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Ottone Rosai

 

Ottone Rosai: Campana amico d'uomini e di tempi

 

Pubblicato su LETTERATURA, I, 1953


In quel lustro di tempo che intercorse tra il 1913 e la grande guerra apparve in Firenze la biblica figura di Campana.
D'oro la sua testa, nel collo taurino e le spalle quadrate, coi capelli in disordine e al vento dentro della sua ramagna e una incolta forte e gentile come il suo carattere. Gli occhi celesti brillavano sul rosa delle morbide labbra sensuali lì dentro a quel cespuglio di peli: letto del sole.
Così lo vidi la mattina che con Soffici entrammo nel piccolo stambugio di quella ch'era allora la tipografia Vallecchi in Via Nazionale.

Timido e pudico e pur così rintronante nella voce stridula si alzò dal divano dov'era seduto come rincucciolato presentandosi tra mille rossori ed offrendo la mano carnosa e tozza in segno di stima e d'amicizia.
Io lo avrei baciato. Soffici dopo quei convenevoli e alcune domande tra il distaccato e il curioso prese di lui in consegna alcuni fogli di carta da minestra dove il poeta aveva tracciato le sue impressioni d'ogni parte del mondo.

Erano i Canti Orfici, il libro ch'egli stesso riuscì farsi stampare nella Marradi, e del quale egli che n'era l'autore ne divenne per l'occasione il distributore e il libraio.
Arrivava infatti ogni giorno al caffè con una pila di quei volumi ed andava in giro per i tavoli offrendoli a conoscenti e a sconosciuti. A Marinetti del quale era diventato amico nel darglielo ne strappò quasi mezzo adducendo per la parte tolta ch'egli non sarebbe stato capace di capire. Con molti altri si comportò ugualmente e a tutti cancellava una strana dedica stampata sul frontespizio.

Irrequieto e insoddisfatto spesso rompendo il consueto silenzio nel quale s'immergeva per intere giornate annunciando a gran voce la propria disistima nei riguardi di questo o di quel letterato combinava tali scompigli da mettere in imbarazzo gli stessi amici. Una sera una lunga discussione iniziatasi al Caffè Paszkowski e proseguita in strada fino al Lungarno Acciaioli finì con un fuggi fuggi generale di tutti i componenti la comitiva minacciati e inseguiti da Campana che gli urlava dietro improperi e minacce correndo e roteando in aria un grosso randello.

Io solo escluso dai suoi odii potevo trattenerlo e mantenermi al suo fianco. Quella sera però i suoi nervi non ressero e, dopo tutto quel trambusto, si ritirò nella sua camera che aveva in affitto in una casa di Borgo San Jacopo.
Tante volte invece abbiamo vagato per intere nottate io e lui per la città raccontandomi egli il suo dolore ed io le mie delusioni di ragazzo.

Era dolce Campana e comprensivo e sapeva adeguarsi fino a sembrarmi di dire le mie cose ad uno della mia stessa età. Altre volte si andava senza mèta e col silenzio nel cuore e nella bocca e con solo la luna a sorrider di noi. Silenzi tutti fatti di parole, di parole non dette, ma come ascoltate reciprocamente.

Poi io partii soldato e alla notizia che mi raggiunse al fronte, mandatami dall'amico Agnolettì, riguardante l'internamento di Campana in una Casa di salute credetti come d'essere stato colpito da una cannonata.

Mi parve in quell'istante come se tutto non esistesse più e che l'intelligenza e la bontà degli uomini fosse stata inventata a bella posta per i gonzi e gli ingenui di tempi e avvenimenti mai esistiti.