Giaconi Tebaide copia

 

Tebaide di Luisa Giaconi. Tradizione del testo

di Susanna Sitzia

da: «Oblio. Osservatorio Bibliografico della Letteratura Italiana Ottonovecentesca»

Periodico trimestrale on-line diretto da Nicola Merola

A. IV, n. 14-15, Autunno 2014, pp. 64-78

 

 Luisa Giaconi è autrice di un libro poetico intitolato Tebaide. Poesie. Questo saggio indaga la tradizione del testo.

Editio princeps

Tebaide. Poesie di Luisa Giaconi è un libro postumo. Giaconi morì di tubercolosi all’età di trentotto anni il 18 luglio 1908, cinque mesi prima che il libro fosse finito di stampare a Bologna il 15 dicembre 1908. Il libro è postumo, ma la sua costruzione si deve a Giaconi. È noto che la poetessa operò una severa selezione delle sue poesie; prescelse soltanto diciotto poesie e personalmente ne stabilì la sequenza. L’edizione 1909 di Tebaide è non solo editio princeps ma anche quella originale, l’unica curata e approvata dall’autrice: Luisa Giaconi, Tebaide. Poesie, con un epilogo di G. S. Gargàno, Bologna, Nicola Zanichelli, 1909, finito di stampare il dì 15 dicembre 1908 nella tipografia di Paolo Neri in Bologna (da qui T1909). 

La curatela della prima edizione di Tebaide. Poesie è stata da lungo tempo attribuita a Gargàno.[1] Tuttavia, attribuire la curatela di T1909 a Gargàno significa contraddire Gargàno stesso, il quale ha dichiarato fin dal 1908 che la prima edizione di Tebaide è stata curata da Giaconi: 

La Giaconi curò ella stessa, non molti giorni prima che l’avvolgesse tutta l’ombra

del silenzio, i pochi canti che si offrono ora al pubblico, e scelse fra una sua più

vasta produzione tutto ciò in cui le parve di avere manifestato con maggior

pienezza ed efficacia i suoi sentimenti.[2]

L’edizione 1909 immediatamente palesa nella zona paratestuale una volontà d’autore che ha potuto esplicarsi in un tempo immediatamente prossimo al completamento dell’opera; il libro si fregia di un’epigrafe: è una dedica. 

AD

ANNA MONTAGNON

DOLCE ANIMA SORELLA

 L. G.

La dedica del libro implica l’approvazione e la soddisfazione dell’autrice nei confronti della propria opera finita. Giaconi ha giudicato Tebaide così rifinita da poter del suo libro fare dono all’amica. La poetessa, intervenendo in una zona liminare con la dedica e con le sue iniziali, ha apposto il sigillo che attesta la corrispondenza di Tebaide alla sua volontà. 

Seconda edizione accresciuta

Tebaide ottenne un buon successo di pubblico, tale da indurre Zanichelli a proporre una nuova edizione. La seconda edizione è stata curata da Giuseppe Saverio Gargàno ed è una raccolta postuma a tutti gli effetti: Tebaide. Poesie, con prefazione di G. S. Gargàno, Seconda edizione con numerose aggiunte, Bologna, Nicola Zanichelli, 1912, finito di stampare il 30 settembre 1911 coi tipi degli Stab. Grafici Riuniti Succ. Monti e Noè in Bologna (da qui T1912). È questo il testo vulgato: un’edizione postuma, omonima e accresciuta. I testi sono stati suddivisi da Gargàno in quattro sezioni, la prima delle quali è formata da diciannove poesie: l’inedito testo A Cherilo, tipograficamente distinto con il carattere corsivo, e le diciotto poesie di T1909. Questa seconda edizione declassa l’autentica Tebaide a prima sezione di una seconda Tebaide

Zanichelli e Gargàno offrono una seconda edizione di Tebaide per documentare più estesamente l’arte della poetessa, ma interpretare T1912 edizione sostitutiva di T1909 è interdetto anche al lettore più frettoloso dal frontespizio e dalla Prefazione. Nell’aprire il volume, le prime parole della Prefazione chiariscono che questa

Tebaide si è arricchita di testi aggiunti solo per «desiderio» dell’editore e di Gargàno (p. III), e non, quindi, per attestare una volontà di Giaconi diversa da T1909. La Prefazione conferma che «sono veramente significative dell’anima di lei» le poesie che «ella stessa scelse per la prima edizione di Tebaide» (p. VIII). 

Architetture 

Petite plaisance ha il grande merito di aver proposto nel 2008 il testo Tebaide insieme a un contributo di Manuela Brotto; la studiosa propone una particolareggiata e onesta lettura delle poesie di Giaconi, e correttamente distingue la prima dalla seconda Tebaide.

La presente analisi di Tebaide […] indagherà sia l’architettura complessiva

dell’opera che il dettato specifico di ciascun testo, procedendo nel dovuto rispetto

delle divisioni e dell’ordine con i quali l’autrice stessa e poi il suo curatore,

esattamente un secolo fa, l’offrirono all’attenzione del pubblico.[3] 

È infatti indispensabile distinguere i due progetti architettonici: uno è di Giaconi, l’altro è di Gargàno. Tenere conto dell’architettura della seconda Tebaide è produttivo, per esempio, per stabilire la cronologia dei testi, come ha fatto Brotto. Il rispetto dovuto alla volontà di Giaconi, nondimeno, implica il ritorno alla Tebaide approvata dall’autrice. La differenza tra l’editio princeps e la seconda edizione è profonda, come evidenziano i rispettivi indici. Tebaide consta di diciotto poesie; in corrispondenza del titolo segnalo l’edizione della poesia sul «Marzocco».[4]

TEBAIDE   

«Il Marzocco», A. IV, n. 5, 5 marzo 1899, p. 2 L’ORA DIVINA

 «Il Marzocco», A. VI, n. 39, 29 settembre 1901, p. 1 (con il titolo Oltre la vita) LA CASA SUL MONTE  

«Il Marzocco», A. IX, n. 3,17 gennaio 1904, pp. 1, 2   

L’ALBA

IL LAGHETTO

 «Il Marzocco», A. III, n. 43, 27 novembre 1898, p. 3 ARMONIA

 «Il Marzocco», A. IV, n. 16, 21 maggio 1899, p. 2 L’OFFERTA  

«Il Marzocco», A. VII, n. 46,16 novembre 1902, p. 2 PRIMAVERE  

 «Il Marzocco», A. III, n. 22, 3 luglio 1898, p. 3 e «Il Marzocco», A. V, n. 30, 29 luglio 1900, pp. 1, 2 

L’IMMAGINE

 «Il Marzocco», A. XIII, n. 51, 20 dicembre 1908, p. 1

UNA MORTA

L’ULTIMA PAGINA 

DALLA MIA NOTTE LONTANA

 «Il Marzocco», A. VIII, n. 18, 3 maggio 1903, p. 1

IL DOMANI

UNORA PERDUTA

IL RIFUGIO  

«Il Marzocco», A. XIII, n. 18, 3 maggio 1908, p. 3

LE DUE PREGHIERE

INVOCAZIONE ALLA SERA  

IL VENTO  

T1912 suddivide quarantaquattro testi in quattro sezioni; elenco i titoli delle poesie annotando soltanto per le ultime tre sezioni la precedente edizione sul «Marzocco». 

 I

A Chérilo Tebaide

L’ora divina

La casa sul monte

L’alba

Il laghetto                                                                                                                                                                                            

Armonia

L’offerta Primavere

L’Immagine

Una morta

L’ultima pagina

Dalla mia notte lontana

Il domani

Un’ora perduta

Il rifugio

Le due preghiere

Invocazione alla sera

Il vento

II

Senz’ombra d’amore

«Il Marzocco», A. III, n. 32, 11 settembre 1898, p. 2

Sospiri

«Il Marzocco», A. I, n. 43, 22 novembre 1896, p. 2 Ancora un autunno

Alla notte

«Il Marzocco», A. I, n. 29, 16 agosto 1896, p. 1 (con il titolo Alla Notte)

Pensieri autunnali

«Il Marzocco», A. II, n. 34, 26 settembre 1897, p. 2

Le buone lacrime

Le morte mani

«Il Marzocco», A. I, n. 12, 19 aprile 1896, p. 2

Chopin

Suoni di campane

Candori

Nei muti campi del Sogno

Epistola

Il Tempio

Preghiera

III

Aneliti

«Il Marzocco», A. V, n. 9, 4 marzo 1900, p. 2

Voto

Pianto

Silenzio

Parole della Solitudine

IV

L’afflitta

L’uccisa

Il deserto

L’incubo

Il pianto di Agar

«Il Marzocco», A. XIV, n. 8, 21 febbraio 1909, p. 3

Dianora

L’autentica Tebaide si pregia di una raffinata architettura: Giaconi l’ha stabilita con tratto preciso da miniaturista. Il disegno di Gargàno include e prosegue il disegno di Giaconi oscurandone le qualità, prima fra tutte quella strutturale. 

Progettazione

Si è appreso da Caterina Del Vivo che Giaconi sperò a lungo nell’edizione di un suo libro presso Paggi, «con il quale sembra fosse già in parola».[5] Giaconi effettivamente aveva ragione di lamentare nel carteggio con Angiolo Orvieto che Paggi non avesse mantenuto la parola: «mi ha assolutamente negato la pubblicazione promessa».[6] L’editore Paggi, infatti, annuncia un libro di Luisa Giaconi intitolato L’anima e il sogno nell’elenco delle pubblicazioni in preparazione che appare sia nel volume dedicato nel 1896 a Tiepolo, sia nel volume La gioia di Corradini del 1897. Inoltre, fin dai primissimi numeri, nel febbraio 1896, «Il Marzocco» pubblicizza la pubblicazione presso Paggi, nella collana Biblioteca degli Autori contemporanei inaugurata dall’Allegoria dell’Autunno, del libro di Giaconi L’anima e il sogno, che risulta in preparazione fin dal numero 1. Il progetto editoriale naufragò ma da questi dati si desume che Giaconi meditava di pubblicare un libro di poesia fin dalla metà degli anni Ottanta dell’Ottocento. Una lettera attesta che nell’agosto 1899 la poetessa chiamava con il nome «Tebaide» la raccolta manoscritta dei suoi componimenti: 

Quanto alla Tebaide che è per te una causa di tristezza, lasciamola dormire in pace e non ne parliamo; il tempo forse ti darà la serenità di cui abbisogni come critico; fino a quel giorno anche senza una tua prefazione quella povera opera mia non uscirà dall’oscurità, avesse anche quel giorno da non giungere mai.[7] 

Le decisioni di Giaconi sul libro stampato nell’anno della sua morte appaiono pertanto l’esito di un progetto maturato in un lungo arco di tempo e al quale la poetessa potrebbe aver lavorato per più di dieci anni. 


Testi aggiunti 

Nella selezione dei testi Gargàno si mostra rispettoso della volontà dell’autrice quando dichiara di aver incluso nell’edizione accresciuta di Tebaide soltanto i testi dall’autrice non rifiutati.

La mia diligenza di editore vuol che io avverta un’ultima cosa soltanto: che dello sparso è qui raccolto tutto ciò che ella stessa non rifiutò mai decisamente, e dell’inedito quello che ella credeva di dover correggere in qualche piccolo luogo.

La riflessione che in lei si era fatta sempre più sottile, la rendeva anche incontentabile.[8] 

Tuttavia, occorre ricordare che Giaconi rifiutò decisamente di inserire quelle poesie nella sua Tebaide. Una nota redazionale che accompagna l’edizione di Il pianto di Agar sul «Marzocco» del 21 febbraio 1909 conferma che l’autrice decise di escludere Il pianto di Agar da Tebaide e documenta le motivazioni della scelta: 

Questa poesia di Luisa Giaconi doveva trovar luogo nel volumetto Tebaide testé edito dallo Zanichelli di Bologna, ma l’autrice si risolse a toglierlo perché le parve che non s’intonasse alle altre liriche ivi raccolte. Noi la pubblichiamo stimando che sia di grande interesse mostrare ai lettori un nuovo atteggiamento della sua nobile arte.[9]  

Di alcune poesie T1912 si presenta testimone unico. È ben evidente il suo irrinunciabile valore. Ma si deve al contempo notare che la poetessa potrebbe non aver mai dato approvazione per la stampa delle numerose poesie che alla sua morte erano rimaste inedite. La poetessa ha deciso di escludere da Tebaide non solo Il pianto di Agar ma tutti i testi che Gargàno nella seconda edizione ha inserito, anche i componimenti già editi dal «Marzocco» con la sua approvazione: 

Al Marzocco soltanto toccò la sorte di dare a lunghi intervalli, di anni talora, qualche saggio dello schivo ingegno di lei; e la maggior parte di quei versi non è compresa nel presente volume, il cui ordinamento rivela il desiderio di una perfezione artistica che cogli anni si faceva sempre più intensa.[10] 

L’inclusione in Tebaide dei testi rifiutati non rispetta i confini stabiliti da una scrittrice perfezionista per il suo unico libro.  

«Per te solo»: inammissibilità di Cherilo

Premesso per scelta di Gargàno alle altre poesie e tipograficamente distinto, A Cherilo è un esempio eclatante dell’arbitrarietà delle scelte del curatore. Con l’aggiunta di questa poesia, e senza dichiararlo, il curatore Gargàno di fatto ha dedicato il libro a se stesso. Come attestano le lettere di Giaconi a Gargàno analizzate da Zagra e da Brotto, «a partire dal 1899, Gargàno viene indicato con il vezzeggiativo Cherilo»;[11] Cherilo «è il nome, di ascendenza greca, con cui Luisa chiamava il suo amato Gargàno nelle lettere che gli spedì nell’estate del 1899, pertanto si evince che è egli stesso il dedicatario della poesia».[12] Poiché la collocazione e il contenuto della poesia portano a interpretarla come «proemio e chiave di lettura dell’intero volume»,[13] non soltanto la prima poesia ma l’intera Tebaide appare dedicata a Cherilo, cioè al curatore Gargàno. A Cherilo è pertanto inconciliabile con la dedica di Tebaide ad Anna Montagnon, ossia inconciliabile con l’unica edizione approvata dall’autrice.

  

Incipit Tebaide: «silenzïosa terra»

L’incipit di T1912 sostituisce l’apostrofe a Tebaide con un’apostrofe a Cherilo. Gargàno tace il proprio coinvolgimento, tace di essere Cherilo e così impedisce al lettore di valutare le sue scelte di curatore. Secondo Frabotta, invece, Gargàno «non a torto» inserì A Cherilo.

Del resto, proprio ad apertura di libro, nella poesia A Cherilo cui non a torto

Gargano volle dare il valore di un piccolo manifesto di poetica, leggiamo: 

Per te solo, e non già per la nemica

gente o i plausi o la tenue gloria, tale

anelito che i miei sogni affatica.[14]  

L’incipit dell’autentica Tebaide non esprime una dichiarazione di «sprezzante autoisolamento»,[15]  così come non indica in Gargàno l’unico destinatario del canto. Nel testo inaugurale della sua Tebaide Giaconi usa più volte la prima persona plurale; la prima edizione è incomparabilmente più efficace anche perché il lettore non si sente escluso dal messaggio comunicativo. Anteponendo la terza rima A Cherilo, Gargàno sacrifica la poesia Tebaide che dà il titolo al libro al proprio narcisismo. Un manifesto poetico in Tebaide potrebbe essere, per l’autrice del libro, la poesia Tebaide, che nell’ultima strofa sentenziosamente proclama, per gradi, la natura onirica d’ogni cosa in una climax di epifrasi che si conclude nell’epifonema:

Li autunni non furon che eterne primavere velate

di pianto; e la vita fu sogno e l’amore fu sogno,

e parvero sogni le luci delli astri, e la dolcezza

dei fiori, ed il tempo, e la morte. Poi che noi siamo sogni.

Se è vero che nella poesia Tebaide «è mirabilmente risolto l’intero suo credo»,[16] si deve ammettere che tra il lettore e il «messaggio supremo» di Giaconi[17] si frappone, con l’interpolazione della terza rima voluta da Gargàno, un guasto che ne ritarda la comunicazione. 

A Cherilo riduce drasticamente l’impressione di novità formale di Tebaide. Gargàno avrà scelto apertura d’opera in terza rima anche per rinviare al modello d’Annunzio, ma è appunto un incipit che ha forma metrica non originale. Giaconi esordisce con ritmi inusuali; la poesia Tebaide consta di sei strofe tetrastiche; i versi eccedono la misura dell’endecasillabo, sono composti di misure subversali differenti e sono sciolti: nella poesia Tebaide c’è quindi un grado di libertà e novità metrica decisamente superiore, e di grande effetto.  

Nel primo verso del libro, per definire Tebaide, Giaconi usa una citazione, ma è una citazione, e una strategia, di speciale raffinatezza. La dieresi di silenzïosa esalta una parola chiave del Poeta del silenzio[18] e all’orecchio attento non suonerà soltanto come un fatto prosodico: 

Sei dunque tu, silenzïosa terra, l’oasi immensa

Giaconi nel primo verso cita Leopardi e il modo della citazione rivela una non comune eleganza. La poetessa stabilisce la stretta vicinanza della sua Tebaide al Canto notturno con un leopardismo prosodico. Nella costruzione del primo verso del libro, inoltre, l’autrice ha isolato tra virgole «silenzïosa terra», che in tutto emula il settenario di Leopardi: «silenzïosa luna». E allora è al Canto notturno che il lettore della prima Tebaide è portato immediatamente a volgersi nell’interpretare questa terra di poesia che è leopardianamente silenzïosa e immensa. Ben si sa che Leopardi è uno dei modelli più importanti di Giaconi, modello dichiarato con molte allusioni e riprese testuali. Canto di Giovinezza, una delle poesie del Fondo Orvieto, reca in epigrafe «O dell’arida vita unico fiore».[19] Sei dunque tu…; molte parole esortano a situare i deserti della Tebaide non lontano dai deserti leopardiani. Il lettore è portato a riconoscere in Tebaide, tanto più ora che l’ispirazione leopardiana di tanta parte della poesia del Novecento è stata illustrata,[20] un libro anticipatore. 

L’isolamento di un settenario leopardiano all’interno del primo verso fa risaltare la forma rigorosa del verso lungo giaconiano, che realizza con la combinazione di riconoscibili e perfette misure tradizionali il superamento dell’endecasillabo. Il primo verso della seconda Tebaide non ha lo stesso pregio. D’altronde, a parte Tebaide, quali libri di poesia possono vantare un verso incipitario che supera l’endecasillabo e include un settenario leopardiano e un leopardismo prosodico?  

Il criterio di ordinamento cronologico 

Per quanto attiene l’ordinamento delle poesie nelle tre sezioni aggiunte, Gargàno dichiara di aver seguito un criterio cronologico senza mai contravvenirvi (p. VIII); tuttavia Brotto con ragione ha notato che Senz’ombra d’amore, prima poesia della seconda sezione, «fu composta successivamente alle altre, che pure la seguono»; si deve quindi interpretare l’asserzione di Gargàno «con una certa elasticità»,[21] nel senso che la seconda sezione «ospita poesie composte entro il 1898 (forse 1899 per due o tre casi), e non che la sequenza con cui sono presentate rispetti rigorosamente le loro date di redazione»[22]. Gargàno qui opera una scelta di discreta efficacia; è una poesia metricamente innovativa: «Nessuno potrebbe imitare il ritmo spezzato, ansimante, inedito della poesia Senz’ombra d’amore, dove i versi si allungano e si stringono con il retrattile moto del mare».[23] Nell’ordinare le poesie, Gargàno sembra aver applicato un criterio diverso da quello cronologico: forse la sequenza è fedele a qualche manoscritto o comunque a una volontà della poetessa di cui Gargàno era a conoscenza. O forse Gargàno adotta un criterio più creativo del cronologico perché sta curando la sua personale Tebaide e mette al servizio dell’opera le sue artistiche forze per proseguire il lavoro dell’artista. La collocazione di Senz’ombra d’amore, per esempio, potrebbe rispondere all’intenzione di legare con un’anafora la seconda sezione alla prima: il sintagma «senz’ombra d’amore» appartiene infatti al v. 17 della poesia Tebaide. L’epanadiplosi incipitaria di Senz’ombra d’amore, anche se non è questo il tema della poesia, potrebbe essere stata scelta come inizio della seconda sezione perché dal punto di vista del curatore può aver significato quasi autorizzazione a continuare la creazione dell’artista: «...Così, come volle il tuo cuore, Amico, sia… Sia infine / così. […]».

 


Psicologia della copia

Gargàno, curatore e promotore delle poesie di Giaconi, suo confidente, depositario e custode delle poesie autografe, è destinatario di circa duecento lettere scritte dalla poetessa negli anni 1896-1908.[22] Molto tempo prima che Gargàno curasse la seconda edizione di Tebaide, Giaconi era stata la sua promessa sposa. In quel tempo la poetessa lo aveva amato di un amore non privo di «abnegazione».25 Fu Gargàno a rompere il fidanzamento. Giuliana Zagra rileva nel carteggio disperazione di Giaconi per «l’indifferenza» di Gargàno.26 Ciò contribuisce a rendere più complessa la psicologia della copia. 

Gargàno partecipa emotivamente alla costruzione della nuova Tebaide. Sceglie di far cominciare il libro con un elogio di Cherilo, ossia con un elogio di se stesso: «l’anima tua si pieghi, (non che aneli / pallide voci, essa, che più profonde / linfe che mai parola alta riveli / beve al silenzio che la circonfonde)». La seconda edizione usurpa il titolo Tebaide e, all’interno del libro, il curatore mostra una prepotente tendenza a modificare l’onomastica. Il nome Cherilo in Tebaide neppure esiste: l’unico nome maschile è Zoroastro

T1912 ripropone copia del ritratto di Giaconi realizzato da Romea Ravazzi ma non il nome della pittrice e, all’interno del libro, lo stesso nome è stato modificato. Brotto ha riconosciuto il probabile «errore  di stampa»[23] che ha intaccato la dedica della poesia Il Tempio a Romea Ravazzi: T1912 trasforma Romea in Romeo. L’errore è stato commesso dallo studioso di Shakespeare e conferma la tendenza di Gargàno a farsi destinatario di testi che non gli sono stati dedicati: Gargàno sostituisce se stesso ad un’amica della poetessa sia consapevolmente, con A Cherilo, sia

involontariamente, nel lapsus Romeo. Si racconta che la rottura del fidanzamento di Giaconi e Gargàno dipese dalla contrarietà della di lui famiglia:[24] come non valutare la possibilità che la relazione sentimentale tra Gargàno e Giaconi concorra al lapsus che ha trasformato il nome Romea in Romeo

Gargàno potrebbe non essersi attenuto a criteri oggettivi. Trapelano sue intime motivazioni: narcisismo, senso di possesso, frustrazione di poeta mancato potrebbero aver condizionato le sue scelte, ma nel disegno stabilito da Gargàno ritengo abbia agito soprattutto lo stato d’animo causato dal suo lutto. 

La prima Tebaide ha un explicit tragico. Gargàno annulla l’explicit tragico: lo nega. La Tebaide di Giaconi termina nell’edizione originale con Il vento e con un dettaglio autobiografico, la «tosse funesta» che spense la vita della poetessa. Gargàno forse non accetta questa fine. Aggiunge dopo Il vento testi editi e inediti, concludendo il libro con le per lui consolatorie domande che la poetessa rivolge a Dianora nella poesia omonima: «[…] Chi mai in silenzio ora / accende la lampada ai vespri muti del Poeta, / sorride alle sue notti bianche, / bacia le sue palpebre stanche, / chi mai, Dianora?». Dianora è una splendida canzone, e tragica anch’essa, ma Tebaide è un canzoniere tragico che si conclude con la morte della poetessa. La seconda struttura di Tebaide potrebbe essere stata plasmata con una funzione consolatoria per il curatore in stato di vedovanza per la morte della donna che dovette amarlo e che, comunque, indubbiamente fu una presenza importante nella sua vita. Nell’Epilogo di T1909 Gargàno esprime il «desolato rimpianto» (p. 61). In T1912 Gargàno pone nelle zone liminari di Tebaide poesie nelle quali egli stesso è presente, mentre alle soglie dell’autentica Tebaide non vi sono riferimenti attribuibili alla sua persona né in apertura d’opera né alla fine. Ma, sacrificando Tebaide alle proprie intime motivazioni, Gargàno ha snaturato Tebaide


Varianti d’autore e varianti di tradizione

Caterina Del Vivo ha fatto conoscere le poesie autografe di Giaconi che fanno parte del Fondo Orvieto custodito al Vieusseux; a proposito di Silenzio, ha sottolineato la difformità tra T1912 e l’autografo: «Va osservato che nel testo edito di Silenzio mancano completamente i vv. 9-12 del manoscritto»[29]  Osservare una possibile soppressione volontaria operata da Gargàno, desta preoccupazione sulle numerose varianti introdotte da T1912. Le divergenze di T1912 dalla Tebaide originale interessano anche la lezione dei singoli testi. Il lavoro di collazione ha riguardato i principali testimoni della tradizione a stampa: le due edizioni in volume, ossia T1909 e T1912, e «Il Marzocco» (per brevità da qui M seguito dall’anno di edizione). L’analisi dell’insieme delle varianti portate dalla tradizione a stampa assicura che è necessario distinguere le diverse fasi della tradizione: le modifiche realizzate da T1909 si differenziano dalle modifiche introdotte da T1912. 


Dal «Marzocco» a Tebaide

A distanza di molti anni dall’edizione su rivista, la lezione delle poesie già edite dal «Marzocco» si presenta nell’edizione in volume T1909 quasi immutata. Tebaide rispetto alla lezione del «Marzocco» attua cambiamenti di lievissima entità, non numerosi, non strutturali, ma sono perfezionamenti, minimi ritocchi, dai quali si riconosce l’attenzione e l’intenzione della poetessa. 

Tra le modifiche apportate alla punteggiatura, rilevo inserimento di virgole nel passaggio da M1901 lunghe ebre tenaci a T1909 lunghe, ebre, tenaci. L’inserimento di virgola nell’edizione in volume attenua il gusto carducciano,[30]  ancora percepibile nella terna. Lo stesso tipo di modifica interessa una terna di sostantivi in La casa sul monte (M1904: vita ansie destino > T1909: vita, ansie, destino). 

Tra le modifiche sostanziali risalta una sostituzione in L’ora divina: la lezione del «Marzocco», dove la stessa poesia apparve col titolo Oltre la vita, è stata sostituita con un antinomo (M1901: tuo schiuso cuore > T1909: tuo chiuso cuore).   Un numero consistente di modifiche manifesta l’intenzione di Giaconi di ammodernare la lingua. Si osserva per esempio sostituzione di plurali in –ii; nella poesia L’offerta T1909 presenta tedi e ampi là dove M1902 aveva ampii e tedii. Una modifica particolarmente significativa è l’univerbazione delle forme analitiche della preposizione articolata (M1898: de l’Orsa > T1909: dell’Orsa; M1902: su l’immobile > T1909: sull’immobile; M1904: da l’aurora > T1909: dall’aurora). Nella poesia Armonia, T1909 sostituisce la forma antiquata dell’articolo maschile plurale li con gli: M1899: li occhi > T1909: gli occhi; e si osserva un coerente movimento variantistico che rinnova la veste linguistica: De gli uomini > Degli uomini; silenzii > silenzi

Sostituzione di plurali in –ii, sostituzione di forme antiquate dell’articolo, frequente univerbazione di forme analitiche: molte fra le modifiche apportate da T1909 ai testi già editi dal «Marzocco» vanno in direzione di un complessivo, seppur lieve, ammodernamento linguistico. Questo movimento apparentemente è contraddetto da L’Immagine, ma è una contraddizione che potrebbe restituire conferme, perché l’edizione del «Marzocco» è quasi simultanea a Tebaide:  

T1909 (stampa 15 dicembre 1908): 

v. 6: quella de’ vasti silenzi, quella de gli opachi giorni

v. 9: E aveva, sì, le mie mute, vane parole ne gli occhi M1908 (20 dicembre 1908): 

v. 6: quella dei vasti silenzi, quella degli opachi giorni

v. 9: E aveva, sì, le mie mute, vane parole negli occhi

T1909 realizza nella poesia L’offerta modifiche di speciale interesse:                                                                                     

M1902: tutta l’ombra dei tedii, arida e nulla                                                         

T1909: tanta di tedi vani ombra funesta  

Il sintagma «arida e nulla» compare nella seconda poesia di Tebaide, L’ora divina; la modifica nella poesia L’offerta potrebbe essere stata apportata per evitare la ripetizione nel libro di «arida e nulla». La sostituzione di nulla a fine verso si accompagna ad altre modifiche alla seconda e alla terza terzina di L’offerta; la contemporaneità delle modifiche è imposta e garantita dalla terza rima; sono contestuali la sostituzione di nulla e le sostituzioni della rima centrale della seconda terzina, culla > desta, e della rima del primo verso della terzina successiva sulla > questa. Anche la sostituzione della rima nulla: culla evita una ripetizione all’interno del libro, che riserva questa rima pascoliana a un’altra poesia, L’alba

Il movimento variantistico è coerente all’interno dei singoli testi e appare coerente anche nell’insieme dei testi interessati da modifiche; tra alcune varianti c’è indubbiamente sincronia compositiva; alcuni cambiamenti rispondono alle esigenze di un preciso progetto: appaiono funzionali alla costruzione del libro Tebaide


Varianti della redazione Gargàno

Generalmente T1912 condivide le modifiche introdotte da T1909 alla lezione del «Marzocco», comportandosi come se T1909 fosse la sua fonte. Ma se questa è la tendenza generale, nel valutare il comportamento di T1912 parola per parola, virgola per virgola, si nota che il comportamento di T1912 è discontinuo. In molti casi T1912 non si allinea a T1909 ma recupera la lezione del «Marzocco». 

Nella poesia Il laghetto, per esempio, T1912 non recepisce tutti i cambiamenti apportati da T1909, e in alcuni luoghi ripropone la lezione apparsa su rivista: 

M1898 e T1912: del parco T1909: nel parco

M1898 e T1912: li occhi T1909: gli occhi

La forma antiquata dell’articolo determinativo maschile plurale li compare altrove in questa stessa poesia (scendon li agili suoi veli) e anche altrove, sia nei testi della prima TebaideLi autunni (Tebaide) – sia nei testi inclusi da Gargàno nella seconda Tebaide: li orti (Epistola), cercare con li occhi il mistero delli occhi (Voto), Fiammavano li antichi alberi (L’uccisa). La modifica apportata da T1909 alla forma dell’articolo in Il laghetto è coerente con la tendenza generale del processo variantistico che ha interessato questa poesia, nella quale rispetto a M1898 si osserva per esempio sostituzione di nelli occhi con negli occhi, di su la con sulla e di sovra con sopra nel verso che presenta anche l’ammodernamento dell’articolo; probabilmente T1912 ripristina la forma antiquata dell’articolo per errore. T1912 mostra una forte tendenza a variare la punteggiatura: rispetto ai precedenti testimoni riscontro in T1912 soppressione, sostituzione e inserimento di segni di punteggiatura. Alle mai motivate modifiche apportate alla punteggiatura si sommano errori manifesti, involontari, alcuni dei quali, pur senza un elenco di interventi, sono stati riparati dall’edizione 2008. Nella poesia Il domani T1912 presenta più di un errore manifesto: biusire e nula in luogo di brusire e nulla di T1909; quando T1912 modifica l’interpunzione, per esempio alla fine del penultimo verso della stessa poesia, si è portati a dare a quella virgola poco credito: in Il domani T1912 si mostra testimone disattento.  

Per quanto concerne la lezione dei componimenti non compresi in T1909, una variante di T1912, soppressione dell’apostrofo, corregge un errore dell’edizione su rivista: M1897 un’olire > T1912 un olire.[31]  Nella poesia Alla notte T1912 non presenta la dieresi grafica nelle occorrenze di visioni; la parola ha scansione dieretica e nell’edizione del «Marzocco», Alla Notte, che reca in calce la data Luglio 1896, la dieresi era stata marcata graficamente. Si può obiettare che è eccessivo registrare che nella tradizione si perde la dieresi grafica in una visione, ma più fondatamente si potrà eccepire che della prosodia di tanti poeti si vorrebbe descrizioneb particolareggiata: sui fatti prosodici c’è infatti visione e visïone (e nell’edizione 2008 c’è addirittura vïsione). La redazione Gargàno diverge insomma dai precedenti testimoni della tradizione a stampa per molteplici ragioni. E alcune varianti di T1912 sono indubbiamente errori. 

Restauri metrici

T1912 reca nel v. 9 di Pensieri autunnali un novenario ma «Il Marzocco», che ospita nel 1897 la prima edizione della poesia, per il v. 9 testimonia un endecasillabo.

T1912: Vieni con me fra il sempreverde 

M1897: Vieni, vieni con me fra il sempreverde 

T1912 guasta l’isometria del componimento con un verso ipometro (novenario in contesto di endecasillabi). Non è nelle abitudini di Giaconi intaccare l’isometria dei suoi componimenti. La ripetizione è uno degli artifici della sua poesia, nella quale ricorre l’epanalessi.[32]  In T1912 l’endecasillabo si trasforma in novenario per eliminazione della parola ripetuta, cioè per aplografia. Lo stesso tipo di errore rende ipometro un verso in Il pianto di Agar:

T1912: (oh me! E l’unghie vi lasciai profonde!) M1909: (ah me, ah me! e l’unghie vi lasciai profonde!)

L’isometria e «Il Marzocco» permettono il restauro della lezione d’autore e difendono il poeta dal pericolo che si scambi per sua imperizia l’errore di noi lettori: i rari versi zoppicanti,[33]  zoppicano a causa di errori che, si sa, sono pressoché inevitabili più per i lettori che per i poeti; infatti tali errori non sono imputabili a Giaconi. A Frabotta era parso di sentire un passo claudicante in Dianora; la studiosa ritiene che Campana abbia corretto un verso zoppicante di Giaconi con un completamento ritmico:34 non concordo. 

Conclusioni 

Zanichelli e Gargàno hanno correttamente notificato di aver alterato per un loro desiderio la prima Tebaide con aggiunte, eppure il testo stabilito da Gargàno si è affermato durevolmente come Tebaide di Giaconi, sostituendo l’originale. Si può dire, traendo le prime, pur provvisorie, conclusioni, che l’edizione accresciuta di Tebaide. Poesie, in quanto aggiunge al libro ventisei testi, documenti la poesia di Giaconi in modo più esteso rispetto alla prima edizione, ma non si può dire che documenti altrettanto bene la volontà d’autore. T1912 è un testimone rilevante e la sua scarsa attendibilità non deriva dagli inevitabili errori meccanici, ma dalle modifiche che contraddicono intenzionalmente l’ultima volontà di Giaconi sul suo canzoniere. Il maggiore danno arrecato a Tebaide è strutturale e questo guasto è volontario. Gargàno tende a variare senza spiegare il cambiamento, e la libertà dimostrata nell’alterare la struttura di Tebaide potrebbe essersi esplicata con interventi volontari anche nelle modifiche ai singoli testi. Il curatore di T1912 imprime all’opera cambiamenti sostanziali; questo stesso curatore non dà mostra di operare in T1909.

Le dichiarazioni di Gargàno successive alla morte di Giaconi attestano la fermezza di T1909. I segnali testuali ed extratestuali portano ad attribuire la costruzione del libro Tebaide interamente alla poetessa. Il confronto tra i soli testimoni della tradizione a stampa permette di riconoscere nella seconda edizione una raccolta postuma delle poesie di Giaconi e nell’editio princeps l’unica edizione di Tebaide approvata e il più importante testimone della tradizione a stampa. T1912 include ventisei testi in più rispetto alla prima edizione e queste aggiunte hanno alterato la struttura del libro, la sua coesione testuale, tematica e formale, la sua veste linguistica, il suo sviluppo narrativo, la sua onomastica, la sua connotazione stilistica: in breve è stata stravolta con aggiunte l’intera Tebaide.

Ogni singolo suono di Tebaide è stato indebolito dalla trasformazione della struttura nella quale era inserito. Rispettare entrambi i disegni di Giaconi e di Gargàno è arduo, in quanto il disegno della poetessa è stato corrotto dal disegno del curatore. Giustamente scrive Brotto: «il libro di versi direttamente ordinato dall’autrice» si conclude con Il vento.[35]  Ma, dovendo commentare Tebaide secondo la redazione Gargàno, Brotto afferma che Tebaide si conclude con una domanda, e che quindi «il libro della Giaconi non fissa una conclusione, bensì si interroga su di essa».[36]  Tebaide di Giaconi non si conclude con Dianora né con una domanda. Tebaide è una tragödie: un canzoniere tragico. Nella Tebaide autentica né Dianora né la biblica Agar sottraggono la scena all’io lirico. Le numerose divergenze dell’elogiata regia di Gargàno comportano un decremento del valore artistico della Tebaide originale. 


 Note

1 Cfr. Aldo Sorani, La poesia di Luisa Giaconi, «Il Marzocco», A. XVII, n.1, 7 gennaio 1912, p. 4.

2 Giuseppe Saverio Gargàno, Le poesie di Luisa Giaconi, «Il Marzocco», A. XIII, n. 47, 22 novembre 1908, pp. 1, 2, corsivo mio.

3  Manuela Brotto, Luisa Giaconi: la donna fiore, in Luisa Giaconi, A fiore dell’ombra. Le poesie, le lettere, gli inediti. Con un saggio di Manuela Brotto “Luisa Giaconi: la donna fiore”, Pistoia, Editrice petite plaisance, 2008, p. 7. Il volume si apre con il saggio Luisa Giaconi: la  donna fiore di Brotto; segue il testo Tebaide (sic), che riproduce abbastanza fedelmente la seconda edizione; da qui indico con il nome dell’autrice, Brotto, sia il saggio di cui dà notizia il frontespizio, sia gli altri contributi pubblicati in questo volume. Con il rinvenimento di autografi, con la ricostruzione della biografia e della bibliografia di Giaconi, con il commento delle poesie, Brotto, allieva di Antonia Arslan, ha portato un contribuito determinante agli studi giaconiani, ascrivibile all’area gender studies. Il merito di aver voluto l’edizione 2008 di Tebaide è attribuibile anche a Ilaria Rabatti, come evidenziano i ringraziamenti di Brotto. Ricordo che il lungo silenzio editoriale era stato interrotto dalla stessa Ilaria Rabatti all’inizio del secolo: Luisa Giaconi, Dalla mia notte lontana, a cura di Ilaria Rabatti, Pistoia, editrice C.R.T., 2001. 

4 Per le edizioni delle poesie di Giaconi sul «Marzocco» cfr. gli Indici a cura di Clementina Rotondi, Il Marzocco (Firenze 1896-1932). Indici, Premessa di Carlo Pellegrini, Firenze, Olschki, 1980 e ora Brotto, op. cit., in particolare p. 183. 

5 Caterina del Vivo, Luisa Giaconi, otto poesie, una prosa, «Antologia Vieusseux», fasc. LXX, aprile-giugno 1983, p. 64.

6 Lettera di Luisa Giaconi ad Angiolo Orvieto, Fondo Orvieto dell’Archivio Contemporaneo Bonsanti del Gabinetto Scientifico Vieusseux; la sottolineatura è nel testo; riproduzione dell’autografo in Tina Maria Spina, Luisa Giaconi. Percorsi di lettura di una poetessa dimenticata, tesi di laurea in Lettere, relatore Maria Giovanna Sanjust, Università degli Studi di Cagliari, A. A. 2006-2007.     

7 Lettera di Luisa Giaconi a Cherilo/Gargàno del 29 agosto 1899, rinvenuta con altri autografi di Giaconi in un archivio privato e pubblicata da Brotto, op. cit., p. 159.     

8 Gargàno, Prefazione, T1912, pp. IX, X.                                                                                               

9 [Nota redazionale in margine a] Luisa Giaconi, Il pianto di Agar, «Il Marzocco», A. XIV, n. 8, 21 febbraio 1909, p. 3.  

10 Gargàno, Epilogo, T1909, p. 54. Nel corso degli anni è emerso che non «al Marzocco soltanto toccò la sorte di dare […] qualche saggio dello schivo ingegno di lei». Prima che Giaconi esordisse sul «Marzocco» con Le morte mani (n. 12 dell’aprile 1896), erano già state pubblicate almeno tre poesie di Giaconi nelle riviste «L’Idea Liberale» (L’Orto, IV, 14, 7 aprile 1895; L’Anima e il Sogno, IV, 22, 2 giugno 1895) e «Cordelia» (Fides, I marzo 1896). Philomela e Nel bosco sono state antologizzate in I nostri poeti viventi, a cura di Eugenia Levi, Firenze, Le Monnier, 1896, poi Firenze, F. Lumachi, success. F.lli Bocca, 1903. Sugli esordi di Giaconi si legga Brotto, op. cit., pp. 137 e ss. Si veda  inoltre la lettera di Angiolo Orvieto a Neera del 2 aprile 1895 edita in Il sogno aristocratico. Angiolo Orvieto e Neera.

Corrispondenza 1889-1917, a cura di Patrizia Zambon e Antonia Arslan, Milano, Guerini, 1990. Una poesia di Giaconi, Pensieri autunnali, è stata tradotta da Marie Kalaŝova (traduttrice di Neera) e pubblicata in «Květy» nel 1901.  

11 Giuliana Zagra, «Una inedita, semplice e umana storia d’amore e di morte»: il carteggio Giaconi – Gargano, in Manoscritti antichi e moderni. Quaderni della Biblioteca nazionale centrale di Roma, Roma, Biblioteca nazionale centrale di Roma, 2005, p. 223.

12 Brotto, op. cit., p. 7. 

13 Ibidem

14 Biancamaria Frabotta, Il simbolismo nel mondo simbolico femminile tra due secoli, in Les femmes écrivains en Italie (1870-1920): ordres et libertés. Actes du colloque des 25 et 26 mai 1994, Paris, Université de la Sorbonne Nouvelle, «Chroniques italiennes», nn. 39,40, 1994, p. 120, corsivo mio.

15 Ibidem.

16 Brotto, op. cit., p 11. 

17 Ibidem.

18 Angiolo Orvieto, Un poeta del silenzio. Luisa Giaconi, «Il Marzocco», A. XIII, n. 30, 26 luglio 1908, p. 1.

19 La poesia si legge nell’edizione a cura di Del Vivo, op. cit., p. 61.

20 Anna Dolfi, Leopardi e il Novecento. Sul leopardismo dei poeti, Firenze, Le Lettere, 2009. 

21 Brotto, op. cit., p. 45.

22 Ibidem.

23 Maria Luisa Spaziani, Donne in poesia: interviste immaginarie,Venezia, Marsilio, 1995, p. 116.

24 Cfr. Brotto, op. cit., pp. 153-163, Zagra, op. cit., pp. 219-225 e MANUS, descrizione del Fondo Gargàno custodito a Roma dalla Biblioteca Nazionale Centrale, in particolare la notizia sull’ultima lettera di Giaconi. 

25 «La devozione verso l’uomo giunge sino a un’abnegazione totale»: Brotto, op. cit., p. 177. 

26 Zagra, op. cit., p. 224. 

27 Brotto, op. cit., p. 154.

28 Per i dettagli si leggano i saggi di Zagra, op. cit., e Brotto, op. cit.   

29 Del Vivo, op. cit., p. 63.

30 Come ha evidenziato Bruno Migliorini, l’assenza della virgola nelle serie enumerative è «vezzo carducciano che ebbe assai largo seguito»: Storia della lingua italiana (1960), Milano, Bompiani, 1994, p. 629.

31 L’assenza dell’apostrofo nell’articolo indeterminativo femminile singolare che accomuna le edizioni delle poesie di Giaconi 2001 e 2008 (in Primavere «ombra d’un ala», ed. 2001 p. 20, ed. 2008 p. 85, e in Il rifugio «fratel d’un ora», ed. 2001 p. 34, ed. 2008 p. 96) è svista da copista: sono errori estranei al resto della tradizione. 

32 Esempi: «a fiotti a fiotti» (L’ora divina), «Oh ma di dove, di dove!» (L’immagine), «Ora eran l’ultime parole, l’ultime parole» (L’ultima pagina), «e l’ombra, e l’ombra» (Dalla mia notte lontana), «che non sai, non sai!...» (Sospiri), «mistero di fole, di fole…» (Candori).

33 Altri esempi nell’edizione 2008, per esempio in Le morte mani, quartine di endecasillabi: ed. 2008 p. 108: avevano la mollezza delle nevi, l’ipermetria è causata da inserimento di labiodentale originariamente assente, cfr. l’edizione del «Marzocco», 1896: aveano. Orto antico, quartine di endecasillabi, ed. 2008, p. 146: Risveglia omai questi eterni echi che culla; ipermetro, ma l’edizione del «Marzocco», 1897, reca ermi non eterni

34 Frabotta, op. cit., p. 124.  

35 Brotto, op. cit., p. 45.

36 Ivi, p. 71.