Dino Campana a Domodossola per la via del Sempione
di Silvano Salvadori
Il 1° marzo del 2013 uscì un articolo sul quotidiano La Stampa, nella cronaca locale della Vald’Ossola, a firma di Francesca Zani dal titolo “Le tracce dell’Ossola nella poesia di Campana – Nei testi dello scrittore toscani “indizi” del suo passaggio fra le valli”. La giornalista cercava di far luce sul passaggio verso la Svizzera del poeta allorché scrisse Domodossola 1915, conosciuta anche come Canto proletario italo-francese. Su uno degli autografi del testo in calce ad una copia del C.O. era scritto “Osteria del gatto rosso”.
Trovato l’articolo, speravo di incontrarvi lumi sulla quartina del fumoso inizio: Come delle torri d’acciaio/ nel cuore bruno della sera/ il mio spirito ricrea/ per un bacio taciturno.
Ricorda la giornalista che lo stesso Sebastiano Vassalli negli anni 70 visitò la Val Divedro, dopodiché riporta il testo di un mio articolo preso dal sito campanadino.it scritto in occasione della conferenza fatta nel teatro di Marradi per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Caduta la speranza di ritrovarvi nuovi indizi critici, pur tuttavia questo passaggio da Domodossola deve nascondere qualcosa di più che indusse Dino a scrivere l’Inno.
L’epopea del Sempione, inaugurato nel 1906, è celebrata in manifesti e cartoline; epopea di inni alla ciclopica impresa, alla tecnologia delle nuove macchine perforatrici, all’invenzione e all’utilizzo delle nuove lampade all’acetilene che producevano una potente luce bianca, assai diversa da quella caravaggesca delle lampade a olio, una epopea che passa dai villaggi operai sorti quasi dal nulla - e poi spariti che ospitarono migliaia di minatori emigrati europei e italiani, e fra questi molti romagnoli, come Iselle e Trasquera o Balmanolesca, spazzati via, come quest’ultima, da alluvioni – alla grande letteratura come quella di Giovanni Pascoli.
E proprio davanti ad un testo di Giovanni Pascoli si dovette trovare Dino scendendo alla nuova stazione di Domodossola in fronte alla quale l’Opera Bonomelli aveva realizzato, con una grande sottoscrizione di cui fu promotore anche il poeta, un Ospizio per gli emigranti.
L’Ospizio come appariva nel 1910
Infatti il 30 ottobre del 1906 alla presenza della Regina Margherita si era messa, con gran cerimonia, la prima pietra dell’Ospizio per gli emigranti per la quale Pascoli aveva inviato il testo della lapide che ha per protagonista proprio la Regina, come personificazione dell’Italia stessa:
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L’autografo aggiunge altre frasi che poi vengono cassate: “Lasciate che io venga con voi e con voi io ritorni/ addolcirò il vostro dolore sublimerò l’opera vostra”.
Un articolo di giornale riporta che “L’illustre poeta, che trovasi indisposto a Barga, ha risposto con grande affetto. Quest’epigrafe sarà scolpita in un marmo donato da un antico scolaro, Antonio Garfagnini, all’Opera di Monsignor Bonomelli, col tramite del Pascoli”. Il donatore in una lettera aveva chiesto al poeta: “un distico suo che farà fremere il marmo”.
Le suore stesse si recavano nella stazione di Domodossola ad offrire agli emigranti l’uso dell’Ospizio, fra il malumore di coloro che in città invece lucravano offrendo servizi di vitto e alloggio.
In questo clima certamente in Campana si sublimavano le due esaltazioni: l’eroicità del traforo frutto di lavoratori emigrati e sul momento la spinta verso l’intervento in guerra a fianco della Francia.
Ma a Domodossola si concluse tragicamente anche il primo sorvolo delle Alpi fatto dal pilota peruviano Chavez. Pascoli aveva dedicato liriche a questi due eventi, contenute entrambi in “Odi e Inni”: Gli eroi del Sempione con cui aveva celebrato i minatori e Chavez per l’impresa del nuovo Icaro.
Così canta fra i piloti, colui che vinse la gara pur soccombendo:
hanno esplorato i monti, hanno gridato/ alle montagne; con insonne cuore/ mirano il cielo immobile e stellato […] Che forre e gole e vortici e spavento/ di precipizi e giganteggiar d’erte/ roccie e improvvisi sibili di vento!
Già nel Quaderno Dino aveva dedicato la poesia Umanità fervente sullo sprone ad una gara aeronautica: la Parigi-Roma-Torino del 1911 nel cinquantesimo dell’Unita d’Italia.
Nel Canto proletario di Dino si trova l’invito all’Italia: Se batti la porta/ questa volta ti s’aprirà che sembra echeggiare i versi di Pascoli:
Porta di ferro, oggi è il trionfo!/ Muovi su gli aspri cardini sonanti!/ Apriti, o porta dei millenni nuovi!/ O nuovi vincitori, avanti! […] avanzavate ignudi eroi sotterra al rombo della dinamite […] Porta di ferro, apriti! […] Ma lontani, lavoratori, per la valle voi siete, la mercede nelle mani ed il piccone su le spalle.
Ma forse Dino procedette oltre l’Ospizio e proprio nell’articolo citato all’inizio troviamo una precisa indicazione che conferma la scritta Osteria gatto rosso come luogo della composizione dell’Inno proletario.
Infatti Mario Cesarotti, proprietario dell’Osteria di via Briona, intervistato dalla giornalista a proposito di tale Osteria, testimoniò: “Mi sembra di ricordare una osteria con quel nome in via Binda dove ora si trova il negozio di vernici “Smeraldi”.
Via Binda è la via centrale di Domodossola che poi prende il nome di via Sempione, conducendo verso il traforo. Dalla figlia del sig. Cesarotti ho ottenuto la foto dell’edificio dove era l’Osteria, in attività fino agli anni ’30.
5) Qui si trovava, in via Binda, l’Osteria del gatto rosso
Ma fuori dalla città Campana trova altri elementi di ispirazione. È proprio l’epoca di costruzione in Val d’Ossola e nella Val Divedro e più su oltre Baveno delle nuove centrali elettriche.
Sulla via del Sempione la prima è quella di Varzo iniziata nel 1910, sfruttando le acque del fiume Diveria e del torrente Cairasca.
I lavori furono ciclopici, soprattutto considerando gli anni in cui vennero eseguiti. Furono perforate montagne, costruite strade in territori impervi e ad alta quota, sbarrate intere vallate con la costruzione di impressionanti dighe, cancellati pascoli e alpeggi e perfino sommersi interi villaggi.
L’ingegnere milanese Ettore Conti nel 1906, dopo aver visitato l’Ossola, acquistò dallo Stato la concessione per lo sfruttamento delle acque del fiume Toce e dei suoi affluenti e decise di fondare le omonime Imprese Elettriche Conti. Suo cognato era l’architetto milanese Paolo Portaluppi, autore delle più belle centrali, su anche nella Val Formazza e nella Valle Antigorio.
Del resto la stessa galleria del Sempione viene subito elettrificata per evitare il fumo all’interno. Non parliamo poi delle città: da quelle valli verso la sola Milano si inviano 100.000 cavalli/vapore.
È quella stessa luce elettrica che diviene protagonista nella Rissa in galleria e quei tanti cavalli de La città che sale dipinti entrambi da Boccioni. Il nuovo paesaggio vede i pali delle linee elettriche allinearsi al posto dei cipressi lungo le strade. Boccioni è il primo a metterli in fila, pali elettrici e cavalli, entrambi negli studi per l’incisione Beata solitudo.
Nel 1898 si era costruita la Paderno-Milano (32 km), la prima linea trifase con sostegni di ferro “tipo a traliccio” ed isolatori “tipo delta” a campane multiple con conduttori in rame.
L’alta tensione che è necessario trasportare con sempre potenze maggiori, porterà nel 1911 ad utilizzare comunemente i primi tralicci in acciaio, acciaio che era già stato protagonista di tutta l’ingegneria dei nuovi ponti (si veda il ponte a Trezzo d’Adda).
L’acciaio è il nuovo materiale esaltato nell’Architettura futurista e lo stesso Sant’Elia nel manifesto disegna straordinarie Centrali elettriche.
Egualmente tante nuove fabbriche chimiche nascono nelle valli del Piemonte per i materiali necessari agli scavi, quali la dinamite, o per il riutilizzo del materiale scavato contenenti calcio con cui si produce la calciocinamide, il carburo ecc.
Fabbriche chimiche con silos in acciaio e altre strutture mostrano un nuovo paesaggio e la versatilità dell’acciaio
6) Centrale di Cadarese
7) Centrale di Crego 1916
Campana attraversa quelle zone proprio allorché iniziò la “colonizzazione elettrica” dell’Ossola.
9) Sifonne di Friga, Centrale di Caneva 1927, particolari
A questo punto si inserisce un’altra mia “sfortunata” ricerca alpina.
Con sottomano la lirica La dolce Lombardia coi suoi giardini, su cui avevo lavorato anni fa e supposto un collegamento territoriale con la visita a Domodossola, in un verso si nominava La forra di San Gaudenzio, che effettivamente esiste a Baceno, con la sua monumentale chiesa su di un picco roccioso, rinforzato tutt’intorno da una serie di grossi archi sopra un orrido scavato dal fiume Diveria, più a nord di Domodossola.
L’autografo della poesia non esiste; ne fu solo consegnata una copia al Falqui da parte di Manlio, insieme all’altra composizione Sorga una larva di un antico sogno…, considerando così le due composizioni coeve.
La parola “Forra” è stato suggerito poi di correggerla in “Torre”, valutando che il verso della poesia si riferisca al San Gaudenzio di Novara, luogo in cui Dino passò qualche giorno in prigione.
Il Monte Rosa sorge a oltre cento chilometri da Novara e solo in particolari condizioni lo si può scorgere, anche se qui presento una foto che con un teleobbiettivo schiaccia le distanze.
11) Da Novara il monte Rosa
Il panteon aereo di archi dorici di marmo, riferibile alla aerea altissima cupola dell’Antonelli, non ha “archi dorici” e la stessa dizione di archi dorici è un errore (forse si doveva trascrivere “gotici”?).
Sono archi, ma senza colonne, invece quelli che sorreggono la chiesa di Baceno, che vista dalla forra si innalza verso il cielo.
Il poeta dice poi di trovarsi su di un “baluardo” dove un azzurro sconfinato
posa sulle betulle, situazione che si addice più a Baceno.
Ugualmente il cielo pieno di picchi si addice ancora a Baceno, dove Dino è circondato dalle montagne e vede nella valle le betulle. Laggiù si stendono al/ piano/ infinitamente, presuppone una visione dall’alto.
In entrambi i casi Campana sovrappone alla veduta la “visione”.
Noi, poveri ciechi, ci innamoriamo di questa visione profetica e alla fine Baceno o Novara sono interscambiabili!
(Comunque alla fine concordo per Novara perché lo stile è sereno e non sibillino come nel periodo post 1915)
San Gaudenzio di Novara e di Baceno
Ringraziamenti:
- la sig.ra Claudia Casarotti per le notizie relative al padre Mario sulla memoria dell’Osteria Gatto rosso e per le foto di dove si trovava
- L’ing. Andrea Cannata dell’Enel per le notizie sull’elettrificazione delle linee, per la foto della centrale di Caneva, per le notizie sulla fabbrica Galtarossa e altre contenute nel sul libro “Centomila cavalli per Milano” ed, Bellavite, 2023
- la responsabile della Fondazione Pascoli Sara Moscardini e Flavio Guidi del Comune di Barga per l’invio della digitalizzazione dell’autografo di Pascoli da “Archivio Casa Museo Giovanni Pascoli – Comune di Barga.
- Marco Blardone della biblioteca “G. Contini” di Domodossola per l’articolo de La Stampa e per i testi a stampa sull’Ospizio dell’Opera Bonomelli