Emilio Cecchi

 

 

Quel Dino Campana 'selvatico e diabolico'

 

di Emilio Cecchi e Leonetta Cecchi Pieraccini 

 

Da Repubblica, 26 maggio 1990

 

 

A BOLOGNA C' E' UN PITTORE: SI CHIAMA MORANDI

 

Firenze, venerdì 4 gennaio 1918

 

Carissimo mio, prima di tutto ti dirò che ho già avuto il vaglia della Tribuna: che sollecitudine meravigliosa no? (...). Ma senti che mi capita stamani. Mi capita Campana. Fin qui nulla di eccezionale. L'eccezionale, l'inaudito è stata la conversazione; neanche la conversazione: il monologo. A momenti mi pigliava quel profondo sottile tremore che si prova dinanzi ai pericoli perché vedevo il viso del mio interlocutore vieppiù alterarsi e gli occhi lustrare come se fossero di vetro. Egli era in uno stato di eccitamento verboso e immaginativo che rasentava la pazzia.

 

Le teorie dei suoi avvenimenti, delle sue torture avevano spesso degli accenti di magia, di satanica poesia, ma tutto correva così rapido e contorto e difficile che io non ne ho che una memoria lucida sì, ma inafferrabile, inesprimibile. E credi pure che avrebbe meritato invece di esser seguìta e riportata quella razza di fantasticheria. Insomma il punto di partenza è questo: egli è un gran colpevole, è il responsabile della guerra.

La guerra e il disfacimento della poesia italiana: il disfacimento della poesia italiana è opera di Papini. Quattro anni fa quando egli conobbe Papini, questi attrasse magneticamente lo spirito della poesia italiana non putrida, da lui, Campana. Ma questo maleficio avvenne attraverso la persona di Papini e anche attraverso Soffici che è uno spirito conduttore: non è Mefistofele Soffici, è Berlicche. E Papini iniziò una nuova forma di poesia con l' energia succhiata a Campana, ma fu dissolvimento. Fu sperpero, imputridume; fu la guerra.

Ma qui non so bene come si attacchi la faccenda di Sibilla e se ho potuto seguire all' incirca il pensiero di Campana, mi riesce quasi impossibile esprimerlo a parole. Insomma Sibilla, amante di Papini, succhia anche lei attraverso il suo amante e la moglie di lui, il sangue di Campana e così il cerchio fu chiuso: due vittime (Campana e la signora Papini) e due carnefici. Ma non so più andare avanti proprio.

Perché ora viene una tesi del delitto. Sibilla sta commettendo un delitto a carico di Campana. (...) Ci vorrebbe davvero la penna di Dostoevskij per seguire soltanto approssimativamente l' impeto di quella fantasia eccitata e malata. Io dubito proprio che Campana sia per cadere o ricadere in uno stato di alienazione mentale. Poveretto! Io ho preso come puoi figurarti una posizione di silenzio e di attenzione rispettosa e quando egli mi diceva: Ma lei non mi crede: non crede alla verità di quello che le dico: dicevo Ma sì, ma sì!.

E poi siccome dovevo andare a prendere la Ditta a scuola, alle 11 e mezzo, l' ho lasciato fuori. C' era un tramontano strapazzone che m' ha a un tratto portato via di netto il cappello di testa ed egli ha fatto una bella corsa, per richiapparlo. E questa corsa gli ha ridato senno. E così s' è chiusa più borghesemente la nostra intervista. C' è stato anche un intermezzo che riguardava te, i pesci rossi, l' influenza malefica del ritratto di Sibilla, i tuoi scritti: ma non mi son raccapezzata per quanto abbia teso gli orecchi dell' udito e della mente. Addio: quando vieni? Quando... non tornerai costassù?... Baci dalle Mimme. Saluti dai parenti.

Un grosso bacio dalla tua Tetta


Caltrano, 8 gennaio 1918

Carissima, (...) grazie del resoconto della conversazione, o meglio dei soliloqui di Campana. Ho qualche esperienza, per potermene immaginare qualcosa; e non ti dirò che uno possa sentirsi del tutto rassicurato e soddisfatto, specie sapendoti sola sola, e in cotesto stato: confido che tu saprai trattarlo con tutto il rispetto e tutta la precauzione dovuti. Tu capisci che non ti dico questo da un punto di vista borghese, ma da un punto di vista oggettivo: in C. c' è qualcosa di veramente selvatico e diabolico che può fare del male, al di fuori di qualsiasi volontà e intenzione; può allacciare lunghe reti di male o di equivoco. Tu hai ragione di ammirare costì Colette: te lo dissi, il ciarpame mondano casca con nulla, ma il libro è forte; e come scritto! Cosa diventano il novantacinque per cento dei nostri scrittori odierni.

Queste piccole malattie, o meglio incomodi, mi hanno riportato all' opportunità di ore, disteso a meditare, e tutto il vero risaliva a galla, e tutte queste storie faticose e vacue diventavano così lontane che, dopo, che pena a riingranarvi, a ricominciare la corvée. E tu puoi immaginare la parte che tu, la nostra vita, la casa, le bambine, e tutto avevate in quelle elucubrazioni, molto dolci, e da farmi, in fondo, benedire la malattia.

Addio per stasera: spero domani di ricevere qualcosa di tuo.

Un abbraccio forte, a te e alle bambine

 

Emilio

 


 

Firenze, 8 gennaio 1918

 

Carissimo, (...) le bambine bene: la Ditta va a scuola un po' volentieri un po' a malincuore. Tutte le mattine dice: Ecco: io sempre laggiù e Suso a casa. Penso di farle fare una vacanza in più di quelle che ha dentro la settimana: ha vacanza la domenica e il mercoledì: tenerla a casa anche il venerdì così il tirocinio è più frammentato. Ma come è timida con gli altri quella bambina: a scuola non ha coraggio di chiedere un bicchier d' acqua quando ha sete e le ho dovuto dare una boccettina d' acqua. Ieri ebbe in regalo dalla maestra una borsettina piena di chicche ed era raggiante.

Suso ci pianse, disperata dall' invidia. E la Ditta le diceva, sedato che fu il pianto: Povera Suso ci fai all' amore eh, con questa borsetta!. (...) Saluta Cascella quando lo vedi e tanti baci a te dalle bambine e da Leonetta Firenze, martedì 15 gennaio 1918 Carissimo, ti mando la cartolina di Croce che ho capito approssimativamente. La calligrafia del Croce m'è la più indecifrabile delle scritture che mi sian mai capitate sott' occhio. (...) Pensa a tanti laureandi che non hanno neanche un' idea precisa della loro professione borghese e oggi son tenenti, capitani maggiori, e a tanti commessi di industria, impiegati a ferrovie, a banche ecc., oggi tutti ufficiali e aiutati da un prestigio civile e materiale che nella consuetudine della loro vita abituale non si sognan neanche!

E tutte queste donne che guadagnano una buona giornata e fanno una vita di artigiane distaccate completamente dagli interessi meschini e ristretti della vita domestica come si piegheranno quando vedranno tornar gli uomini a riprendere i loro impieghi e si troveranno rimesse a rammendar le calze? Vedrai che il dopo guerra sarà un' epoca difficile e antipatica assai. Intanto sento dire che la vita di vizio... sessuale come potrei dire? aumenta di continuo.

Le spose che hanno i mariti via si mettono anch' esse per la china dello svago libertino, le ragazzette appena puberi risolvono la questione del caro-viveri, caro-vestiario ecc. nella stessa maniera spregiudicata. Stamani è capitata qui Sibilla: è di passaggio per Firenze: proseguirà per Roma un po' preoccupata che là ci sia Cardarelli e Papini (Cena è morto per fortuna) ma si recherà al più presto a Capri. Domattina sarà a colazione qui. Naturalmente sta nascosta per la paura di Camp.(ana) il quale prende, a detta di Agnoletti, delle solenni sbornie.

Può darsi fosse ubriaco anche quando venne qui? Agnoletti ha raccontato a Sibilla che quando Soffici fu qui a Firenze riunì una sera a cena Magnelli, Agnoletti e Campana. A un certo punto, con poca gentilhommerie, veramente, disse Soffici a Campana: Suvvia raccontaci le tue avventure con Sibilla. Campana sciorinò le atrocità più immani, concludendo che però lui almeno delle busse gliene aveva servite. E voltandosi ad Agnoletti gli disse: Li ha visti lei Agnoletti i lividi che le ho fatto?. Agnoletti scattò e cercò di attaccar briga con Camp. offendendolo violentemente.

Ma Camp. scoppiò nel suo ridere sinistro, e si attaccò a un fiasco e cominciò a trangugiare fino a ridursi in uno stato abietto. Che vite rovinate, sciupate malamente, non ti pare? Ma che motivi... letterari certe scene della vita di Campana. Par di leggere un romanzo più che di seguire le tracce coerenti di una vita. Dunque un giorno o due dopo queste trivialità di bettole, Campana manda una lettera alla Castiglioni: Egregia contessa: dica alla mia amica Sibilla, la prego, che io le rinnovo il dono completo della mia vita. Sibilla intanto ha una paura birbona, povera disgraziata! Scusami queste ciance: ma mi piace a volte raccontarti queste cose che mi capitano nella vita giornaliera tanto per il gusto di sentirmi a parlare con te. Quant' è, davvero, che non ci vediamo, non ci parliamo!

Quattro mesi fra poco! Non eravamo mai stati tanto così: anche quando partisti per Alessandria quanto tempo restammo senza incontrarci? Un paio di mesi mi pare, o così. Che t' ho a dire della licenza? Fai quel che credi e quel che ti è possibile. I libri te l' ho mandati ormai insieme alla pancera. Le bambine ti aspettano a gloria, poverucce! E ti mandano tante carezze e tanti baci.

Saluti da tutti di casa tua e un abbraccio grosso dalla tua

 

Leonetta

 


 

Caltrano, 6 giugno 1918

 

Cara Tetta,

l' altra notte partii insieme a un treno di ceco-slovacchi che furono salutati da grandi acclamazioni. Alle 10 della mattina dopo ero a Bologna, pareva che la sosta fosse di due o tre ore e ne profittai per mandarti una breve letterina. Più tardi, invece, resultò che la tradotta per Padova e Vicenza non partiva che tardi nella notte; allora lasciai la roba in istazione ed entrai in città. Vidi Bacchelli, assai a lungo: si andò con lui da quel pittore Morandi del quale ti rammenterai la pittura di quel paese nevoso, alla Secessione nella sala di Pizzirani. E' un tipo malato, logoro, disfatto, che sta in una casa misera, con un sentore di disgrazie e di malattie ereditarie: in una stanza opaca che è studio, camera da letto, tutto.

Ha dei disegni curiosi; delle nature morte di fiori, fatte a tempera, con i colori slavati e gessosi di uno stampino a grigi seta, rosa, verde marcio, etc. cose, queste assai definitive. Nei paesi e in certe teste è più lirico, ma anche più rotto e rappiccicato con elementi di prestito: Greco, Derain. Nell' insieme, molto di morboso, e una nota riposata e classica, in quelle nature morte, che ti dicevo. Che gente laboriosa, nobile, nella sua disdetta. Come di Carrà, che, mi hanno detto, ha 38 anni, tanti capelli bianchi e una gran miseria. Una ricca modista di Milano, m' hanno detto, protegge un poco Carrà, gli ha comperato qualcosa, gli ha mandato della legna per la stufa in inverno.

In casa di Bacchelli, una casa bellissima, goethiana, vidi varie cose del fratello: ma mi pajono tutte immature e di poco conto, sarà che mi sbagli. Vidi un buffo zio di Bacchelli personaggio mezzo rimbecillito; e la moglie di Mario, quella di cui parlarono diverse volte i Marangoni. (...) Bacchelli mi lesse una cosa che ha fatto, sul genere di quel che una volta ti accennai: un rifacimento libero, con idee nostre, di una cosa di Shakespeare. Ha rifatto Amleto, con quei personaggi, nomi, etc. niente uso Laforgue, insomma: ma proprio una regolare tragedia in cinque atti in prosa.

Ci sono cose molto belle: fra Amleto e Ofelia, nuove; fra Amleto e Polonio, Amleto e Orazio: in altri punti, il tono e le situazioni shakespeariane sono appena velati, e senza nessuna pretesa di giuocare a occultarli, ma l' effetto comunque è un poco ibrido: e ho bisogno di ripensarci sopra: può essere che te ne riscriverò a impressioni più ferme. (...) Addio per oggi: voglio impostare domattina alla prim' ora. Un bacio ai bambini, e cerca di sistemarti la donna del pomeriggio. Non badare a spesa. Levati più in ritardo possibile, ricordati. Avvertimi di tutto.

Un bacione dal tuo sempre

 

Emilio

 


 

Firenze, lunedì 10 giugno 1918

Carissimo mio, Moschino s' è assopito. Badiamo se ti scrivo due righe più riposatamente. Ho ripesato il bambino e anche le poppate. Si va benino. Il bambino ha aumentato in quattro giorni 145 gr. Togliamo pure qualche cosa perché l' intestino non era stamani sgombro come il giorno 6: togliamo magari 45 gr. Ne restan sempre 100 di indubitata crescita e ne son soddisfatta per ora.

Oggi è anche più tranquillo. Suso anche sta meglio. E' quasi senza febbre. E tu come stai? Avrei gradito tue notizie oggi, invece non c' era tua posta. Speriamo che questo non significhi peggioramento. M' ha molto interessato il resoconto della tua sosta a Bologna e la visita a Bacchelli. Strano che Bacchelli abbia fatto quel rifacimento che tu pure avevi pensato una volta. Ti rammenti?

Me ne dicevi una mattina a Roma, lì nello studio grande, ritto davanti alla finestra col terrazzino. Mi ricordo benissimo della circostanza generale dell' ambiente, dell' atmosfera. E quando sento altri che hanno potuto lavorare non ti nascondo che mi piglia un' aspra invidia. Sento sulla nostra famigliola gravare una responsabilità cupa. Ormai le mie ambizioni personali sono riposte e domate, ma vorrei che almeno tu uscissi presto dalle pastoie militari e civili per sfogarti tutto nel tuo lavoro che minaccia di perdere gli anni più belli e più propizi di forza saggia e di freschezza.

Che tristezza mi piglia a volte e che sconforto vile dinanzi al futuro. Stanotte che ho dovuto vegliare qualche ora col bambino in braccio per evitare che questi urlasse e svegliasse la Ditta, mi pareva di essere un' ebete che si dondolava idiotamente avanti e indietro in un ritmo che affiochiva sempre più il pensiero, l' intelligenza, financo l' istinto, perché non c' era neanche affetto nelle mie cure materne. Mi pareva di annegare e avrei quasi voluto annegare davvero, materialmente. Abbi pazienza se mi sfogo bestialmente così e voglimi bene.

Ti abbraccio forte

 

tua Leonetta