DINO CAMPANA: ARABESCO – OLIMPIA
PREMESSA SULLA RAGIONE POETICA
di Silvano Salvadori
Dal famoso dibattito se la poesia di Dino Campana sia visiva o visionaria possiamo argomentare di quali siano, più in generale, i processi della “ragione poetica”.
La poesia si esprime con le parole, ma le parole sono forme sonore di immagini sperimentate direttamente degli occhi o elaborate dalla mente sia istantaneamente sia nel ricordo.
La loro sonorità consente a loro volta di creare catene di allitterazioni e omofonie i cui ritmi irretiscono gli stessi significati in scale sonore, spesso divenendone guida.
Immagine, suono e significato divengono la plastica con cui modellare il soggetto scelto nella poesia. Questo è particolarmente evidente negli ultimi esperimenti di Campana.
Ma anche l’immagine che deve essere espressa con le parole non è una realtà asettica; Visione, Percezione e Rappresentazione sono processi cognitivi assai diversi; le azioni di guardare, vedere, indagare secondo la scelta di un taglio prospettico assumono diverse “espressioni” e a questo punto ciò che è esterno al poeta si mescola con la memoria di tutto quello che è interno a lui.
La creatività si attiva articolandosi come un albero in cui infiniti innesti, dovuti alla sovrapposizione di ricordi ed esperienze, fioriscono e fioriscono come profezia poetica.
Tutto questo è una sorta di ricamo, un arabesco in cui la fluidità del percorso visivo da cui parte il poeta continuamente cambia direzione e si avvolge in sé stesso e su sé stesso, certo non con una prospettiva brunelleschiana lineare.
La realtà è avvolta dagli intrecci della sua visione come un ordito che si innesta alla trama delle cognizioni culturali della mente così che può fiorire e divenire “altro”; un altro che sarà da interpretare, un messaggio da decifrare, una prefigurazione o una diagnosi; un sogno o una risoluzione.