foto ritratto costetti 

Dino Campana, ritratto di Giovanni Costetti

Proprietà Centro di Studi campaniani Enrico Consolini, Marradi

Foto di Claudio Corrivetti, Roma

 

 

 

Giovanni Costetti: I Canti Orfici di Dino Campana

 


Pubblicato su "LA TEMPRA" (Pistoia), II, 1915, 1, pp. 6-7

 

Credo che un giudizio di pittore sopra un’opera di poesia pos­sa interessare forse più della critica d’un letterato o d’un filo­sofo. E più facile all’artista di avere di essa un’opinione meno logica, più istintiva, più passionale.

Mi pare che la critica diventi spesso arido esame di difetti o qualità tecniche e agisca dietro certi presupposti malsicuri. In­fatti a seconda di certi suoi dogmi mutevoli ammette o nega valori che anche negati o ammessi non distrugge o non affer­ma durevolmente.

Le forbici del critico cosiddetto competente, tagliano spesso male, o troppo o insufficientemente.

Il critico non dovrebbe esistere perché non è un uomo d’intuizione, e l’opera d’arte vera è sempre intuitiva. Ma forse la ragione materiale di esi­stere del critico è l’opera d’arte voluta cioè falsa che è sovrab­bondante e che bisogna condannare.

Il volume di Dino Campana "Canti Orfici" di cui sto parlan­do, non mi sta fra mano. Io l’ho letto da circa un mese. E’ dunque diventato per me "un ricordo" ma appunto perché ta­le, perché ricordo vivo, suggestivo, io sento di occuparmene. Molte cose mi rimangono di questo libro; sovrattutte mi ri­mane la sintesi delle diverse impressioni.
 
Egli ha nel ricordo un’unità che non gli si può ritrovare subito quando le bellez­ze particolari ci afferrano individualmente.Io lo vedo sotto un’atmosfera unica, ma complessa, nella sua unità spirituale, lo vedo nostalgico e vibrante.
La sua luce è come quelle delle albe fosche, bianchicce e soavi, le forme so­no fantastiche come le fa l’alba e i rumori lontani come nel sogno. La musica invade il poema che è pieno di colori - la musica è nelle parole commosse, nelle immagini nuove - nei significati profondi - la pittura è in tutto.
 
Il Campana riproduce sempre il ricordo delle cose, cioè le cose nel loro velo di pensosità. Essa è viva moderna e la si vede, attraverso le parole sincere e le immagini sintetiche, varia sono­ra come i bronzi vibranti musicalmente. L’A. ha l’occhio d’un impressionista, ma tende contrariamente all’impressionismo che disfa i corpi per il trionfo della luce, a invigorire i corpi pure mettendo un velo nostalgico nell’atmosfera. Egli adope­ra molto i viola, i bleu, i bianchi. Vede la notte viola, il sonno bleu, evita nelle ombre i neri le terre e crea così una sensibili­tà trasparente e fresca, e davanti alle sue visioni noi sentiamo che il suo mondo pure essendo il vecchio ha la sensibilità nuo­va che ce lo ringiovanisce e ce lo trasfigura.
 

Campana perché è un vero poeta ci fa amare, ci scalda il cuo­re. Egli ha nella sua poesia una vera intimità e si fa quindi no­stro intimo subito.Quando lessi un mese fa i "suoi Canti Orfici" sentii questa inti­mità e non potei per quanto pigro in generale nella lettura, so­spendere il libro. Tanta era la fluidezza, tanta la schiettezza sua, tanta la differenza dagli altri libri di poesia da me letti ultima­mente che mi domandai come viveva l’autore. Non le solite sensazioni del poeta pigro di città, cacciato fra i comodi, e i troppi libri e sotto molte influenze di timbro più che di conte­nuto, non visione borghese espressa in versi o in prosa poetica, ma qualcosa di Straordinario. Una sincerità un’inquietudine che solo gli spiriti vagabondi e audaci di prova e di vita hanno.Ma diffidai della mia impressione. Non è la prima volta che a prima lettura mi è parso vivo. L’esperienza mi ha però inse­gnato che spesso questo libro, senza anche rileggerlo ci diven­ta antipatico. Infatti il falso è in quasi tutte le opere dell’inge­gno umano. Falsi gli atteggiamenti dello spirito e quindi falsa l’opera, ma con astute apparenze di schiettezza. Il volume di Campana a distanza sufficiente di tempo, mi ha lasciao il suo profumo schietto di spigo, e lo ricordo bene, e l’ho in me come un amico che mi segue e che ritrovo collo sguardo tratto tratto mischiato fra gli altri amici. Ho la fortu­na di una memoria intelligente, insufficiente per le cose clic mi interessano poco, negativa per quelle che alle volte si dovreb­bero ritenere per il patrimonio utilitario, e magnifica per le co­se che amo. E amare una cosa significa sentirla dentro di sé.

E ricordo per esempio la prosa poetica "la notte" in cui l’autore mi appare un uomo che abbia vissuto di mondo sunnanbolesco di Verlaine di Baudclaire, e i ritmi liberi di Mallarmé. Ri­cordo la bellezza sincera dello stile di queste pagine e il godi­mento artistico che mi davano leggendole. E le poesie nuovi ritmi, immagini improvvise, illuminanti zone d’ombra, ma non il nuovo voluto a tutti i costi, non le immagini forzate, non i troppi ritmi, non l’intenzione, bensì l’espressione. Conosco dei poeti mentali che vogliono. Vogliono far ritmi, sonanze, dissonanze nuove, capovolgere in tutti i modi i significati. Essi ri­escono artificiosi. Non posso amarli perché disgraziatamente, vogliono essere poeti. E volerlo essere vuoi dire non esserlo. E vogliono esserlo cercando con occhi aridi, e senza cuore, fuori dalia poesia, nella istessa notte, ma lontano dall’ansia e dal palpito. Le loro ricerche sono esterne, non unite col contenuto: voglio­no esasperare la sensibilità, caricare i risalti fino alla pesantezza, eccedono di particolari, hanno un numero incredibile di aggettivi per qualificare liricamente una cosa, cercano certe unioni di frasi canore in contraddizione collo spinto delle co­se stesse, portano nei verso certi inceppi che determinano un arresto in necessario al lettore, un ostacolo alla scorrevolezza.

Essi calcolano male sui toni della tavolozza lirica, e dilatano o restringono o smorzano le intonazioni pittoriche e musicali, non dietro un moto intuitivo, ma per soverchio ragionamen­to.Campana è lontano da costoro, come la sincerità, l’esperienza sono lontane dalla falsità e dalla teoria. Egli non scrive su teo­rie, e il suo mondo non è una presunta scoperta. Non vuole etonnée non pretende dire del nuovo, ma esprimere se stesso, nella propria schiettezza. La schiettezza sua consiste, passando attraverso le cose, nel vederle vive. Ci sono molte cose nel mondo o in noi del mondo, che rappresentano una sopravvi­venza fredda, che si sono mummificate. Pel poeta le cose sono solamente vive, vale a dire mutevoli. C’è dei critici che giudicano il poeta divisibile e dicono, per esem­pio, il tale è un poeta nuovo, come se esistesse il poeta vecchio. Pure non è che una condizione: l’intuizione, l’emozione por­tate a potenza. Non può esistere quindi che il poeta senza gli aggettivi di nuovo e vecchio. Che se si volesse credere al poe­ta nuovo bisognerebbe ricercarlo non fra i nostri modernissimi, ma da Leopardi ridiscendere al medioevo. La modernità è piena di sforzi per essere viva le occorre il ge­nio, e noi non sappiamo se egli ancora è in azione.

Il mondo del poeta è quindi sempre nuovo, più o meno ricco o vasto. Il poeta va da una schiettezza relativa (suggestionata) a quella maggiore che domina le suggestioni, e vede con cuore e intel­letto puri. Le liriche e le prose del Campana, per me artista pittore han­no già le qualità di una forte schiettezza, anche se come dicessi esse derivino qua e là. Noi disgraziatamente non possiamo o abbiamo l’abitudine di leggere dei libri prima di leggere la natura. Avanti di cono­scerci, di visitare noi stessi, prima di questa possibilità non ab­biamo che quella di esplorare il mondo e l’io degli altri, dei grandi. Con essi possiamo entrare con più schiettezza nel no­stro laberinto.

Che Campana per la sua tragedia interna, per i dualismi della sua anima, per la sua lotta di liberazione, anco­ra sia sul terreno a combattere anche contro gli altri e adope­ri anche armi raccolte sul terreno, è umano. Egli sta foggian­do le sue armi, egli sta svolgendo la sua vita. Vita coraggiosa; lontana dalle vanità e comodità che impigriscono. Vive, vero nomade dello spirito, e non ha pace che nel movimento. È avventuroso, ama gli uomini idealmente, ma la loro volgarità lo stanca e allora ritorna alta solitudine dove si è puri e schietti. E quando la solitudine non gli parla più allo spirito, ritorna fra gli uomini portando fra di essi il suo scontento, la sua ansia, la sua bellezza selvaggia. Questo è quanto so dire di lui. Anche senza la critica altrui che lo esalta già, io ho pure sco­perto in lui il poeta.

Il poeta della nostra gioventù, più denso e più schietto.