Osvaldo Licini, Amalassunta 2, 1950

 

 

Osvaldo Licini

 

(Monte Vidon Corrado, Ascoli Piceno, 1894-1958)

 

 

di Lara -Vinca Masini

 

da L’Arte del Novecento: dal’Espressionismo al Multimediale

Giunti 1989


 

Sito ufficiale dedicato a Osvaldo Licini, curato da Lorenzo Licini, nipote dell'Artista.

Ho sempre pensato che le Amalassunte e gli Angeli Ribelli sono molto vicine alle Chimere nei cieli di Campana.

Ho avuto la fortuna di essere amico di Lara e spesso si parlava di Licini e di Campana. Due artisti, due spiriti fratelli.

 

paolo pianigiani

 


 

 

Dopo l'Accademia a Bologna, con Morandi, partecipava alla prima guerra mondiale, durante la quale dipingeva episodi bellici; ferito ad una gamba, nel '17, parte per Parigi in convalescenza presso la madre e la sorella. Si avvicinava a Modigliani, Picasso, Cendrars, Cocteau... Alternerà, per alcuni anni, Parigi con la Costa Azzurra. Esponeva, frattanto, coi futuristi.

Nel '24 si stabiliva a Monte Vidon Corrado con la moglie; ne diverrà, dal dopoguerra, per molti anni, sindaco comunista. Nel '26 e nel '29 esponeva alla I e II mostra del "Novecento italiano" a Milano. Entrava, net '35, a Milano, nel gruppo di artisti italiani della galleria del Milione («Siamo astrattisti e crediamo che niente di umano ci manchi» — in "Natura di un discorso", 1937) e conosceva, a Venezia, Giuseppe Marchiori, col quale instaurerà un'amicizia che durerà tutta la vita.

Di nuovo a Parigi, vi conosce Kandinskij, Vantongerloo, Kupka, Herbin, Magnelli. Pure del '35 è un suo viaggio in Svezia. Firma nel '38 it manifesto di Marinetti per "La linea italiana dell'arte"; nel '41 quello del gruppo "Primordiali futuristi". Innamorato, da sempre, della pittura visionaria, delle figurazioni mistiche medievali e del primo Umanesimo, come ci racconta Marchiori nel suo acuto, affettuoso "Licini — con 21 lettere inedite del pittore" (Roma 1960), egli, come del resto Melotti e Fontana, non condividera mai pienamente la fredda razionalità geometrica degli altri astrattisti italiani, coi quail invece si sentiva «fratello in spirito», come scrive nella sua "Lettera aperta al Milione" del '35:

 

«Dicono i preti che io faccio adesso della pittura cerebrale. Che cosa dovremmo fare, la pittura intestinale?... Dicono pure (in malafede) che la nostra è una pittura decorativa. Se la nostra a pittura decorativa, la loro pittura è scenografica, fotografica o grottesca. E siamo pari. A che serve un quadro se non a superdecorare un muro, rallegrare una parete?...

D'accordo, sarà anche un'opera di poesia. E questo noi faremo adoperando libere forme e colori. Dimostreremo che la geometria può diventare sentimento, poesia più interessante di quella espressa dalla faccia dell'uomo... Una cosa è certa: noi non faremo più della pittura come piace a Ojetti, archeologica o imitativa come le scimmie. A quella vecchia favola della pittura imitativa noi tireremo il collo. E a tutti i critici da salon».

 

Dichiarazioni che non erano fatte, certo, per essere lasciato in pace...

 

«Uomo di parte, questo voleva essere, per non confondersi con la gente aperta ai compromessi; uomo di parte, risoluto come certi antichi (non oso più dir vecchi) italiani, religiosi o soldati, mosso dall'idea della giustizia e del bene, nel nome di una libertà richiesta agli artisti a vantaggio dell'intera società»

(G. Marchiori, op. cit.).

 

Espressione di sprezzante, eversivo anelito di libertà è quel suo «errante, erotico, eretico» "Racconti di Bruto", che egli proponeva, attraverso Balilla Pratella, a Vespignani, per "Lacerba", in nome della sua «autenticità di futurista, convinto, vecchio e disinteressato» (lettera a Balilla Pratella del 17 settembre 1913). Racconti «tutti invasati da un cinismo brutalissimo», a metà tra Palazzeschi, Laforgue e Jarry, che "Lacerba", peraltro, non pubblica.

Erano gli anni della sua preistoria; Parigi, che egli raggiungeva, si è visto, nel '17, lo avrebbe liberato da quel tanto di strapaese che ancora, un po', lo oberava. E la sua costante lettura di Leopardi, e il suo amore per Campana faranno il resto.

Si leggano in parallelo le due poesie, la prima di Licini, la seconda di Campana:

 

 

Nuda nel mistero

Da me fuggente

Al sogno breve

Notte sei tu

La nostra alba

Un grido

La tua cima

Ai falchi

Nuda nel mistero

Tra le mie braccia

Perduta

Al sogno breve

Notte sei tu

La nostra alba

Un grido

La sua cima / Ai falchi

 (1933)

 

 

Per l'amor dei poeti

Principessa dei sogni segreti

NeII'ali dei vivi pensieri ripeti ripeti

Principessa i tuoi canti:

0 tu chiomata di muti canti

Pallido amor degli erranti

Da' tregua agli amori segreti:

Chi le taciturne porte

Guarda che la None

Ha aperte sulI'infinito?

Chinan l'ore: col sogno vanito

China la pallida Sorte...

 

 

e si noti la stessa assonanza irripetibile e la stessa struttura sintattica. E, espressioni del suo sogno di libertà («sapeva benissimo che la libertà non è evasione, ma impegno morale»: G. C. Argan in "Licini", Sassomarconi, Bologna 1975), Licini dipinse i suoi Angell ribelli, le sue Amalassunte, i suoi straordinari Bilichi, i suoi Olandesi volanti in cieli tramati, spartiti secondo ritmi liberi come quelli dei suoi primi, matissiani, paesaggi...

«L'arte per me resta un faticoso problema, ma soprattutto un grave e serio impegno morale di fronte a me stesso, tanto più rigorosamente posto e sofferto, tanto profonde e intime le soddisfazioni» scriveva, nel '31, a Checco (Ermenegildo Catalini).

E, nel '37, in "Natura di un discorso", annoterà: «L'arte è per noi di natura misteriosa e non si definisce. Confessiamo pure che la bellezza fuggirà sempre ai nostri calcoli. Ed è bene che sia così. Come tutte le cose della natura, enigmatica, menzognera, bella ma con frode. L'importante è che la menzogna sia geniale».

E ancora: «... l'uomo è una buona iena con tendenza alla poesia». E: «Cogliamo l'occasione per ricordare che la pittura è l'arte dei colori e dei segni. I segni esprimono la forza, la volontà, l'idea. I colori la magia. Abbiamo detto segni e non sogni».

La geometria si trasformera, dunque, per Licini, in straordinaria poesia (come nella preziosa Composizione linee nere e blu del '32, dove le forme sembrano danzare nella spumosita del colore; o in Addentare del '36, nell'altalenante ma perfetto gioco delle line che incastrano una impossibile immagine dentata, appuntita e stellata, o nella libertà dei numeri-sigla che si fanno forma guizzante, occhi stellati di Amalassunte sognanti («Ma se dovessi mancare e qualche anima curiosa dovesse rivolgersi proprio a Lei, critico d'arte senza macchia e senza paura, per sapere chi è questa misteriosa ‘Amalassunta’ di cui tanto ancora non si parla, risponda pure, a mio nome, senza ombra di dubbio, sorridendo, che Amalassunta è la luna nostra bella, garantita d'argento per l'eternita, personificata in poche parole, amica di ogni cuore un poco stanco»: lettera a Marchiori del 2115/50).

«L'opera di Licini» scriveva Argan nel '76 (op. cit.) «è tutta d'immaginazione, ma un'immaginazione non proiettiva; la si percepisce per auscultazione, come un organo vitale: densità e rarefazione, moto e arresto, battito e pausa... La sua pittura non fu il contrario, ma l'antidoto del Novecento: cioè lui fu il solo a capire che il Novecento non era soltanto stupido, ma velenoso. E allora diciamolo forte, in questo momento favorevole a tutti i recuperi: Licini fu l'anti-Sironi. Purificò l'aria dello scirocco fascista come Mirò, in Spagna, diradò il miasma morale di Franco».