LA CHIMERA NEI «CANTI ORFICI» DI DINO CAMPANA

 

di Neuro Bonifazi

 

 

Dall'epoca romantica in poi, nel corso del secolo XIX e oltre, in Europa, i mitici mostri dell' antichita (Medusa, Chimera, Sfinge, Gorgone, Sirena, ecc.) diventano, nell'immaginario dei poeti, i simboli della loro concezione della bellezza in genere, di quella femminile in specie, della Donna e dell'eros. A cui si aggiungono le immagini emblematiche ed evocative dei grandi artisti, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, Diirer, ecc., e in particolare, a un certo punto, I'immagine della Gioconda.

E non solo, perche la donna e la Donna eterna, un mito, e può richiamare alla memoria anche le divinita pagane, come Proserpina, regina degli Inferi, o altre regine storiche e donne amorose e fatali, come Semiramide, Cleopatra, Didone, Salome. La concezione sempre piu diffusa a quella di una bellezza orrida e terribile, medusea, di una donna bella e crudele, di una belle dame sans merci, apparentemente angelica e invece diabolica, ambigua fonte di desideri inesauribili e chimerici, e depositaria dei misteri piu profondi dell'anima e della vita, nel suo aspetto di sfinge. Secondo Baudelaire (per fare subito un esempio), la bellezza femminile a un mostro, il cui occhio misterioso, il cui sorriso enigmatico, aprono la porta dell'infinito e dell'ignoto ("d'un infini que j'aime et n'ai jamais connu").

E paragona la beaute a "un Sphinx incompris"; poi di fronte alla sua donna evoca lo Stige, Megera, e infine l'inferno e Proserpina ("je ne puis... dans l'enfer de ton lit devenir Proserpine"...), e la chiama "b6te implacable et cruelle", "vase de tristesse" e "grande taciturne", ma l'adora "a regale de la voute nocturne". Medusa o Sfinge o Chimera, is Donna fatale percorre tutto l'Ottocento. Anche Flaubert parla della "tentation de Ia chimere, l'inconnu, le caractere maudit, la vieille poesie de la corruption et de la venalite". Questa immagine a spesso riferita a una donna esotica, o che appartiene a un'epoca di antichita barbarica e orientale (Gautier e Flaubert), che arriva a presentarsi come una sorts di vampiro, serpente divoratore, e comunque corrotta come le "reines courtisanes de l'ancienne Rome" (Sue).

La crudele allumeuse, seduttrice implacabile e desiderata, e interpretata da innumerevoli creature, e ha il massimo sviluppo in Swinburne, in Walter Pater, in Wilde, fino al nostro D'Annunzio. Swinburne definisce la sua eroina come l'ultima personificazione della donna eterna, Elena, Cressida, Ginevra... Cuomo ai suoi piedi trema di paura: "...la tua chioma mi brucia Ia vista come oro incandescente, il tuo colore pallido mi fa vibrare di pena e di spasimo...". II pallore a una caratteristica della donna fatale. La Maria Stuarda di Swinburne cerca il sangue degli uomini per ravvivarsi ("...questa Venere non è placata, ma rosseggia di sangue di uomini intorno alla bocca...").

In questo autore c'e tutto: sadismo, incesto, ermafroditismo, cannibalismo; c'e Medusa, ci sono le lussuriose regine orientali, c'e un inno di dedizione entusiastica al vizio; c'e Cleopatra, che sotto le palpebre "tiene le stone di tutti i tempi" o "l'enigma dei cieli", anche se non la Chimera e non ancora la Gioconda. Altri, da tempo, consideravano il sorriso della Gioconda come l'espressione piu alta dell'ambiguita e del vizio, e non solo della donna. Fu il Pater, nel suo studio su Leonardo da Vinci, a identificare in questa immagine "l'anima con tutte le sue malattie..., l'animalismo della Grecia, la lussuria di Roma, il misticismo del Medio Evo, i peccati dei Borgia. Ella è piu vetusta delle rocce tra le quali siede; come il vampiro fu piu volte morta e ha appreso i segreti della tomba... Come Leda, fu madre di Elena, e come Sant'Anna fu madre di Maria... L'immaginazione di una perpetua vita, che aduni insieme migliaia di esperienze, è di antica data. Certamente Monna Lisa potrebbe essere considerata come l'incarnazione di quella fantasia...".

Questa pagina rese popolare e di moda il sorriso enigmatico "alla Gioconda". Basti una testimonianza: Jean Lorrain in Monsieur de Phocas, parlando dei "vices d'enseigne" (malizie), adoperati dalle cortigiane "pour amorcer (adescare) le client", 6 quasi sorpreso e scandalizzato quando esclama: "Dire que j'ai aime, moi aussi, ces petites betes malfaisantes, ces fausses Primavera (anche la Primavera del Botticelli appartiene a questo genere di immagini emblematiche), ces Joconde au rabais (al nbasso: da quattro soldi?) des ateliers des peintres et des brasseries d'esthetes, ces fleurs en fil d'archal (in filo d'ottone: artificiali) de Montparnasse et de Levallois-Perret!". In uno strano autore misticheggiante, Joseph o Josephin Madan, c'e qualcosa di pia preciso sul sorriso e sull'enigmaticita della Chimera, che può interessare il critico di Campana. Vagneriano convinto, lettore dello Schurè e dei più antichi libri di magia, precursore di D'Annunzio nei suoi atteggiamenti estetizzanti di gran sacerdote dell'Arte, il Madan scrisse molte opere in stile fastoso e immaginifico, tragedie, trattati iniziatici, mitologie, un volume su La derniere lecon de Leonard de Vinci (del 1904) e romanzi.

Nel romanzo Le vice supreme (del 1884) la protagonista, un'efebica principessa d'Este, bella e micidiale, sorride come Monna Lisa, al solito, ma non è tutto. C'e un personaggio che recita una composizione poetica che s'immagina tradotta dal provenzale, ed e un Ritratto muliebre, ritratto della Gioconda: "Plus pale que l'aube d'hiver, plus blanche que la cire des cierges (candele), - ses deux mains ramenees sur sa poitrine plate, -elle se tiens fres droite clans sa robe, rouge - du sang des coeurs qui sont morts a saigner (dare sangue) pour elle. - La perversite niche (nidifica) aux coins de sa bouche; - ses sourires sont empennes de dedain (disprezzo); - clans ses yeux pers (azzurri), diamants ceruleens - qui fixent des lointaines chimeres, - sa pensee file le rouet (il filatoio, la tela) des impossibilites...". I suoi amanti sono moth dannati; ella a rimasta pallida, le labbra chiuse sul suo mistero.

L'Amore che none che amore, la virtu nel crimine, son cose che lei non ha voluto: avrebbe voluto amare insieme in una sola persona Cesare Borgia e San Francesco d'Assisi; ma questo mostro none ancora venuto, e lei continua a filare la tela delle impossibilita. Nell'attesa del benamato, non ha avuto un amante: l'avrebbe stretto, soffocato forse, sul suo seno piatto. La carnagione sarebbe fiorita sulle sue guance, il suo labbro si sarebbe aperto al bacio, se San Michele avesse potuto essere anche Satana, e Satana avesse potuto essere San Michele. Leonardo, il maestro sottile, l'ha eternizzata in questo quadro... "Fickle a ton vice monstruex, o fille du Vinci, Muse - depravante de I'esthetique du mal, ton sourire peut s'effacer sur la toile, - il est facsimile dans mon coeur...".

E l'apostrofe conclusiva: "... Chimere, ta vue m'altere de cette soif du Beau Mal, - que to est morte sans savoir. - 0 soeur de la Joconde, ei sphinx pervers, je t'aime!". Le chimere sono i desideri erotici strani e apparentemente impos-sibili, rappresentano le fantasie di amori mostruosi, mescolanze angeliche e diaboliche, negli occhi e nel pensiero lussurioso della Gioconda, della Donna ambigua e misteriosa, perversa come la Sfinge che nel mito distrugge gli uomini che non sanno risolvere il suo enigma. D'Annunzio conosce bene questo scrittore, e lo imita abbondantemente, cosi come prende da tutti, e tutto confonde senza capire, copia, e traduce anche, cio che gli serve per la sua biografica e realistica illustrazione. Campana ha letto D'Annunzio, s'intende, ma aveva conoscenze di prima mano e una cultura che sbalordiva i letterati fiorentini delle Giubbe Rosse. D'altra parte, come vedremo, Campana conosce questa materia cosiddetta decadente, ma se ne distacca e l'adopera nella versione orfica e nietzschiana autentica: la sua anima cosi se ne "libera". D'Annunzio impiega abbondantemente nei suoi romanzi e nelle poesie la figura della Chimera e il tipo di donna medusea o leonardesca con tutto il bagaglio di sadismo, masochismo, lesbismo, androginismo, incesto, ecc., per alimentare una malintesa volonta di potenza. Nel romanzo Il piacere trasferisce alcuni suoi versi della raccolta La Chimera, facendoli apparire come versi di un'opera poetica del protagonista Andrea Sperelli. La Chimera, nella raccolta omonima, è il simbolo del mistero, dell' inconnu, un "grande segreto... sovrumano" e il desiderio degli uomini non puo giungere a comprenderlo, perche si tratta della Chimera, appunto, e della Sfinge, e la Chimera guarda solo in se stessa, nel suo profondo, e non all'esterno; e il poeta conclude il discorso con un riferimento at suo sorriso: "...ma non saprai giammai perche sorrido". Non basta, perche Ia Chimera dannunziana, come in alcuni altri scrittori francesi e inglesi, anche l'ermafrodito, la "creatura bella e omicida", la dispensatrice di "dolci frutti, altri ignorati beni", e puo dare ricchezza e potenza e successo. Pia che D'Annunzio (al quale pub essere debitore di qualche terminotogia o passaggio di frase), Campana sembra aver presenti, ottre a Gautier, Flaubert, Baudelaire, Swinburne e lo stesso Madan, anche Gustave Moreau. Questo pittore tratta nei suoi quadri Ia fataliti e il male incarnati nella bellezza femminile, in particolare nel quadro intitolato proprio Chimeres (sottotitolo: Dicameron satanique) intende rappresentare (sono parole sue) "des femmes enfourchant des chimeras, qui les emportent dans l'espace d'ou cites retombent eperdues d'horreur et de vertige...". Le chimere sono sempre i "reves fantastiques" dell'animo femminile, "toutes les formes de la passion, de la fantaisie, du caprice chez la femme". E la donna e "dans son essence premiere, l'etre incoscient, folle, de l'inconnu, du mistere, eprise du mal, sous la forme de seduction perverse et diabolique". C'e anche un indicatore campaniano, un segnale significativo, una "theorie de reines maudites" (ricordate le "strane teorie di regine languenti" del par.6 della Notte?). Questa donna caratterizzata dall'orrore e dalla vertigine il Moreau la dipinge pin volte nei quadri del ciclo della Sfinge, tra itl 1864 e il 1886. Può essere Ia Chimera, o Elena, o Salome, o la Sfinge, cosi come Pasifae, Semele, Leda, Europa: tutte incarnazioni dell'eterna donna torbida e perversa. Ritornando per un momento al Madan, forse non e inutile precisare che la sua donna mostruosa ha in lui spesso le caratteristiche di una lesbica, il cui desiderio amoroso e verso un androgino. In Emaux et Camus, Madan identifica questo tipo di donna-uomo nella Chimera, unione di esseri diversi, mostruositi di sesso incerto o duplice: "Est-ce un jeune homme? Est-ce une femme? - Une deesse ou bien un dieu? - ...Pour faire sa beaute maudite, - chaque sexe apporta son don. - Chimere ardente, effort supreme - de t'art et de Ia volupte, - monstre charmant, comme je t'aime - avec to multiple beaute! - Reve de poke et d'artiste, - to m'as bien des nuits occupe...". Non sari pertinente pensare a Campana che per la Chimera ha vegliato le notti? anche se in lui I'accenno all'androgino si limita alla "grazia di cinedo" dell'ancella nel par. 13 della Notte. L'androgino o I'efebo, come sesso artistico, e stato espresso, secondo Madan (e molti altri), da Leonardo specialmente nella Gioconda e nel San Giovanni. I personaggi ambigui, lesbici, efebici, nei suoi romanzi, si amano come si amerebbero "vivants ces Joconde et ces Saint Jean... c'est-i-dire d'une allure de sphinx a chimere et de sainte a archange, avec une doucer d'eternite dans la resorption (riassorbimento) du desir inapaisable". Chimere e Sfingi, Sfingi e Gioconde, sono dovunque in Francia nell'ultimo ventennio del secolo, da Elemire Bourges, solo per fare qualche nome qua e IA, a Catulle Mendes (dove c'e - come rileva Barbey d'Aurevilly - un "pandemonium de chimeres"), dalla "Circe antique" di Villiers de l'Isle-Adam al "sourire inquietant de Joconde" di Jean Lorrain; e cosi via. Nell'analizzare il testo campaniano della Chimera, dovremo tener presente cio che ne scrisse il poeta nella ben nota lettera al Prezzolini del 6 gennaio 1914, accompagnando l'invio della poesia, con la preghiera di pubblicarla: "Scelgo per inviarle la pia vecchia la pia ingenua delle mie poesie, vecchia di immagini, ancora involuta di forme: ma Lei vi sentira l'anima che si libera". Le immagini vecchie e le forme involute, di cui parla Campana, sono quelle che riproducono il cliché tradizionale della donna fatale, della Chimera e della Sfinge, simboleggiata in tre figure femminili e munita dei soliti attributi, primo tra tutti l'insistito pallore, poi il ripetuto soniso ambiguo, la fiamma dei capelli, il mistero, il silenzio, la volutta e il dolore, il suo essere vergine e impenetrabile, legata al cielo notturno e al desiderio dei poeti. E tuttavia gia in questa prima parte Campana si stacca da tutti i precedenti, perchè nella Donna, regina del sogno e dell'illusione (e vedremo quale illusione), pia che la crudelta indica la dolcezza (una dolcezza particolare, che in tutto il libro campaniano a segno del superamento orfico, la grazia dell'iniziazione raggiunta); e non è dolce solo il mistero, ma è dolce anche ii pallore esangue (che era il segno funesto della crudelta della donna, in cerca del sangue degli uomini), e dolce sul dolore del poeta! E insieme alla dolcezza c'e la melodia, ossia i due segni della trasfigurazione nietzschiana, che appaiono qua e la nei Canti Otfici nel momento in cui ii disordine del reale si compone nell'armonia universale e le passioni dell'anima si placano in una piacevole risoluzione del dolore. Le stesse apparizioni (o personificazioni o immagini o simboli, come si voglia chiamarli) della Donna nel testo campaniano sembrano particolari: sempre di figure di Leonardo e di Raffaello si tratta o di personaggio mitologico attinente agli Inferi, all'inferno, eppure Campana non ne rivela l'aspetto di perversity o ambiguity, e se mai sottolinea l'ansia di conoscenza del mistero dell'amore che gliene deriva, ed esprime alla fine un desiderio chimerico, un'invocazione alla Chimera, che è ben altra cosa dai desideri e dai sogni mostruosi della tradizione maledetta.

E l'incertezza iniziale del Non so se (ripreso più avanti, per ben due volte, nel momento di ritornare alla prima apparizione), che baudelairianamente dovrebbe indicare l'ambiguita e Ia mostruosita della mescolanza tra il carattere infernale e la bellezza angelica della Donna, non e segno di una disgiunzione tra due oggetti diversi, il pallore del viso e il mistero del sorriso (che appartengono entrambi alla figura leonardesca), ma e introdotta solo per accentuare la straordinarieta e visionarieta dell'apparizione. La prima figura è quella della "giovane suora della Gioconda" che appare tra le rocce; rocce che sono quelle dipinte nel quadro, ma si congiungono in qualche modo a quelle che sono viste all'inizio della seconda parte e che insieme ai "poggi" e ai "rivi" giustificano itlprimitivo titolo di Montagna - La chimera. Qui ci sembra evidente il calco peladaniano, proprio perch& Campana non dice "sorella" come usa dire altrove e nello stesso senso, ma "suora", che riproduce anche il suono della "soeur" dell'autore francese, che Campana certamente conosceva meglio di D'Annunzio (e, se si vuole, sull'esempio di D'Annunzio). La descrizione che ne fa Campana, sia pure a grandi linee, a piuttosto originale, e soprattutto in un particolare, che non corrisponde alla tradizionale immagine leonardesca della Gioconda; tanto da far pensare, per ipotesi, a un'altra immagine di Leonardo. Infatti iltesto ribatte un aspetto, la "china eburnea fronte", e pin avanti, il"vergine capo reclino", che non e proprio di Monna Lisa, Ia quale non è china o reclina, ma sta al contrario ben eretta nella sua figura (come dice il Madan: "elle se tiens tres droite")! China invece e con Ia fronte eburnea e con i capelli ancor pin di fiamma e pin veramente tra le rocce e certamente la figura di un altro quadro leonardesco, quello della Vergine delle rocce. Lo stesso attributo di "vergine" sembra volerci indirizzare in questa direzione. Si sa poi che tutte le figure leonardesche venivano utilizzate dalla tradizione letteraria per to loro ambiguity e il loro mistero, e non ci si faceva scrupolo in ogni caso di ricorrere, come abbiamo visto, a santi e madonne! D'altra parte Campana potrebbe essere stato influenzato dall'uso che aveva fatto della Gioconda il D'Annunzio proprio nel suo romanzo Le vergini delle rocce. Leonardo a di casa in questo romanzo, fino ad occuparne anche l'exergo dei capitoli; ma c'e di pin. Quando il protagonista, l'io narrante, racconta Ia visita alle tre sorelle principesse e nubili, che a un episodio fondamentale, dice: "...quando io penso alla nuda e cupa solitudine delta casa, in cui esse fino a quel momento avevano languito, non so... Dalle infinite lontananze di quei dominii pallidi...". E poco dopo: "Respiravano le virtuose sorelle nel medesimo cerchio di dolore... e a volta a volta l'una reclinava Ia fronte su l'omero o sul petto dell'altra, mentre l'ombra... Esse conobbero... quanta none si raccogliesse nel volume di una capigliatura addensata come un castigo su una nuca troppo pallida, e le meravigliose persuasioni espresse dalla curva di una bocca in silenzio...".

Una di queste fanciulle afferma a un certo punto: "In sogno, io vegliai una notte misteriosamente...". E poi: "II mio cuore a infaticabile. Tutti i dolori della terra non riuscirebbero a stancare ii mio spirito...". Oppure: "In sogno ho vissuto mille vite magnifiche... I poeti vedevano in me la creatura speciosa, nelle cui linee visibili era incluso il mistero della vita, il mistero della Bellezza rivelata in carne mortale...". Subito dopo D'Annunzio fa la parafrasi dello studio del Pater su Leonardo, e malgrado il titolo del romanzo, egli pensa, come tutti, alla Gioconda. Un'altra spiegazione, forse migliore, potrebbe essere data dall'uIteriore use che Campana fa del verbo chinare e dell'aggettivo chino in un'altra poesia dei Notturni, La speranza (sul torrente notturno). Questo testo ha molte somiglianze con quello della Chimera: vi si invoca una "principessa dei sogni segreti", the a definizione adatta alla Donna fatale impersonata dalla Gioconda, anche perch& e il "pallido amor degli erranti", e poi anche poeta si chiede: "chi le taciturne porte - guarda che la None - ha aperte sull'infinito?". E aggiunge: "Chinan l'ore: col sogno vanito - china la pallida Sorte...". Campana ha intitolato questa poesia La speranza, cosi come avrebbe potuto dare alla poesia La Chimera il titolo di L'illusione. I due testi sono simili e paralleli. La Chimera è dopo tutto, illusione orfica e nietzschiana, a illusione, liberazione e speranza, appunto. Speranza di liberazione, "tregua agli amori segreti", malgrado le ore che chinano... Ossia il tempo che passa, le ore che scivolano via, tramontano, cadono, come è caduto il "sogno vanito" e come tramonta, cade, va verso la morte, "la pallida sorte"? Allora gli aggettivi "china" e "reclino", attribuiti, nella Chimera, alla fronte e al capo della Gioconda, sarebbero usati in aggiunta da Campana col senso che hanno in quest'altro testo, un senso di fatality e di tristezza, misto a una speranza di tregua e d'infinito, malgrado iltempo che scorre rapido, malgrado la necessity degli "amori segreti", malgrado la Sorte (che a pallida anch'essa) e infme la morte (che apre lei comunque le pone sull'infi-nito...). Anche nelle non molto lontane Immagini del viaggio e della montagna c'e un'analoga "proclina - anima al nulla nel suo andar fatale". Qualunque sia l'interpretazione che si voglia dare alla particolare delineazione che Campana fa della sua figura leonardesca, della sua "suora della Gioconda", eterna per le sue giovani apparizioni nelle sorelle contemporanee al poeta, si tratta sempre dell'"effigie dell'Idea che - come afferma D'Annunzio - gli artefici invocarono nelle tele...". Effigie che anche Campana adopera, ma che appartiene, per suo stesso riconoscimento, alle vecchie immagini e alle forme involute della tradizione letteraria. Al contrario, la sua anima si libera, per una purificazione e un superamento, in certo modo, di tale materia maledetta.

Lui preferiva essere considerato non grande poeta, ma poeta "puro"! E di quale purity si trattava e da chi la derivava? e da chi derivava ('idea della liberazione dell'anima e la stessa concezione della sua Chimera?... Certamente dall'orfismo della filosofia nietzschiana, di cui diremo tra poco. II testo della Chimera, dopo la "giovane - suora della Gioconda", fa apparire un'altra figurazione in alternativa, o meglio, in aggiunta, alla prima: "o delle primavere - spente, per i tuoi mitici pallori - o Regina o Regina adolescence", ossia certamente Persefone (corrispondente alla Proserpina latina), l'adolescente figlia di Demetra o Cerere, rapita negli lnferi (di cui divenne regina, come moglie del rapitore Ade), tanto da provocare, al momento del rapimento, lo sparire della primavera, e poi sempre lo spegnersi di tutte lc primavere sulla terra. Divinity infernale per i poeti maledetti, ma divinity orfica, analoga alla figura di Euridice, per Campana. Evocata per i suoi "mitici pallori", pallori qui certamente di morte, infernali, in analogia alla pallida figura leonardesca. Personaggio anch'essa della tradizione iconografica della Donna fatale. L'abbiamo vista apparire in Baudelaire, ma anche Oscar Wilde, nel suo The Sphinx, aveva evocato, tra sfingi e chimere e altri mostri favolosi dell'antichita e personaggi mitici, i regni inferi e la "Regina sonnolenta di papaveri", insieme alla "furia dalle trecce di serpenti, pur ora sorta dall'inferno...". E tuttavia Persefone e personaggio centrale dei riti di iniziazione orfica e dionisiaca, la dea che si piega al canto di Orfeo e impetra per Euridice. Pallida come la donna leonardesca e come la mitica regina dell'Aldila, anzi "esangue", e introdotta da un "Ma per" (ossia ancora, a causa di), che si ripete a reintrodurre poi di nuovo la prima immagine dal "capo reclino", ecco una "musica fanciulla esangue", appunto, di cui si rileva "ignoto poema - di volutta e di dolore - segnato di linea di sangue - nel cerchio delle labbra sinuose". Una "Regina de la melodia", che non pue essere che Santa Cecilia, per questi attributi musicali e per il fatto the a gia stata indicata nella Notte (par.11), dove il poeta paragona le "antichissime fanciulle della prima illusione" alle figure di Santa Cecilia, appunto, e di Santa Marta (che invece la Maddalena), che appaiono nel quadro di Raffaello della pinacoteca di Bologna. La santa e una trasfigurazione, nel senso nietzschiano, della Donna fatale e maledetta, di cui conserva il funesto pallore, la volutta e il dolore e la linea di sangue degli uomini nel cerchio sinuoso delle labbra, ma è ormai liberata dal suo canto, che accorda il suo "cuore... col cielo latino" (come e precisato nella Notte) e dalla dolcezza della "melodia".

Non siamo ancora alla Chimera, ma gia Campana ha modificato il valore e il significato delle tradizionali figure emblematiche della Donna e dell'amore. Puo quindi affermare con ben altro spirito, da "poeta notturno", da poeta tormentato, inquieto pallido assetato errante dietro le larve del mistero, il suo vegliare "le stelle vivide nei pelaghi del cielo", proprio per merito di quel "vergine capo - reclino", cosi come gli è apparso all'inizio il capo della sua Donna (un capo e una fronte chini sul mistero fatale dell'amore e della morte, sguardo interiore, atteggiamento di speranza e di tristezza), e per merito di quel silenzio, di quel suo "divenir taciturno", che non nasconde phi i desideri mostruosi, ma l'estasi del sogno. La dolcezza trasforma la brutality del reale, dell'amore turpe, della donna crudele; e finalmente il "pallore" pun sembrare, nella vaghezza di altri "non so se", non pin funesto, non pin segno dell'avidita sanguinaria e dell'inumanita della donna, ma un "vivente segno", un "dolce vapore", la dolcezza del sorriso, infine, di "un volto notturno". Da qui ha inizio Ia seconda parte, libera dalle vecchie forme, che porta all'invocazione finale alla Chimera. Ma Ia Chimera è gia apparsa nella Notte (parte II), ed è il nome, l'immagine, che Campana adopera per indicare fin da allora la Donna fatale, che nella realty è una prostituta, pur sempre pallida "come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'ombra", ma capace di essere redenta, proprio per questo suo donare l'amore e suscitare i sogni, e diventare, da crudele nemica, amica del cuore del poeta. La parte II, par. 1, della Notte anticipa in prosa la quarta splendida strofe di Genova, quella che incomincia "Per i vichi marini nell'ambigua - sera", dove lo stile di Campana tocca il culmine della "grazia" e di una ben regolata follia. Questa II parte è intitolata II viaggio e il ritorno: "... A I'ombra dei lampioni verdi le bianche colossali prostitute sognavano sogni vaghi nella luce bizzarra al vento... bianche cariatidi di un cielo artificiale sognavano il viso appoggiato alla palma. Ella aveva la pura linea imperiale del profilo e del collo... Ed il mio cuore era affamato di sogno, per lei, per l'evanescente come l'amore evanescente, Ia donatrice d'amore dei porti, la cariatide dei cieli di ventura. Sui suoi divini ginocchi, sulla sua forma pallida come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'ombra, tra le innumerevoli luci fallaci, l'antica amica, l'eterna Chimera, teneva fra le mani rosse il mio antico cuore". E il sogno, ripetuto, insistente, è un sogno di bellezza che trasforma gli "uomini come spettri vaganti", li rende "dolci", è "un sogno cadenzato, come per una melodia invisibile scaturita da quel vagare" (per questo la Donna amorosa e sublimata è anche regina della melodia!). E il poeta si chiede: "Non era dunque il mondo abitato da dolci spettri e nella notte non era il sogno ridesto nelle potenze sue tune trionfale? Qual ponte... qual ponte abbiamo not gettato sull'infinito, che tutto ci appare ombra di eternity? A quale sogno levammo la nostalgia della nostra bellezza?". Se scorriamo rapidamente la None, troviamo fin da principio (par.2) una "Lei", mentre un tocco di campana è "dolce di lontananza", e "anni ed anni ed anni fondevano nella dolcezza trionfale del ricordo". La lontananza, che riapparira piii volte e in maniere diverse e infine come "sorriso - di lontananze ignote", e il ricordo, il grande ricordo, conferiscono a questa Lei la iniziale maiuscola e una partecipazione all'eterno, e quindi un superamento della triviality del tempo, e la conseguente dolcezza. Infatti, poco dopo (par. 9), nel bordello, la dove c'e realisticamente una Ruffiana (ma gia "antica e opulenta matrona") e c'e una giovane prostituta ancella, ossia schiava (ma gia piccola "Sfinge"), nella "magia della sera", la lontananza e il ricordo trasfigurano il tutto, la maitresse diventa la "sacerdotessa dei piaceri sterili" e l'ancella un' "ingenua Maddalena", e dal terrore della "volutta" si passa a una "fantastica vicenda" in clima di dolcezza: "Mentre piii dolce, gia presso a spegnersi ancora regnava nella lontananza il ricordo di Lei, la matrona suadente, la regina ancora ne la sua linea classica tra le sue grandi sorelle del ricordo: poi che Michelangelo aveva ripiegato sulle sue ginocchia stanche di cammino colei che piega, che piega e non posa, regina barbara sotto il peso di tutto il sogno umano, e lo sbattere delle pose arcane e violente delle barbare travolte regine antiche aveva udito Dante spegnersi...". E il piegare ci sembra un sinonimo del chinare... La prostituta del par. 13 è poi descritta in tutti i particolari, sempre insieme alla ruffiana, in un ambiente tipicamente maudit di lussuria e di peccato, dove la fanciulla puo apparire anche come un "cinedo", un efebo o androgino; ma il poeta sa vedere "la grazia simbolica e avventurosa di quella scena" e il "mistero della volutta"! Addirittura, pia avanti (par. 16), dopo che Campana ha incontrato "i laghi estatici dell'oblio che to Leonardo fingevi", c'e quasi una scena di vampirismo: "La matrona selvaggia mi aveva preso: il mio sangue tiepido era certo bevuto dalla terra". Ma ancora una volta, anche nell'ambiente della Pampa, appare la "grazia all'ombra dei capelli fluidi e la chioma augusta dell'albero della vita si tame nella sosta sul terreno nudo invitando le chitarre il lontano sonno. Dalla Pampa... lo scalpitare parve perdersi sordo nell'infinito. Nel quadro della porta aperta le stelle brillarono rosse e calde nella lontananza...". Fino all'identificazione ultima, che abbiamo visto, della "donatrice d'amore" con l'eterna Chimera. Anche dopo la Notte, le "Chimeres", nella poesia che inizia il brano intitolato // russo, sono "fulgurantes - dans le miasme humain", sebbene la loro "etreinte" sia "desesperee"; e infine in Genova il poeta alza gli occhi "ai mille - e mine e mine occhi benevoli - delle Chimere nei cieli", propizie a una "vision di Grazia". Campana conosce e descrive la mostruosita della Chimera come una pena, un'ansia d'amore venale, la fatica e la schiavita della lussuria, una catena, cui sono sottoposti sia la vecchia matrona, sia la giovane ancella, sia il poeta, ma il sogno, il desiderio amoroso, che la Chimera suscita nella notte, non è uno di quelli, anomali e sadici della poesia maledetta tradizionale e dannunziana, anche se ne mantiene alcuni aspetti esteriori e superficiali. C'è la liberazione dell'anima! un'anima che distingue la dolcezza e la grazia delle cose, guarda nella lontananza che trasfigura, ascolta nel silenzio la melodia del Tutto, cerca dovunque l'infinito, e fonde il presente nell'eterno per mezzo del Ricordo, dell'Eterno Ritorno. La stessa liberazione che fa sostituire al solito je t'aime, Chimere! dei modelli francesi, il risolutivo "ti chiamo ti chiamo Chimera"! Campana ha letto e assimilato e, per cosi dire, incarnato in se la concezione morale ed estetica di Nietzsche, e in particolare il contenuto della sua Nascita della tragedia, e aveva certamente letto (nel testo tedesco) e ricordava i passi di teoria poetica che riportiamo qui di seguito: "...La bella parvenza dei mondi del sogno... a il presupposto di ogni arte... Tuttavia, nonostante la vita suprema di questa realta sognata, traluce ancora in noi il sentimento della sua illusion... Cosi l'uomo artisticamente eccitabile si comporta con la realta del sogno; sta a guardare...: davanti a lui passano anche le cose serie, tristi, tetre, gli impedimenti... e l'orribile miscuglio di volutta e crudelta... i terrori e le atrocita dell'esistenza...: la cultura apollinea dovra avere... ucciso i mostri ed essere risultata vittoriosa, per mezzo di forti immagini chimeriche e liete illusioni, su una terribile profondita di contemplazione del mondo e una eccitabilissima capacita di soffrire. Ma quanto raramente viene raggiunta Pingenuita, quella completa immersion nella bellezza dell'illusione... contro il talento del dolore...! ...la liberazione attraverso l'illusione...; allora il sogno dovra essere da noi considerato come l'illusione dell'illusione, quindi come una soddisfazione ancora maggiore... dell'illusione... Raffaello ci ha rappresentato in un dipinto simbolico... il processo originario dell'artista... e della cultura apollinea. Nella sua Trasfigurazione la meta inferiore... con gli uomini in preda alla disperazione... ci mostra... l'eterno dolore originario... Da qui si leva poi... un nuovo mondo illusorio, simile a una visione... un luminoso fluttuare in purissima delizia e in un'intuizione priva di dolore, raggiante da occhi lontani..., mondo di bellezza apollinea..., il fine eternamente raggiunto dell'uno originario, la sua liberazione attraverso l'illusione. Con gesti sublimi egli ci mostra come tutto il mondo dell'affanno sia necessario, perche da esso l'individuo possa venir spinto alla creazione della visione liberatrice...". Campana aveva presente certamente queste teorie quando scriveva at Prezzolini sull' "anima che si libera". E nel testo poetico della Chimera l'anima si libera proprio attraverso l'illusione dell'amore, il sogno poetico di un amore supremo, leggero, eterno, libero dall'affanno della volutta e della crudelta e dal dolore della vita. La Chimera è la dispensatrice d'amore dei porti, ma è nello stesso tempo, trasfigurata, il simbolo misterioso e doppio, ambiguo, di questa liberazione dai mall terreni e dall'atrocita dell'esistenza, lontano dal dolore originario dell'uomo e tuttavia attraverso di esso, e quindi, attraverso la perversity e la prostituzione, il simbolo dell'illusione liberatrice dell'amore vero dall'amore maledetto e venale. Illusione non nel senso comune e tradizionale di qualcosa di irraggiungibile, come anche il sogno, nel senso di un estraniamento dalla realty vanamente speranzoso: l'illusione nietzschiana significa una sia pur difficile trasfigurazione, sublimazione, trasformazione, superamento (attraverso un'iniziazione orfica) e liberazione dalle catene dell'umano, una sorta di divinizzazione, la prostituta che diventa regina della notte come Proserpina, mantenendo il suo aspetto ambiguo, chimerico, doppio, composito, e, se si vuole, mostruoso, al di la del miserabile umano. Allora, nella seconda parte del testo della Chimera, Campana, che ha gia gustato nella Nolte e nella prima parte della poesia la dolcezza della trasformazione del funesto pallore e della dolorosa e crudele volutta, legati alla Donna e all'amore, pue guardare le cose tristi e dure che lo circondano, le bianche rocce senza colore, pallide ed esangui anch'esse, e poi le fonti dei venti che sono mute (ossia il silenzio impenetrabile e misterioso della natura come della donna), e l'immobilita, la fissita paurosa, dei firmamenti, e i fiumi che piangono, e la fatica degli uomini che lavorano nel freddo, e le ombre che fuggono via nei cieli: guarda e invoca ancora, alla fine, l'Illusione liberatrice, la Donna eterna e fatale, ambigua e dolorosa, la Chimera della sua eterna e sublime ansia amorosa, ansia di bellezza, che pue aprire le porte del sogno e dell'infinito.