Libro85EnricoConsoliniSebastianoVassalli 

Enrico Consolini con Sebastiano Vassalli

 

 

DINO CAMPANA, LE MIE LETTERE SONO FATTE PER ESSERE BRUCIATE, NON SACCHEGGIATE

 

DI PAOLO PIANIGIANI

 

Prima edizione 2005

Succede a volte che uno si arrabbi : un’arrabbiatura sorda, spontanea, che nasce dal profondo, che ti si diffonde addosso, fino nell’ultima cellula dell’anima, qualora ne avessimo una : e provoca d’istinto una reazione liberatoria, una voglia di giustizia immediata e sommaria. Provoca una risposta cattiva : questa.

Succede quando, da parte di qualcuno, si progetta e si realizza un attacco immotivato, profondamente ingiusto, verso persone che non si meritano né attacchi né accuse. In questo caso verso una persona che per il proprio lavoro, per la propria professionalità di studioso, merita invece rispetto e profonda riconoscenza : lo scrittore Gabriel Cacho Millet.

Mi ha fatto arrabbiare e parecchio, un articolo uscito il 15 settembre sulla terza pagina del Corriere della Sera, a firma di Cristina Taglietti. E mi ha fatto arrabbiare ancora di più l’uscita, subito conseguente o contemporanea, del libro di Sebastiano Vassalli, che l’articolo anticipava, dal titolo che sembra una campagna del Ministero della Sanità per le donazioni : Dino Campana, un po’ del mio sangue, edito dalla Rizzoli, nella collana "Scrittori Contemporanei" della BUR.

L’articolo, che ha avuto titolo, con promessa di chissà quali misteri svelati o da svelare, “Campana, il secolo lungo delle bugie” ha ricoperto il ruolo di stamburata al mondo, di annuncio pubblicitario, clamoroso e allettante, dell’avvenuta uscita del volume vassalliano, del quale, forse, il mondo non sentiva né il bisogno né la necessità.

L’autrice dell’articolo, punteggiando il suo testo di ripetuti e insistiti “secondo Vassalli”, ripercorre il testo del libro, di cui vuole essere una benevola presentazione, sottolineando i punti dove Vassalli è più negativo nei suoi giudizi, ma guardandosi bene di fare un seppur minimo controllo su quanto viene detto. Anzi, superando le giuste aspettative dell’autore recensito, arriva a “caricare” il significato dei giudizi limitativi dati dallo stesso, trasformandoli in condanne senza appello. Mi ha ricordato Fede, l’Emilio, quando ci parla di Berlusconi. Ma Fede fa ridere e forse lo è davvero, in buona fede, nelle sue convinzioni più profonde. L’autrice dell’articolo invece no e fa solo, almeno questa volta, del pessimo giornalismo.

Per esempio, a fronte della frase che compare nel libro (in appendice, pag. 291, rigo 8) : “A proposito di Cacho Millet, va poi detto che i documenti dell’Archivio comunale di Marradi (da lui pubblicati in modo confuso e con l’aggiunta di poesie sue) andrebbero ripubblicati e studiati cum grano salis”, diventano, nella finestrina aperta dalla solerte Taglietti, “Biografie : Errori ripetuti e luoghi comuni : ...Peccato che li abbia pubblicati male, alla rinfusa, inframezzandoli di poesie sue.” Inframezzandoli, in lingua italiana, vuol dire alternandoli : una mia e una sua, come se i documenti campaniani si alternassero alle poesie di Cacho Millet. E da questa operazione lo scrittore argentino abbia voluto far brillare le sue poesie, accanto a quelle di Campana. Niente di più falso. Bastava sfogliare i testi e verificare.

Entrambi, sia detto per il vero, esagerano per eccesso: la poesia dello scrittore argentino è una sola, posta alla fine della sua introduzione, con correttezza infinita e la profonda passione del biografo per il suo autore. Ed è una poesia bellissima, di cui cito solo l’ultimo verso :

Y alguna vez seré un rio que huyendo canta.
Che in italiano suona :
E un giorno sarò un fiume che fuggendo canta.

Il libro, essenziale per una lettura non occasionale della poesia campaniana, come tutti gli altri che ha scritto sul poeta di Marradi Gabriel Cacho Millet, Dino Campana fuorilegge, Edizioni Novecento, Palermo, 1985, riproduce volutamente, con la freddezza e l’ordine dei documenti tipici dei tribunali, i celebri fogli di via che riaccompagnarono il poeta, la cui vita fu una continua fuga, al suo paese di origine, Marradi. Sono riprodotte anche altre carte, che con immensa testardaggine e fatica, lo studioso argentino ha ritrovato e ci ha conservato. In che modo poi, se non in malafede, può essere definito “confuso” un attento e rispettoso ordine cronologico ?

Forse lo scopo, nemmeno tanto nascosto (vedi la dichiarata e terribilmente offensiva, presunta “mancanza di grano salis”) era quello di discreditare il lavoro di una vita, di uno scrittore che ogni studioso di Campana (meno uno, evidentemente) non può che prendere a esempio, a guida, a continuo e sicuro riferimento.
E forse giustificare, agli occhi in questo modo distratti dei lettori meno attenti, il vero e proprio “saccheggio”, effettuato sul corpus delle lettere pubblicate nel libro curato da Gabriel Cacho Millet Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, uscito nel 1978 da Scheiwiller, a Milano, come se i diritti degli Editori, del curatore di un libro e il rispetto del lavoro intellettuale altrui, fossero semplicemente un optional o carta straccia.

La stessa cosa vale per le altre lettere, quelle d’amore, quelle del carteggio fra Campana e Sibilla Aleramo, di cui Vassalli si appropria e “serenamente” ripubblica, citando solo la vecchia edizione vallecchiana, quella del ’58, curata da Niccolò Gallo e trascurando di citare quella, più recente e più completa, uscita per i tipi della Feltrinelli e curata da Bruna Conti.
E di Sibilla, come sempre, si fa giudice implacabile, insistendo su quella che ormai è una sua vera e propria fissazione, mai dimostrata, del resto, dai documenti, della sifilide contratta da Campana, origine prima della sua follia, e quindi trasmessa alla poetessa, quasi fosse una giusta e meritata punizione divina, per un amore non ricambiato, o ricambiato male.

Io personalmente questa insistenza non l’ho mai capita. Che contributo porta questa ipotesi alla migliore conoscenza del Poeta di Marradi ? O a una sua più partecipata comprensione ? Abbiamo Genova, abbiamo La Chimera... della sifilide, vera o presunta, possiamo anche fare a meno. Comunque, ad esempio di una ben diversa metodologia di lavoro, ripropongo la risposta di Gabriel Cacho Millet alla ipotesi di Vassalli, presente nella introduzione al suddissacrato (dalla Taglietti e da Vassalli) libro Dino Campana fuorilegge (Introduzione, pag. 14) :
“L’ipotesi proposta recentemente da Sebastiano Vassalli nel suo romanzo-verità (La notte della cometa, Einaudi, Torino 1984) secondo la quale Sibilla avrebbe “liquidato” Campana perché sifilitico, risulta, dalla documentazione finora emersa, assolutamente insostenibile. Il prof. Tanzi, il quale visitò Campana all’inizio dell’ultima settimana di gennaio 1917, se avesse trovato nel poeta tracce di lue, non gli avrebbe prescritto un lungo soggiorno in una casa di salute (lettera di Sibilla Aleramo a G. Sforni, gennaio 1917), ma l’avrebbe sottoposto immediatamente alla prova di Wassermann e ordinandogli i medicamenti in uso a quel tempo, se il risultato fosse stato positivo.” E prosegue con altre deduzioni, ugualmente logiche, che sarebbe lungo citare.

Per Vassalli invece Campana aveva la sifilide, anzi ci precisa l’anno in cui se la prese nei bordelli, o per le strade, di Genova, il 1915 (ma ne La notte della cometa era il 1912), molto dopo i primi sintomi di squilibrio che già gli avevano fatto attraversare le porte dei manicomi. Come prova inconfutabile ci porta alcune sue elucubrazioni, difficilmente condivisibili, estratte dalle lettere di Sibilla. Per chi confuta o non ci crede, c’è l’iscrizione immediata nella sua personalissima lista nera, che immagino affollatissima, e che raccoglie i nemici non solo suoi, ma della verità e della storia vera di Campana, di cui lui solo è custode e gran cerimoniere, incaricato a divinis. Un esempio ? Renato Martinoni, autore di una bellissima, recente edizione dei Canti Orfici (presso Einaudi), pur da lui raccomandata all’editore, come veniamo a sapere dal recente libro, ci finisce subito, per non aver condiviso il credo vassalliano fino in fondo : con tanto di articolo denigratorio del 26 novembre del 2003, ancora sul “Corriere della Sera”.

Eppure, nel suo libro “La notte della cometa”, un Sebastiano Vassalli, non ancora diventato “uno dei più importanti scrittori italiani contemporanei” (così viene definito nell’ultima di copertina di questo volume ancora fresco di stampa), in vena di tenerezze e pieno di riconoscenza, ebbe il buon gusto di riconoscere il contributo essenziale ricevuto da Gabriel Cacho Millet al suo lavoro ; ne riproduco il testo, per recuperare i rispettivi ruoli e meriti dei due autori.
Vassalli parla dei ringraziamenti dovuti a quanti lo hanno aiutato nelle sue ricerche, e dice :
“... farò un nome soltanto, quello dello scrittore argentino Gabriel Cacho Millet : che innamorato della poesia di Campana, ha speso una parte della sua vita per rintracciarne e pubblicarne le lettere. Senza il suo lavoro attento e tenace il mio romanzo del poeta sarebbe ora più incerto : molti episodi mancherebbero, molti altri resterebbero sospesi nello spazio, fuori del tempo... A Gabriel Cacho Millet sono anche debitore di alcune memorie familiari e di alcune testimonianze inedite che con rara generosità lui stesso ha voluto mettere a mia disposizione. Grazie.”

Dirò anche che Vassalli, laddove inizia la ripubblicazione delle lettere, nella quarta parte del volume, afferma che non esiste, a tutt’oggi, una raccolta completa delle lettere note e pubblicate di Campana. E propone quindi la sua scelta, che parte dal 1910 e finisce con il 1931. Come può Vassalli ignorare che questa raccolta esiste, ed è stata pubblicata, come risulta da qualunque bibliografia campaniana, proprio da Gabriel Cacho Millet, nel suo Souvenir d’un pendu Carteggio 1910-1931, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1985 ?

Non a caso la prima e l’ultima delle 181 lettere pubblicate da Cacho Millet coincidono con quelle pubblicate nella scelta di Vassalli, che comprende 61 lettere. Questo libro è il progressivo completamento del precedente Le mie lettere sono fatte per essere bruciate, All’insegna del Pesce d’oro, Editore Scheiwiller, Milano, 1978. Sono seguiti, arricchendosi il patrimonio dei testi campaniani con nuove scoperte, nel 1997, Dolce illusorio Sud, per le Edizioni Postcart di Roma (che comprende un raro e bellissimo testo inedito di Campana, presente nelle carte ritrovate dopo la morte di Papini) e l’ultimo, almeno fino ad oggi, Dino Campana sperso per il mondo, per i tipi della Olschki di Firenze, nel 2000.

Si può dire che i testi campaniani curati da Cacho Millet costituiscono nel loro insieme la più completa raccolta delle lettere di Dino Campana, fino ad oggi ritrovate, e la più sicura e certa documentazione per qualunque studioso di Campana.

Alla fine di questa sfuriata, calmatesi un po’ le ire e le adrenaline in libera uscita, dirò che mi dispiace di quanto sono stato costretto a dire ; il primo romanzo su Campana, scritto da Vassalli, pur non essendo, per ammissione dello stesso autore, una vera e propria biografia, è un bel libro, e ha conquistato migliaia di lettori. Io stesso ho cominciato a conoscere Dino fra le pagine di questo libro : pagine appassionate, scritte con il cuore, pagine assolutamente coinvolgenti. Quello che è successo dopo, negli scritti e nelle azioni di Sebastiano Vassalli, arroccato su posizioni di assoluta difesa del suo credo, basato su alcune certezze incrollabili (Campana aveva la sifilide, la sua famiglia era composta da pericolosi criminali, a Marradi ancora si vede il sangue di Campana che gocciola sui muri, come se fosse quello di San Gennaro, che ogni anno torna allo stato liquido), polemico verso tutti gli altri studiosi campaniani, che, a torto o a ragione, dissentono da lui, non rientra nella mia possibilità di comprensione.

Come è lontana dalla mia comprensione la vicenda recente, tristissima, di un regista che, dopo aver fatto un film sul Poeta di Marradi, e averne tratto vantaggi materiali (sonante conquibus) e gloria imperitura, non si è vergognato di firmare, per il pubblico presente in una libreria di Roma, le copie della nuova ristampa appena uscita del carteggio Campana - Aleramo, al posto di chi, di questo libro, è stata la curatrice : Bruna Conti, che era presente in sala.