Tradurre poesia è un'esperienza spettacolare

 

di Francesca Bottari

 

Da:  Unimondo.org

 

 

 

La traduzione poetica è un’arte e un’esperienza spettacolare. Ne abbiamo parlato con Antonio Nazzaro: poeta, giornalista, traduttore, nato a Torino, con una conoscenza profonda sia della lingua sia delle molteplici differenti culture dei paesi dell’America Latina. 

Il prezioso lavoro di Nazzaro è un ponte sicuro sul quale muoversi per raggiungere paesi fra loro distanti. Esso, infatti, si può paragonare a un bellissimo arco, pulito, dal quale vengono scoccate poesie italiane tradotte in spagnolo dall’Italia verso il Sudamerica e, nella direzione opposta, poesie di vari autori sudamericani tradotte nella nostra lingua. Unendo, così, e attraverso file di versi - diversi come gli autori che fa sconfinare - il Bel Paese con i bellissimi popoli della vasta e complessa realtà che si estende a sud del Messico. 

In agosto uscirà per Abisinia Editorial (una giovane casa editrice di Buenos Aires) la traduzione che ha appena concluso dei Canti Orfici di Dino Campana. “Campana”, racconta Antonio, “è un autore che non usa la punteggiatura, che ripete le frasi in modo ossessivo, e per cui, ricostruire il suo linguaggio, fatto a volte di parole che in italiano non si usano più, ha implicato anche una ricerca scientifica”.

È stato un bel lavoro, il suo, e sebbene l’italiano e lo spagnolo siano “lingue sorelle”, come egli stesso ha affermato, comunque sia, “ognuna di esse ha la propria personale melodia”. 

Però “la poesia non è musica” e per questo, spiega, “è stato fondamentale mantenere il senso del testo”. Questo è un principio importante per un traduttore, soprattutto oggi, in un periodo in cui viene sempre meno “la buona abitudine di andare a vedere il testo originale dell’opera tradotta”. 

Il fatto che non venga, molto spesso, pubblicato il testo in fronte è un campanello da suonare. “Io non traduco libri se non viene riportato lo scritto originale, altrimenti non ha senso”. E senza nessun fraintendimento, il traduttore poeta, motiva la sua affermazione: “questo perché la gente possa avere l’impostazione della traduzione”.

La voce di Nazzaro veicola una richiesta che è quella, per chi traduce, di avere un profondo rispetto nei confronti dell’autore. Questa rettitudine è anche la base per la quale è doveroso restare aderenti, come cerotti, al senso del testo che si va a tradurre per non farlo sanguinare. “Ma”, sostiene, “non sempre accade”, perché, come racconta, “purtroppo molti libri vengono pubblicati senza le poesie in lingua originale e questa è un’operazione pessima”, e si chiede a voce alta: “non riesco a capire il perché”. 

Antonio è da sempre che si pone questa interessante domanda, per di più, ricorda, “esistono degli autori i quali non vogliono che vengano pubblicatati i versi di partenza”. Probabilmente, il motivo di questo operare è fortemente influenzato dai costi: “nel mondo della poesia quasi nessuno pubblica perché è bravo, la maggior parte dei poeti pubblicano perché pagano”. Va da sé che non mettere il testo originale riduca di molto le uscite per una pubblicazione. “Soprattutto”, ricorda l’intervistato, “che adesso la carta è aumentata quasi del 100%”. A qualsiasi risposta si possa arrivare, resta il fatto che per il nostro traduttore questo modus operandi è “una mancanza di rispetto sia verso l’autore sia verso il lettore”. 

Un traduttore deve prima di tutto “mantenere intatto il significato della poesia cioè quello che lo scrittore voleva dire”, e continua, “poi il ritmo così come il suono pur essendo fondamentali entrano in gioco in un secondo momento perché”, chiarisce con sentimento, “quando passi da una lingua all’altra è impossibile riprodurne esattamente il suono e la melodia. Ci si può andare vicino facendo attenzione a mantenere il senso del testo, e senza, per questo, violentarne il ritmo”.  

Antonio Nazzaro, da persona intelligente cui è, ammette altresì l’esistenza di opinioni diverse dalla sua, citando ad esempio quella di Pablo Neruda, il quale, parlando anche della ritmica, ha affermato che “tutte le poesie sono traducibili perché tutta la poesia è universale”.  

Al di là alle prospettive differenti fra loro, c’è da sottolineare, anzi, da evidenziare con una fluorescenza celeste che “tradurre poesia è un’esperienza spettacolare” e, sorridendo, Antonio ci spiega il motivo di una simile, e felice, opinione: “dà due vantaggi”, dice, “primo non sei mai solo e secondo ti dà l’occasione di scoprirti altro da te”. E, a fronte di quanto è stato fino ad ora detto, si può avanzare che l’arte di tradurre può diventare un’esperienza esistenziale, perché, oltre ad attraversarti per mezzo delle parole di un autore, “devi entrare e uscire dalla cultura della lingua che stai traducendo”. Dunque, devi entrare e uscire anche da quella storia, da quella politica; da quelle montagne - laddove sorgono - e da quei fiumi - laddove sfociano -. 

La poesia, avviandosi verso la conclusione, si traduce perché venga letta, e qui, bisogna essere sinceri, c’è un altro campanello da suonare, o un’altra porta da sfondare: “i poeti in Italia non vogliono essere letti dalla gente, ma dai loro compagni di poesia, di università, da chi condivide esperienze poetiche all’intero di un gruppo di poesia. “È difficile”, afferma il poeta, “avere un rapporto responsabile con il pubblico, però”, avendo la capacità di sfondare questa porta per superare una tipologia di ambiente troppo ermetico, “il mondo per fortuna è fatto da persone e non da poeti”. 

Antonio Nazzaro in finale ci insegna che quando si traduce “la poesia degli altri non è mai tua, sei tu che devi diventare altro.” Questo è un confine sottilissimo e al centro di un simile concetto pulsa il cuore di questo lavoro che vive per creare qualcosa che è già stato creato: non puoi sentirti un seme in terra per fiorire il frutto che vuoi tu, no, se il vento ti metterà nelle mani un seme di pesco, lo dovrai piantare nel tuo terreno, curarlo, fino a quando i suoi frutti veicoleranno, a chi li mangerà, le stesse identiche vitamine per il quale esso è stato creato.

Ed ecco, magicamente, perché può diventare qualcosa di spettacolare l’esperienza di tradurre poesia: “ti impadronisci di immagini e di modi di scrivere che erano inimmaginabili fino a quel momento”. E questo è un processo artistico che di conseguenza porta ad ampliare la propria capacità di immaginare e dunque “di costruire mondi” o, per dare un’interpretazione che si rifà alla Bibbia, a unire con un arco colorato, che sarebbe l’arcobaleno, i regni diversi della poesia, affinché le generazioni di poeti siano tante e diverse, ma uniche ed eterne, così anche la loro memoria.