al definitivo internamento di Campana nel manicomio fiorentino di Castel Pulci. Dopo un vano tentativo degli amici bolognesi di sistemarlo "nel sottoscala del Mattino", nell'ottobre 1917 Campana, "triste a morte", si congedò da Binazzi con "un lungo bacio per tutto il bene che non ci siamo voluti".

Ancora nel 1930 il "medium magnetico", in un momento di lucidità, fu in grado di smentire le esagerazioni giornalistiche dell'amico, contenute nell'introduzione all'edizione Vallecchi 1928 dei suoi Canti Orfici.