EMILIO CECCHI
DINO CAMPANA
da: L'Approdo, Gennaio - Marzo 1952
Ringrazio l'amico Silvano Tognacci per avermi fornito questo importante documento. (p.p.)
Se uno torna col pensiero agli anni della formazione, in Italia, d'un nuovo senso della poesia, è colpito al vederli, così brevi anni, ingombri di tanti morti; e tutti morti giovani, o assai giovani : Corazzini, Michelstaedter, Gozzano, Locchi, Onofri, Bastianelli, Boine, Serra, Slataper. Dino Campana non fu tra i più giovani, relativamente alla morte materiale; ma gli anni da lui passati, fra il 1918 e il decesso nel 1932, in uno spedale psichiatrico, furono anni di morte. Quanto sorprendente e quasi mitologica era stata l'apparizione, fra le scomparse più tragiche fu quella di Dino Campana.
Ruggero Jacobbi
L'ESILIO E LA VISIONE
di
Ruggero Jacobbi
Intervento "a braccio" al convegno fiorentino organizzato dal Gabinetto Vieusseux
Pubblicato su "Dino Campana oggi", Vallecchi 1973
Sono veramente imbarazzato dalla circostanza di dovervi ammannire la mia eloquenza « a braccio » dopo i testi scritti, meditati e letti, di coloro che mi hanno preceduto. Non ho nulla di scritto. Cercherò brevissimamente di vedere in Campana e soprattutto nei « viaggi » di Campana (viaggi reali e immaginari), per piccoli esempi, l'incontro fra due temi di fondo, che non sono soltanto suoi ma di tutta una zona della poesia fra i due secoli: il tema dell'esilio ed il tema della visione. Anche in Campana si è manifestato, nella fattispecie di una Pampa e di un Sudamerica divenuti mito, quel desiderio di un libro da « negro », di un libro da « pagano », di un libro da noneuropeo, che Rimbaud espresse proprio in questi termini. Allo stesso tempo (come cercherò di dire, non di dimostrare; si dimostra con un apparato erudito, non con improvvisazioni) questa volontà di mettersi in esilio, di andare a cercare un altro spazio, o ciò che oggi chiamiamo Terzo Mondo, coincide — in quanto non sempre legato ad una realtà sperimentata, ma più spesso a memoria e fantasia — con la capacità visionaria di Campana. Basta guardare sulla pagina i passi dei Canti orfici e degli Inediti che si riferiscono all'Argentina.
Giuseppe Raimondi
Giuseppe Raimondi: Incontri bolognesi con Dino Campana
da "Dino Campana Oggi", Vallecchi 1973
Fummo fra quelli che avvicinarono Dino Campana nelle sue ultime apparizioni bolognesi fra il 1916 e il '17. Eravamo due o tre ragazzi di liceo. Si aspettava di essere arruolati come militari. Qualcuno di noi è sparito, come Francesco Meriano, il fondatore della «Brigata» e Giovanni Cavacchioli di Mirandola, amico di De Pisis. Giunti alla conoscenza di Campana per il tramite di due nostri più anziani, Bino Binazzi e il pittore Mario Pozzati. Binazzi, pratese, già collaboratore di «Lacerba» futurista era la causa delle fugaci comparse di Campana nei caffè bolognesi, dopo i soggiorni bolognesi di costui del tempo universitario. Quando cioè Campana si fermava qui per i suoi saltuari rapporti con l'Università cittadina. Vi si era iscritto alla facoltà di Chimica per il corso dell'anno 1903 -1904. Si assentava per lunghi periodi, finché vi prese dimora nel 1907.
Bino Binazzi e Francesco Meriano
Campana cerca Binazzi
Estratto dal sito: https://www.bibliotecasalaborsa.it/bolognaonline/
Binazzi fu il primo a scrivere positivamente di Campana, il 25 dicembre 1914, con un intervento sul "Giornale del mattino". Nell'articolo, intitolato Un poeta romagnolo (Dino Campana), salutò il marradese come "poeta di razza", come fenomeno singolare e nuovo. Lo descrisse come un tipo scontroso e solitario, propenso a vivere da poeta, a "preferire l'avventura eccezionale e la vita sciolta e vagabonda di tutte le anime sublimi".
Conversazione con il maestro del coro David Stivender
di Bruce Duffie
Intervista originale dal sito di Bruce Duffie
(traduzione di Andreina Mancini)
Questa intervista è apparsa la prima volta nel numero di settembre 1990 di
The Opera Journal, pubblicazione trimestrale della National Opera Association.
Nota della redazione:
Gabriel Cacho Millet, quando mi parlava di Emanuele Carnevali, mi raccontava sempre dell suo incontro con David Stivender, il Maestro del Coro del Teatro di NY. E' grazie a Stivender che si sono salvati tanti scritti di Carnevali. Fu lui a venire in Italia e a incontrare Maria Pia Carnevali, sorella di Emanuele. Da questo incontro nacque "Il Primo Dio", la prima edizione delle opere del poeta italiano che scriveva in inglese. Ho voluto dedicare un omaggio a David Stivender, e grazie a Bruce Duffie, che mi ha permesso di tradurre la sua bella intervista del 1989, possiamo conoscere meglio questo grande innamorato di bellezza. (p.p.)
Mentre le opere liriche di solito esaltano la morte, nella vita reale cerchiamo di non farlo troppo spesso. L'ultima volta in queste pagine [giugno 1990], abbiamo reso omaggio a una carriera interrotta [il compositore Lee Goldstein]. In questo numero diciamo "grazie" a un uomo che ha trascorso più di trent'anni alzando il livello del canto corale nell'opera, e che è morto ancora in attività lo scorso febbraio.
Giuseppe De Robertis: Sulla poesia di Campana
Pubblicato sulla Rivista Poesia, Annata III, Fascicolo 6, marzo 1947
Giuseppe De Robertis su "LA VOCE", nella rubrica "Consigli del libraio", in un primo momento scrisse dei "CANTI ORFICI" così e non più che così: "notevole, ne riparleremo". In un secondo tempo, e cioè il 30 Dicembre 1914, apparve, sempre su "LA VOCE" un articolo di Giuseppe De Robertis. Tornò egli a parlare di Campana nel 1930 e infine, con un saggio critico "Sulla Poesia di Campana", nel 1947. Considero, quest'ultimo studio, il migliore di quanti sono stati fino ad oggi scritti su la poesia di Campana.
da Don Lorenzo Righi, Dino Campana poeta della notte,
Collana "Gli Inediti" N. 6, Tipografia Sbolci, Fiesole,1971
Il primo incontro con Campana è felice e inquietante. Annota e finisce impressioni liete, dora la pagina d’un’arte lieve; e insieme soffre d’una incapacità a esprimersi, e tutto si agita e smania. Dosa le parole e le adorna come un classico; e s’affanna poi di non poter toccare il segno. Quelle impressioni, tu le collochi bene nel tempo, in quell’aria brillante che impregnò di sé l’estro dei frammentisti e liricisti (« La pioggia leggera d’estate batteva come un ricco accordo sulle foglie di noce » C. 61 [Canti orfici, III ediz.], « la costa è un quadretto d’oro nello squittire dei falchi » C. 62, « II fiume si snoda per la valle: rotto e muggente a tratti canta e riposa in larghi specchi d’azzurro » C. 65 », La sera scende dalla cresta alpina e si accoglie nel seno verde degli abeti » C. 52: già con una lineatura, una flessione limpida; e aveva cominciato dalle simmetrie più elementari: « fuori gli orti verdissimi tra i muri rosseggianti » C. 14); e subito appresso esse denunziano una febbre che è di Campana soltanto, a cui Campana deve le riuscite migliori, le quali soverchiano, appunto, quelle degli impressionisti e dei liricisti in blocco.
«Signor Campana mi permetta di presentarmi»,
biografia di Carlo Pariani medico psichiatra
di Roberto Maini
Da Copyright, 1991-1996
E’ un lunedì mattina, di una tipica giornata di novembre, con un cielo coperto che minaccia pioggia, cosa che succederà di lì a poco e per tutto il giorno seguente tanto da far temere lo straripamento dell’Arno, quando un bell’uomo di cinquant’anni, con gli occhi celesti della madre sale per la collina alla sinistra del torrente Vingone per entrare a Castel Pulci.
Il suo camminare è pensoso, leggermente curvo.
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