Campana e il «partito dei marradesi»

 

di Renato Martinoni

 

Professore emerito di Letteratura italiana

School of Humanities and Social Sciences

University of St. Gallen

 

da:  

Orfeo barbaro

Cultura e mito in Dino Campana

Marsilio, Venezia (2017)

 

Il «Corriere della Sera» di lunedì 9 agosto [2004] ha messo in vendita, nell’ambito della serie dedicata alla «Grande Poesia», i Canti Orfici di Dino Campana1. Il libro reca una prefazione di Sebastiano Vassalli seguita da una Nota bio-bibliografica (firmata «G.V.») che mi tira in ballo e che richiede almeno una breve precisazione. Insistendo su una «verità complessiva che ancora stenta a essere accettata», cioè sull’incapacità, o la non volontà, della critica di togliere il grande e sfortunato poeta di Marradi dalle «falsità» e dai «travisamenti» costruitigli intorno, l’autore della Nota ricorda come, dopo l’uscita del romanzo di Vassalli, La notte della cometa, sono finalmente saltati fuori da un misterioso e fin lì renitente «Nulla» decine di documenti che però, ahimè, leggo, invece di sottrarre il povero Campana dall’inferno delle maldicenze, delle dicerie, delle manipolazioni e delle menzogne, «dovevano riseppellire la verità sotto un polverone di minuzie».

 

Da allora, precisa l’anonimo «G.V.», con argomentazioni che si commentano da sé, il «massimo sforzo del “partito marradese” è stato rivolto a sistemare la vita di Campana in una versione ufficiale». Una trasposizione asettica e agiografica, dove non ci sono né cattivi, né responsabilità, né malattie veneree né lunghi soggiorni in Argentina. Conclude quindi l’apodittico curatore della Nota: «Chi volesse documentarsi su questa versione edificante (e falsa) della biografia di Campana non ha che da leggere l’introduzione di Renato Martinoni ai Canti Orfici (Torino, Einaudi, 2003), che la riassume in toto come propria».

So benissimo che dei documenti si possono fare molti usi, anche distorti, anche scorretti, anche ideologici. Ma sono altrettanto certo che le biografie, specie quelle a lungo incrostate di errori, di storpiature, di chiacchiere goliardiche, di pettegolezzi e di maldicenze (quella di Campana ne è un esempio altamente significativo), devono basarsi in primo luogo, quando ci sono, sui documenti: proprio per liberare il campo dalle menzogne e dalle melensaggini edificatorie.

Curando l’edizione einaudiana dei Canti Orfici2 non mi sono fatto portavoce (e tantomeno portaborse) di nessuno. In mezzo a un clamore che dura da troppo tempo, e ancorché il discorso non possa esaurirsi nella sola vita del poeta, ho semplicemente e, spero, serenamente scritto una biografia fondata sui documenti meritoriamente portati alla luce nell’ultimo ventennio e, con la dovuta circospezione, sulle testimonianze di chi ha avuto a che fare, da contemporaneo o da studioso, con Campana. Senza apriorismi da far quadrare a tutti i costi, senza tesi preconcette da dover dimostrare, ma con la sola volontà di dare un contributo a un disegno biografico che, comunque la pensi chi vuole fare di ogni erba un fascio, si sta pian piano chiarendo.

Quanto al «partito marradese»: mi sono sempre guardato attentamente dall’entrare a far parte di movimenti, consorterie oratoriali, gruppi lobbistici e massonerie letterarie. Ora un tale che si nasconde dietro una sigla mi ascrive perentoriamente alla parrocchia della «Versione Edificante», alla congrega dei congiurati marradesi, alla perfida gang dei falsificatori. Preferisco di gran lunga, semmai, a questo ho pensato in primo luogo nell’occuparmi dei Canti Orfici, continuare a militare nel mondo poco chiassoso ma non ancora del tutto incancrenito dei filologi. Una piccola società che in Italia – già paese di lunga e gloriosa tradizione, almeno di questo si poteva vantare, un tempo, a livello internazionale – risulta oramai sempre più vergognosamente disattesa (un sedicente «Giornale dei poeti» ha parlato di «ennesima ristampa», rifacendosi al tascabile einaudiano: mostrando di non saper neanche distinguere fa una ristampa e un’edizione...).

Anche la filologia, ne sono certo, serve a rispettare un poeta. E soprattutto, come parrebbe giusto, a garantire la verità della sua opera, certo non meno complessa di quella della sua vita. Non sembra preoccuparsene troppo il curatore-ombra dell’affrettato libretto messo in vendita dal «Corriere della Sera». Né dice nulla sui criteri di edizione: come se il dare fuori le poesie di Campana sia solo un atto banalmente meccanico. Basta del resto scorrere il sottotitolo dei Canti Orfici freschi di stampa per trovare subito un refuso («Die Tragödie des letzen [sic] Germanen in Italien»).

Una svista linguistica, neanche il modestissimo primo editore marradese c’era cascato, che certo non fa onore al bistrattato poeta di Marradi, che – almeno lui – il tedesco sapeva leggerlo e scriverlo correttamente. Saranno anche minuzie. Ma è proprio là che comincia a vivere la poesia, e prima ancora il vero rispetto nei confronti di chi la crea.

 


Note

 

1 Cfr. Dino Campana, Canti Orfici, Milano, Corriere della Sera, 2004 («La Grande Poesia», 26).


2 La biografia campaniana si legge alle pp. LIX-LXXXVI; l’Introduzione ai Canti Orfici alle pp. V-LII; la bibliografia alle pp. LXXXVII-XCI.