Una recensione per Agar

 

Giovanni Boine

 

da: Plausi e Botte

 

Guanda editore, Modena, 1939

 

(Agar è il nome de plume di Virginia Tango, amica e confidente di Campana) 

 

 

80) Agar, Le reliquie di un ignoto. Ed. « Buon Consigliere ». Roma, 1915.

Storia epistolare d’una specie di Jean Christophe legnaiolo della Campagna Romana che una giovane e milionaria civetta finge di proteggere e per gioco fa innamorare. Quello abbocca e sogna la gloria. Passata la stagione, l’altra andata via, s’intende che se ne scorda. Quando torna, torna per sposarsi un signor marchese. Jean Christophe pazzo, improvvisa all’organo una maravigliosa messa nuziale il giorno delle nozze. Poi si schianta, poi s’ammala; tenebre e rovine. Ma si ripiglia come convertito: da banda il vano sogno; si martirizza di fatica per i suoi in una vita di rinuncia e di bontà.

« I volumi della Biblioteca del Buon Consigliere non dovrebbero mancare in nessuna famiglia: appartengono alla buona stampa e si leggono con piacere. Sono i libri da consigliarsi e da darsi in dono ai parenti ed amici ».

 

Questa Agar però aveva scritti anni fa versi come questi:

 

s'io son caduta nell’abisso orrendo

de la sventura, se con le mie labbra

femminili e ridenti che avean tutte

per te le voci belle di passione

ho masticato, nauseabonda cicca,

l’assenzio velenoso del rancore,

non prender vanto amico.

 

i quali sono cosi sinceramenle dolorosi che bastano a redimerla da ogni altra diciamo reliquia. Quanto all’arte sacrificata alla morale santità che è pure, qui, la morale del racconto, ciò fu sempre un interessante problema. Ma non c’è che la soprabbondanza dell’anima, a mio parere. Le astratte contrapposizioni non avvengono che nelle psicologiche tortuosità dell’inerzia. Arte, santità: il santo crea infine come l’artista: modella cuori invece di creta ed è in quel medesimo sgorgo di spontanea attività che fa l’ispirazione.

Ad esser pieni ci si versa fuori come cornucopie: la funzione dei ricchi è di dare: l’anima è sempre la stessa e la si definisce per la soprabbondanza. Infine si investe di noi il nulla che è fuori, ci si spende fino all’esaurimento. Si foggia il vuoto, lo si colora e riempie; si galvanizzano le larve, si dà valore a ciò che non ne ha. Quanto ai sacrifici e rinuncio non c’entrano: santi geni lo si è con felicità. Soprattutto senza esitazione; è inconcepibile che un uomo esiti tra l’ispirazione e il dovere, quasi aiutare un fratello fosse da meno che comporre una musica o viceversa. I ricchi han danari per tutto, i forti forze per tutto, e i deboli per nulla. A destra e a sinistra la vita è in piena per tutte le chine.

Epperciò vi è una controparte: il nimbo di certe rinunzie vela una fiacchezza creativa che non si vuol confessare. O appunto per esse si confessa. Lo sgorgo della vitalità s’è arrestato; allora si fa finta di regalarci umilmente in giro. Perchè infatti è l’unico modo di rimetterci in valuta.

C’è una bontà che è dei falliti: ma non è fecondo che l’impeto. Dirò allora che la bontà vera è cattiva che la vocazione è prepotente come l’ispirazione, che i santi non hanno rinunciato mai alla loro santità ed anche per esser santi bisogna far piangere. — Cristo disse per es. «Non ho nè madre nè fratelli». Purtroppo non si è cristiani nemmeno a volerlo fare.

Chiedo scusa alla signora Agar di questa divagazione che certo la meraviglia.