Luigi Bonaffini: Campana, Dante e l'Orfismo, componenti dantesche nei Canti Orfici

 

 Da Italica, Volume 58, n. 4 Winter 1981 

 

   di Luigi Bonaffini

 

 

È stato ampiamente documentato dalla critica che nella poesia orfica di Dino Campana confluiscono varie esperienze culturali e letterarie, tra cui la tradizione misterico-religiosa, la poesia europea appartenente al filone orfico, e poi Nietzsche e Schuré. Campana stesso afferma di voler creare una poesia italiana di stampo europeo, e non c'è dubbio che egli fosse sempre disposto a raccogliere ciò che di valido la tradizione europea poteva offrire. La ricerca e la scoperta di una nuova dimensione poetica non comportava affatto il rifiuto indiscriminato della tradizione, come alcuni hanno voluto credere, fedeli al mito di un Campana ribelle ed avanguardista a tutti i costi, ma si basava, e lo stesso poeta lo dichiara apertamente in una lettera del '15 a Papini, sull'innesto della "più viva sensibilità moderna nella linea della più pura tradizione italiana."1 La più pura tradizione italiana per lui significava soprattutto Dante e Leopardi, come suggerisce quest'altra lettera ad Emilio Cecchi:

Ora io dissi: Die tragödie des letzten Germanen in Italien mostrando di aver nel libro conservato la purezza morale del Germano (ideale non reale) che è stata la causa della loro mone in Italia. (Cercavo idealmente una patria non avendone.) Il germano preso come rappresentante del tipo morale superiore (Dante, Leopardi, Segantini)."2

In questa sede il pangermanesimo di Campana importa poco. Quello che importa è invece il fatto che lui indichi Dante e Leopardi come veri Germani o tipi morali superiori, dei quali si considerava discendente diretto, anzi uno dei pochi che conservasse la loro "purità d'accento" nella poesia. Dal piano politico ed ideologico, il pangermanesimo di Campana si sposta al piano letterario. La vera arte può nascere solo dalla fusione dello spirito germanico o nordico e quello latino: "Se una nuova civiltà latina dovrà esistere, essa dovrà assimilare la Kultur."3 Stranamente, lo scrittore che meglio rappresenta questa fusione di culture è proprio Dante:

È il carillon di una torre gotica. Anche Dante nel V Canto ebbe questa fantasia cavalieresca che trionfa dell'Inferno latino. Come sempre la poesia di Dante risulta dalla lotta tra il nordico e il latino .. 4

Ed è ancora Dante lo scrittore che personifica l'arte crepuscolare per eccellenza:

L'arte crepuscolare (era già l'ora che volge il desio) in cui tutto si affaccia e si confonde, e questo stadio prolungato nel giorno aiutato dal vin de la paresse che cola dai cicli meridionali e nella gran luce tutto è evanescente e tutto naufraga, sì che noi nel più semplice suono, nella più semplice armonia possiamo udire le risonanze del tutto.5

II riferimento a Dante è ripetuto in un altro brano dei Taccuini sull'arte crepuscolare:

... in queste sere in cui è profondamente dolce la voce dell'organetto, la canzone di nostalgia del marinaio, dopo che il giorno del sud ci ha riempito du vin de la paresse.

Il marinaio è, naturalmente, quello dell'ottavo canto del Purgatorio ("era già l'ora che volge il disio"), mentre l'organetto è senz'altro un riferimento alla "dolce armonia da organo" (Par. XVII, 43). Il nome di Dante, come esponente della migliore poesia italiana, appare di nuovo in una lettera a Sibilla Aleramo:

Je serais heureux si je pouvais vous faire partager mes admirations pour cette ligne sevère et musicale des Appenines qui marque depuis Dante et Michel Ange l'esprit de nos meilleurs.6

È chiaro, ripetiamolo, che per vera e pura tradizione italiana, su cui la poesia moderna doveva innestarsi, Campana intendeva Leopardi e Dante, quest'ultimo soprattutto. Infatti i riferimenti espliciti a Dante sono numerosi nell'opera di Campana. L'immagine di Francesca è un leitmotif che ricorre più volte nella Notte e nella Verna, mentre non mancano i versi danteschi citati per intero. Il dantismo di fondo dei Canti orfici non è sfuggito alla critica, ad esempio nelle similarità tra la salita alla Verna e l'ascesa purgatoriale di Dante:

Ma tornando alla Verna, il 'pellegrinaggio' si modella sulla 'poesia di movimento' dantesca fin nel senso di vastità vuota, luminosa, donde si dislaga la montagna del Purgatorio, che Dante uscito dalla tenebra infernale prova con una insistenza quasi inebriata, dove pentimento e dolore e ricordo della terra e del passato formano uno stato d'animo inscuidibile coi presentimenti del futuro.7

Ed è stato poi notato il nesso tra la "poesia di movimento" di Dante, come la chiama Campana, ed il motivo del viaggio nei Canti orfici:

Per Campana il richiamo acquista un senso anche più stretto: perché i Canti orfici si svolgono secondo il ritmo di un viaggio, nel quadro di una struttura di movimento che corrisponde a una forma costante della sua vita intcriore ed esterna.8

Questi brevi accenni della critica a Dante mettono in rilievo uno degli aspetti fondamentali della poesia di Campana, cioè l'assoluta centralità negli Orfici del modello archetipo del viaggio, su cui si adagia tutta la trama narrativa del libro. Che Campana considerasse i Canti orfici non una raccolta di poesie, ma un tutto organico, un "libro," appunto, credo sia ormai fuori dubbio. Ci sono poi vari riferimenti di Campana al suo libro come viaggio o "corsa vittoriosa" e lo stesso tema riaffiora con insistenza nei titoli delle varie sezioni dei Canti orfici e del manoscritto ritrovato: "il viaggio". "il ritorno", "la sosta", "il pellegrinaggio", "il viaggio e l'incidente". Il libro di Campana è un viaggio sacro, tutto interiore s'intende, una serie di prove iniziatiche che si susseguono secondo il modello archetipo del ciclo solare, dalle tenebre alla luce e viceversa. Modello antichissimo, operante in tanta letteratura antica e medioevale, e naturalmente anche in Dante.
 
A Campana interessava l'aspetto iniziatico, visionario della poesia di Dante: la poesia, appunto, come disciplina interiore, strumento gnoseologico e fonte d'illuminazione. Non è da escludere che per Campana Dante fosse uno dei grandi esponenti della poesia orfica, o almeno della letteratura che Jung definisce collettivamente visionaria, perché indaga l'ignoto che circonda la vita cosciente dell'uomo.9 Infatti il carattere visionario della poesia di Dante ha interessato vivamente altri poeti di inclinazione orfica. La Vita Nuova specialmente, con il suo tema della rigenerazione nella memoria, fondamentale per l'orfismo moderno, ha avuto un'influenza notevole. I nuovi orfici sono paragonabili al Dante della Vita Nuova, che si rinnova attraverso l'amore e morte di Beatrice, come Orfeo rinnova se stesso attraverso la perdita di Euridice e la sua discesa agli Inferi. Strauss parla cosi delle corrispondenze tra Novalis e Dante:

There are a number of parallels in the two poets' experiences and a number of significane differences. Both lost the girl they loved: Beatrice at eighteen and Sophie Kuhn at fifteen. Each poet considers the event so cruciai that he is prompted to reinterpret his existence with the beloved's death at the center, so that his own life history is thenceforward understood as a renewal (meeting with thè beloved) that is followed by death (the axial event) and that leads to a regeneration (spiritual recovery of thè beloved) along with a new resolve to conceive ali future activity in her image.10

I parallelismi tra la Vita Nuova e l'Aurelio di Nerval sono esplicitamente dichiarati dall'autore nella prima parte del libro:

Swedenborg appellait ces visions Memorabilia: . . . l'Ane d'or d'Apulée, la Divine Comédie du Dante, sont les modèles poétiques de ces études de l'àme humaine. Je vais essayer, a leur exatnple, de transcrire les impressions d'une longue maladie qui s'est passée tout entière dans les mystères de mon esprit:. . . Cette Vita Nuova a eu pour moi deux phases. Voici les notes qui se rapportent a la premiere-une dame que j'avais aimée longtemps et que s'appelle du nom d'Aurélia, était perdue pour moi.11

Nel senso che i Canti orfici, come la Vita Nuova, sono un diario spirituale, un libro della memoria letto in retrospettiva alla ricerca di un significato simbolico, una disciplina e una iniziazione alla vera via della salvezza, l'analogia tra i due libri è apparente. Nei Canti orfici è evidente lo sforzo di reinterpretare e riordinare esperienze ed episodi sconnessi attraverso la memoria, che diventa cosi, come in Dante, rivelazione e strumento di rigenerazione spirituale. Con questo non si vuoi dire che il processo memoriale così conscio e ragionato in Dante trovi un corrispettivo esatto e puntuale in Campana; ma l'eco di Dante è innegabile. Tutta l'opera di Campana si basa su una memoria attivamente operante sulla realtà. Ogni intervento della memoria mira alla scoperta ed alla rivelazione di qualche frammento dimenticato del passato, personale od archetipo; attraverso la memoria l'esperienza personale ritrova il suo significato archetipo, si ricollega all'esperienza collettiva dell'umanità. I riferimenti precisi all'episodio della morte di Beatrice nei Notturni, come si vedrà più avanti, confermano in modo concreto che il legame tra la Vita Nuova e la prima metà degli Orfici non è mera supposizione. Ma se Beatrice conduce Dante al Paradiso ed alla Trinità nella Divina Commedia, in Campana Euridice s'identifica con la Chimera, l'Amore ambiguo, che conduce il poeta sia in alto sia in basso. La differenza essenziale tra il viaggio di Dante e quello di Campana è che il primo si muove dalle tenebre verso una luminosità sempre maggiore, mentre Campana si muove attraverso le tenebre, penetrate di quando in quando da bagliori che però non riescono ad abolirle. Cioè, come nota bene Galimberti, mentre la poesia di Dante segue un movimento verticale, quella di Campana segue un movimento ciclico, sempre teso a liberarsi dall'ordine delle cose, ma tuttavia immerso in esso.

Persino l'alternanza di prosa e versi negli Orfici potrebbe far pensare alla Vita Nuova, per quanto diversi i risultati. Dante nella prosa controlla, unisce e commenta i componimenti in versi, con chiarezza critica ed intellettuale. In Campana la prosa non è separabile dalla poesia, e non ha quindi la spiccata funzione strutturale della prosa della Vita Nuova. Ma se i Canti orfici si considerano nel loro insieme, si nota che i componimenti in versi spesso forniscono un'intensificazione e risonanza del materiale presentato in modo più esteso nella prosa. Questo è vero per i Notturni rispetto alla prosa della Notte e per "Immagini del viaggio e della montagna" e "Viaggio a Montevideo" rispetto alla prosa della Verna.
Il viaggio orfico è la ricerca del centro oscuro dell'essere, a cui segue un ritorno in cui questo centro, una volta ricuperato, assorbito e trasformato, viene fatto splendere nella sua propria nuova e intensa luce. La katabasis è un momento essenziale dell'esperienza orfica, senza il quale né la purificazione né la rigenerazione sono possibili. In questo senso la discesa agli Inferi di Dante costituisce l'esempio più illustre di katabasis di tutta la letteratura europea. Qualsiasi discesa nell'oscurità richiede necessariamente un processo di autodistruzione, di autoabnegazione, che permette la nascita del nuovo essere. Questo è il significato (vuoi psicoanalitico, vuoi ontologico e religioso) della discesa orfica nei tempi moderni. Cosi per Mallarmé la distruzione necessaria alla scoperta della verità ha un ruolo simile a quello che Beatrice ebbe per Dante:

Je n'ai créé mon oeuvre que par élimination et toute vérité acquise ne naissait que de la perle d'une impression qui, ayant étincelé, s'était consumée et me permetta", gràce a ses ténèbres dégagées, d'avancer plus profondément dans la sensation des Ténèbres Absolues. La Destruction fut ma Beatrice.12

Nella sua prefazione a Les Noces Jouve paragona il suo proprio rinnovamento spirituale a quello di Dante:

Cet ouvrage porte l'épigraphe 'Vita Nuova' parce qu'il témoigne d'une conversion a l'idèe religieuse la plus inconnue, celle que nous pouvons a peine concevoir en ce temps-ci, mais hors laquelle notre vie n'a point d'existence.13

La Notte di Campana rappresenta, nella struttura ciclica dei Canti orfici, il momento della katabasis, la ricerca e la scoperta del suo proprio inferno interiore. È il momento della sofferenza, del dolore, della prova iniziatica in cui Campana-Orfeo verserà il suo sangue; è il momento della ricerca ossessiva dell'amore, raggiunto soltanto per brevi attimi, spesso sterile, e poi perduto definitivamente. Il mondo si presenta nel suo aspetto più arido e spettrale, e il leitmotif del "panorama scheletrico del mondo" e dell'aridità rimarrà costante per tutta la Notte. Il significato simbolico del viaggio notturno di Campana ap-pire già evidente dal primo paragrafo delia Notte, in cui la città dì Faenza si presenta in un'atmosfera di sogno e di mistero. Campana rivede la città nella sua essenza archetipa, al di fuori del tempo ("e del tempo fu sospeso il corso"), e ripercorre la sua esperienza come prova misterica. Tutta la Notte, anzi, è una serie di prove iniziatiche; questo risulta ben chiaro dal testo, ma l'autore stesso aveva sottolineato il contenuto simbolico e sacro della sua Notte nel titolo che appare nel manoscritto: La Notte Mistica delTamore e del dolore. La notte mistica era, negli antichi misteri, la notte dell'iniziazione, cioè dei mystes, degli iniziati.
Ma la prova iniziatica che Campana sente più vicina è forse ancora quella di Dante. I parallelismi strutturali e tematici tra l'entrata di Dante nella città di Dite e l'entrata di Campana in Faenza sono notevoli. La torre, sia in Campana sia in Dante, è il punto focale del loro graduale avvicinarsi alla città. Ecco l'inizio della Notte:

 

Ricordo una vecchia città, rossa di mura e turrita, arsa su la pianura sterminata nell'Agosto torrido ...

 

E Dante:

Lo buon maestro disse: "Ornai figliuolo
s'appressa la atta c'ha nome Dite,
coi gravi cittadin, col grande stuolo."
E io: "Maestro, già le sue meschite
là entro certe nella valle cerno,
vermiglie come se di foco uscite
fossero." Ed ei mi disse: "II foco etterno
ch'entro l'affoca le dimostra rosse.
                         (Inf. VIII, 67-74)

 

La palude Stigia, la "morta gora" che circonda la città di Dite, riappare nel primo paragrafo della Notte:

Archi enormemente vuoti di ponti sul fiume impaludato in magre stagnazioni plumbee ... tra il barbaglio lontano di un canneto forme ignude di adolescenti... e a un tratto dal mezzo dell'acqua morta un canto, da la palude afona una nenia primordiale monotona e irritante.

Ed ecco la descrizione della palude Stigia:

L'acqua era buia assai più che persa:
e noi, in compagnia dell'onde bige,
entrammo giù per una via diversa.

E io, che di mirare stava inteso,
vidi genti fangose in quel pantano,
ignude tutte, con sembiante offeso
 
Quest'inno si gorgoglian nella strozza.
                           (Inf. VII, 103-125)

 

Lo spostarsi dell'angolo prospettico che risulta dell'accostarsi alla città s'incentra, sia in Campana sia in Campana sia in Dante, nei diversi momenti della descrizione della torre. Procedendo tra la ripa asciutta e la melma dello stagno, Dante s'avvia verso la torre:

 

Io dico, seguitando, ch'assai prima
che noi fossimo al pie dell'alta torre,
li occhi nostri n'andar suso alla cima
per due fiammelle che i' vedemmo porre
                          (Inf. VIII, 1-4)


E Campana:

 

Inconsciamente colui che io ero stato si trovava avviato verso la torre barbara, la mitica custode dei sogni dell'adolescenza. Una piazzetta deserta, casupole schiacciate, finestre mute: a un lato in un balenio enorme la torre, otticuspide rossa impenetrabile arida.

 

Giunto ai piedi della torre, Dante guarda improvvisamente in alto:

 

E altro disse, ma non l'ho a mente:
però che l'occhio m'avea tutto tratto
ver l'alta torre alla cima rovente . . .
                         (Inf. IX, 34-36)

 

Identica la reazione di Campana:

 

Inconsciamente io levai gli occhi alla torre che dominava il viale lunghissimo dei platani. Sopra il silenzio fatto intenso essa riviveva il suo mito lontano e selvaggio
                         (Par. 3)

 

Da notare, oltre a queste convergenze strutturali, il sottofondo archetipo che accomuna la visione di Dante a quella di Campana. Secondo Frye la città infernale, la torre, l'acqua, il fuoco, "la terra sconsolata" di Dante, che diventa poi "panorama scheletrico del mondo" in Campana, appartengono alla categoria delle immagini demoniache:

The inorganic world may remain in its unworked form in deserts, rocks, and waste land. Cities of destruction and dreadful night belong bere . . . Corresponding to thè terapie or one building of thè apocalypse, we have thè prison or dungeon, thè sealed furnace of heat without light, like thè City of Dis in Dante.14

Uno dei temi fondamentali della Notte è la ricerca e l'inevitabile perdita dell'amore. All'amore sterile delle varie ancelle Campana contrappone il desiderio di Lei, l'amore irrangiungibile, la meta del suo viaggio notturno:

Mentre più dolce, già presso a spegnersi ancora regnava nella lontananza il ricordo di Lei, la matrona suadente, la regina ancora ne la sua linea classica tra le sue grandi sorelle del ricordo.
                          (Par. 9)

Le grandi sorelle del ricordo sono le "regine antiche" travolte dal turbine di Dante:

... e lo sbattere delle pose arcane e violente delle barbare travolte regine antiche aveva udito Dante spegnersi nel grido di Francesca là sulle rive dei fiumi che stanchi di guerra mettono foce, nel mentre sulle loro rive si ricrea la pena eterna dell'amore.
                          (Par. 9)

Il Canto V dell'Inferno aveva per Campana un fascino particolare. Un altro riferimento dirètto lo troviamo negli Inediti:

 

È il carillon d'una torre gotica. Dante nel V canto ebbe questa fantasia cavalieresca che trionfa dell'inferno latino.
                          ("È il carillon")

 

La "fantasia cavalieresca" di Dante, a quanto pare, è un riferimento ai versi 70-73 del Canto V:

 

Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito
nomar le donne antiche e' cavalieri,
pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.

Le "donne antiche e' cavalieri," infatti, riappariranno magicamente nelle carte da gioco della ruffiana nella Notte, come "strane teorie di regine languenti re fanti armi e cavalieri" (Par. 8). Un altro riferimento all'amore-lussuria ed all'episodio di Francesca appare nell'ottavo paragrafo:

La magia della sera, languida amica del criminale, era galeotta delle nostre anime oscure.

La perdita della Chimera-Euridice avviene in un Luna Park, durante una serata di festa. La fiera è la trasposizione moderna della festa dionisiaca della notte mistica, cosi come il Luna Park si trasforma in un inferno moderno:

E guardammo le vedute. Tutto era di una irrealtà spettrale. C'erano dei panorami scheletrici di città. Dei morti bizzarri guardavano il cielo in pose legnose.
                          (Par. 12)

 

E poi il distacco da "lei fine e bruna, pura negli occhi e nel viso," la perdita definitiva dell'amore:

 

La perdita dell'amore è anche il tema centrale della Vita Nuova, e non mancano nella Notte i riferimenti al libro della memoria di Dante. Il sogno in cui Dante vede Beatrice nuda nelle braccia d'Amore intenta a mangiare il suo cuore ardente viene reinterpretato cosi da Campana:

 

Ed il mio cuore era affamato di sogno, per lei, per l'evanescente come l'amore evanescente, la donatrice d'amore dei porti, la cariatide dei cicli di ventura. Sui suoi divini ginocchi, nella sua forma pallida come un sogno uscito dagli innumerevoli sogni dell'ombra, tra le luci fallaci, l'antica arnica, l'eterna Chimera teneva tra le mani rosse 51 mio antico cuore.
                          (Par. 16)

 

II paragrafo 18 della Notte presenta uno dei rari momenti in cui l'amore sembra essere raggiunto. Il carattere quasi soprannaturale di tale esperienza, "il bello e dolce dono di un dio," viene sottolineato ripetutamente:

 

Amore, primavera del sogno sei sola sei sola che appari nel velo dei fumi di viola. Come una nuvola bianca, come una nuvola bianca presso al mio cuore, o resta o resta! Non attristarti o Sole.

 

L'immagine dell'amore-nuvola si trova già nella Vita Nuova, dove Beatrice è vista in sogno come una "nebuletta bianchissima":

 

Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine di angeli li quali tornassero in suso, ed avevano dinanzi a loro una nebuletta bianchissima.
                         (V.N. XXXIII)

 

L'uso di immagini dantesche come commento indiretto alla propria esperienza è piuttosto costante negli Orfici. Per esempio nella "Chimera," la prima poesia dei Notturni, cioè il gruppo di componimenti che segue la Notte, dove la frase dantesca da risalto alla natura trascendente della Chimera:

 

Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
dolce sul mio dolore,
sorriso di un volto notturno

 

II "dolce vapore" in Dante è infatti un attributo divino:

 

O padre nostro, che nei cieli stai,
. . . laudato sia il tuo nome e'1 tuo valore
da ogni creatura, com'è degno
di render grazie al tuo dolce vapore.
    (Purg. XI, 1-6)

 

I Notturni, che riprendono e sviluppano, in una fitta rete di corrispondenze e parallelismi, la tematica della sezione precedente, rappresentano il tentativo più coerente di rivivere l'esperienza dantesca della Vita Nuova come esperienza orfica. Al tema della ricerca e perdita dell'amore, si aggiunge nei Notturni l'altro tema centrale della Vita Nuova, il motivo della morte, a cui già si accennava negli ultimi paragrafi della Notte:

 

Qual ponte, muti chiedemmo, qual ponte abbiamo noi gettato sull'infinito, che tutto ci appare ombra di eternità?
Questo motivo dello spiraglio aperto sull'infinito ricorrerà nella terza poesia dei Notturni, "La speranza":

Chi le taciturne porte
guarda che la Notte
a aperte sull'infinito?

 

L'invocazione alla Speranza, la "principessa dei sogni segreti" di questa poesia, diventa in effetti un'invocazione alla morte, in una progressiva identificazione dei motivi Notte-Morte-Speranza-Liberazione:

 

Per l'amor dei poeti, porte
aperte de la morte
su l'infinito.

 

Nella poesia che segue, "II canto della tenebra," il tema della morte-liberazione è di nuovo centrale: il "cuore che non ama più" attende con trepidazione l'avvicinarsi delle tenebre:

 

Ascolta: la luce del crepuscolo attenua
Ed agli inquieti spiriti è dolce la tenebra:
Ascolta: ti ha vinto la Sorte:
Ma per i cuori leggeri un'altra vita e alle porte:
Non c'è dolcezza che possa eguagliare la Morte

 

Solo ai "cuori leggeri", di baudelariana memoria, è concesso di vedere nella morte l'inizio di una vita nuova, di una rigenerazione spirituale. Nella Vita Nuova il complesso dialettizzarsi di Amore e Morte raggiunge uno dei punti di massima intensità nella visione della morte di Beatrice del Capitolo XXIII. Il farneticare del poeta, il guardare in faccia la morte nella sua realtà fisica, lo conduce ad uno stato di riflessione sul fenomeno, alla contemplazione della morte. "Cuore leggero" anche Dante, è portato a scoprire nella contemplazione della morte l'inizio di una nuova vita, e la "morte villana" gli sembrerà ora "dolcissima," e sarà da lui invocata:

 

Dolcissima Morte, vieni a me, e non m'essere villana, però che tu dei essere gentile, in tal parte se' stata! Or vieni a me, che molto ti desidero.

 

Le corrispondenze tematiche tra la Vita Nuova ed i Notturni di Campana sono messe chiaramente a fuoco, senza possibilità di equivoci, nella poesia che segue "II canto della tenebra," intitolata "La sera di fiera," in cui il tema Amore-Morte è di nuovo centrale. Il titolo rimanda alla sera di festa della Notte, in cui, come si è visto, è avvenuta la perdita dell'amore:

 

Il cuore stasera mi disse: non sai?
La rosabruna incantevole
Dorata da una chioma bionda:
E dagli occhi lucenti t bruni colei che di grazia imperiale
Incantava la rosea
Freschezza dei mattini:
E tu seguivi nell'aria
La fresca incarnazione di un mattutino sogno:
E soleva vagare quando il sogno
E il profumo velavano le stelle
(Che tu amavi guardar dietro i cancelli
Le stelle le pallide notturne):
Che soleva passare silenziosa
E bianca come un volo di colombe
Certo è mona: non sai)
Era la notte
Di fiera della perfida Babele
Salente in fasci verso un cielo affastellato un paradiso di fiamma
In lubrici fischi grotteschi
E tintinnare d'angeliche campanelle
E gridi e voci di prostitute
E pantomime d'Ofelia
Stillate dall'umile pianto delle lampade elettriche

 

II riferimento preciso alla morte di Beatrice nella Vita Nuova non è a prima vista apparente perché ci troviamo di fronte ad echi danteschi "nascosti" nel corpo della poesia. Tecnica impiegata da Montale ed Eliot, che rispettivamente in "Stile e tradizione" e "Tradition and individuai talent" hanno dato una base teorica al rapporto tra tradizione e libertà individuale che caratterizza la loro poesia. Anche loro, come Campana, si nutrirono dell'esperienza poetica di Dante, che traspare continuamente nella loro opera. Ma prima di loro Campana, che ha lasciato solo brevi appunti sul suo modo di fare poesia, ha dimostrato di aver saputo valorizzare ed assimilare Dante senza peraltro rinunciare alla sua modernità ed al suo timbro personale. Gli "occhi lucenti" di "La sera di fiera" riappariranno in "Viaggio a Montevideo":

Si presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina / una fanciulla della razza nuova I occhi lucenti e le vesti al vento.
Ma essi appartengono alla tradizione stilnovista e soprattutto a Beatrice:

 

Poscia che m'ebbe ragionato questo
li occhi lucenti lacrimando volse
per che mi fece del venir più presto
                        (Inf. II, 115-117)

 

In effetti "La sera di fiera" è quasi una trasposizione in linguaggio moderno del sogno premonitore avuto da Dante prima della morte di Beatrice:

 

E maravigliandomi in cotal fantasia, e paventando assai, imaginai alcuno amico che mi venisse a dire: "Or non sai? La tua mirabile donna è partita di questo secolo" Io imaginava di guardare verso lo cielo, e pareami vedere moltitudine d'angeli li quali tornassero in suso, ed aveano dinanzi a loro una nebuletta bianchissima . . . Allora mi pareva che lo cuore, ove era tanto amore, mi dicesse: "Vero è che morta giace la nostra donna."

 

Cosi più facilmente spiegabili sono le immagini sconvolgenti che seguono la morte della rosabruna incantevole ("paradiso di fiamma," "lubrici fischi grotteschi," "gridi e voci di prostitute," "pantomime d'Ofelia") se si accostano alla visione apocalittica che accompagna la morte di Beatrice:

 

E vedere mi parca donne andare scapigliate piangendo per via, maravigliosamente triste; e pareami vedere lo sole oscurare, si che le stelle si mostravano di colore ch'elle mi faceano giudicare che piangessero; e pareami che li uccelli cadessero morti; e che fossero grandissimi terremuoti.

 

L'ultima strofa di "La sera di fiera", che Campana ha aggiunto solo in un secondo tempo, dimostra con quale coerenza egli abbia voluto sviluppare l'analogia con l'esperienza dantesca:


 Una canzonetta volgaruccia era morta
E mi aveva lasciato il cuore nel dolore
E me ne andavo errando senz'amore
Lasciando il cuore mio di porta in porta:
Con Lei che non è nata eppure è morta
E mi ha lasciato il cuore senz'amore:
Eppure il cuori porta nel dolore

 

II motivo del dolore, del "cuore dolente," è riconducibile ai capitoli che seguono la morte di Beatrice:

 

E dirò di lei piangendo,
poi che si n'è gita in ciel subitamente
e ha lasciato Amar meco dolente
                         (V.N. XXXI)

Quantunque volte, lasso!, mi rimembra
ch'io non debbo già mai veder la donna
ond'io vo si dolente
tanto dolor intorno 'l cor m'assembra
la dolorosa mente . . .
                         (V.N. XXXIII)

 

Persino l'immagine sibillina di "Lei che non è nata eppure è morta" è forse spiegabile solo con l'aiuto di Dante. Nel Paradiso "quell'uom che non nacque" è Adamo; è da supporre che la donna che "non è nata" sia Eva, sorella della Chimera, che appare infatti in altri luoghi degli Orfici:

 

Bianca, dal mio spirito esausto silenziosa si sciolse, Èva si sciolse e mi risvegliò.
                         ("La giornata di un nevrastenico")

 

II ritorno nel mondo, dopo la trasformazione subita nella Notte e nei Notturni, avverrà nella Verna, che è appunto un continuo salire. Mentre nella Notte l'immagine centrale era la torre, simbolo di fede e di eternità, nella Verna l'immagine-chiave è il castello, che riappare continuamente sulla sommità di un monte, intravisto da lontano ma mai raggiunto, la terra promessa di un giardino edenico. La ricerca di una terra promessa, dove l'uomo potrà rompere le catene del circolo doloroso del divenire, dimenticare il "panorama scheletrico del mondo," ed impostare la sua propria trasformazione come centro d'irradiazione di una metamorfosi più vasta, continuerà nei componimenti che seguono la Verna: "Immagini del viaggio e della montagna," "Viaggio a Montevideo," "Dualismo" e "Pampa." Negli ultimi tre è l'America, il "continente nuovo," che racchiude la promessa di un'innocenza perduta, a volte soltanto intravista, a volte ricuperata in uno slancio mistico, come in "Pampa." L'orfismo di Campana mira alla trasformazione del mondo attraverso il ricordo, il sogno, l'abolizione del tempo: la nascita dell' "uomo nuovo" può avvenire solo dopo la sua morte alla vita quotidiana e banale.

Se la Notte è il momento della katabasis, della scoperta dell'inferno intcriore del subcosciente, la Verna rappresenta il momento del risveglio alla luce e dell'ascesa purgatoriale. La presenza di Dante nell'ascesa alla Verna la sacralizza e l'avvolge in un alone di significati e di richiami che trasportano il lettore in una nuova, più profonda dimensione spirituale. La salita alla Verna è infatti anch'essa un atto di purificazione e quindi di liberazione; il paesaggio promesso del castello che Campana intravede da lontano è il suo personale giardino dell'Eden. Naturalmente Campana non è Dante. La via della salvezza mostrata da Dante rimane chiusa all'uomo moderno e Campana non può come Dante immergersi nel Lete per poter poi salire al Paradiso. Ma il bisogno di dimenticare anima tutto il viaggio di Campana: abolire il tempo, dimenticare la storia per attingere al ricordo più profondo di un'umanità incorrotta, e uscire cosi dalla dolorosa circolarltà del divenire. Il verbo "salire," cosi centrale nel Purgatorio di Dante, acquista nella Verna un'importanza particolare, e la sua ricorrenza sistematica sottolinea l'aspetto sacro, mitico e iniziatico dell'ascesa al monte, del "pellegrinaggio," come Campana tiene a precisare. La funzione simbolica del verbo è dichiarata apertamente in "Ritorno": "SALGO (nello spazio, fuori del tempo)." Lo stesso accade all'altro verbo dantesco, "varcare," caro anche a Montale, che appare frequentemente nella Verna e in "Viaggio a Montevideo," ma il cui significato simbolico Campana aveva già fissato nella frase niciana che si legge all'inizio del manoscritto: "E come puro spirito varca il ponte." I vari riferimenti diretti a Dante nella Verna ci avvertono ancora una volta che il modello dantesco del viaggio è quello che Campana sente più profondamente:

 

"Caprese, Michelangelo, colei che tu piegasti sulle sue ginocchia stanche di cammino, che piega che piega e non posa, nella sua posa arcana come le antiche sorelle, le barbare regine antiche sbattute nel turbine del canto di Dante, regina barbara sotto il peso di tutto il sogno umano."
                           ("22 Settembre")

 

E nella descrizione della pianura di Romagna, in cui si sente l'eco del Canto XIV del Purgatorio, dove Dante ricorda con nostalgia l'antica Romagna e "le donne e i cavalier, li affanni e li agi, / che ne 'nvogliava amore e cortesia," riappare la figura di Francesca:

 

Occhi crepuscolari in paesaggio di torri là sognati sulle rive della guerreggiata pianura, sulle rive dei fiumi bevuti dalla terra avida là dove si perde il grido di Francesca
                          ("26 Settembre")

 

Alle "donne e i cavalier" di Dante si riferisce certamente Campana quando parla delle "favole d'antica poesia" e delle "signore gentili dalle bianche brac-cia ai balconi laggiù: come in un sogno, come in un sogno cavalieresco" ("22 Settembre"). Il "sogno cavalieresco" è chiaramente identico alla "fantasia cavalieresca" che altrove Campana attribuisce a Dante.
È inevitabile, in un'atmosfera così pervasa da reminiscenze dantesche, che il suono di una campana si ricongiunga, nell'atemporalità della memoria, alla "squilla" che il marinaio ode nell'ottavo canto del Purgatorio:

Una campana dalla chiesetta francescana tintinna nella tristezza del chiostro: e pare il giorno dall'ombra, il giorno piagner che si muore.
 
Ed è chiaro che se Campana chiama il suo viaggio un "pellegrinaggio," è proprio perché ha in mente il pellegrino Dante:

 

Riposo ora per l'ultima volta nella solitudine della foresta. Dante la sua poesia di movimento, mi torna tutta in memoria. O pellegrino, o pellegrini che pensosi andate.
                              ("Ritorno")

 

E come non pensare all' "Archian rubesto" (Purg. V, 125) di Dante quando leggiamo "il corso del torrente rubesto" nella Verna? Nella Verna, al tema dell'ascesa purgatoriale, della purificazione e della liberazione, si unisce quello della terra promessa, che appare come un castello incantato nella lontananza:

 

Son sceso per interminabili valli selvose e deserte con improvvisi sfondi di un paesaggio promesso, un castello isolato e lontano: e al fine Stia, bianca elegante tra il verde, melodiosa di castelli sereni: il primo saluto della vita felice del paese nuovo.

 

La "vita felice" del paesaggio promesso, dell'innocenza ritrovata, riecheggia lo "stato felice" che Matelda attribuisce all'età dell'oro (Purg. XXVIII, 140).
In "Immagini del viaggio e della montagna," la poesia che segue la Verna e ne riassume i motivi principali, è ancora una volta caratteristico l'impiego sistematico di immagini, vocaboli e citazioni danteschi nella tessitura del testo. Galimberti fa notare che "l'anima seconda" dell'inizio è di probabile derivazione dantesca:

 

... poi che nella sorda lotta notturna
La più potente anima seconda ebbe frante le nostre catene
Noi ci svegliammo ed era l'azzurro mattino

 

È difficile non pensare qui al Canto I del Purgatorio, al risveglio estatico alla luce dopo la "profonda notte" dell'Inferno:

 

Dolce coler d'oriental zaffiro
agli occhi miei ricominciò diletto
tosto ch'io uscii fuor de l'aura morta
che m'avea contristati gli occhi e il petto
                           (Purg. I, 13-18)

 

Anche quando i riferimenti a Dante non sono diretti, Campana lo evoca indirettamente raggruppando in breve spazio numerosi vocaboli e sintagmi danteschi, come avviene nella terza strofa:

 

Da selve oscure il torrente
sorte ed in torpidi gorghi la chiostra di rocce
lambe ed involge aereo cilestrino

Nella quarta strofa, che descrive una corsa di biciclette, Campana per la prima volta identifica esplicitamente l'esperienza orfica con quella dantesca, reinterpretando l'evento miticamente come rito iniziatico di liberazione:

Hanno varcato in lunga teoria:
Nell'aria non so qual bacchico canto
Salgono: e dietro a loro il monte introna


 
II "bacchico canto" appariva già nella variante del manoscritto: "Vola una turba in caccia Dionisos Dionisos Dionisos." La presenza di Dante nel rito iniziatico si avverte già nei due verbi-chiave "varcare" e "salire," ma è l'ultimo verso che segnala la compiuta purificazione con un richiamo abbastanza palese al terremoto che annuncia la purificazione di Stazio nel Purgatorio:

 

Ma dimmi, se tu sai, perche tai crolli
diè dianzi il monte, e perché tutti ad una
parver gridare infine ai suoi pie molli
                          (Purg. XXI, 34-36)

 

II rito iniziatico, ridotto al canto ed al crollo del monte, è identico in Dante e Campana. Se ciò non bastasse, nella variante del manoscritto Campana parlava di "Bolgia di roccia alpestre." Oltre all'ovvio "bolgia," "roccia alpestre" è un sintagma dantesco (Par. VI, 51).


Non mancano, nella stessa poesia, dirette citazioni dantesche; come nella quinta strofa che riprende il tema del castello-paesaggio promesso: "Se tale a le tue mura la proclina / anima al nulla nel suo andar fatale." L' "andar fatale" è un sintagma dantesco (Inf. V, 22). E la poesia termina infine con un intero verso di Dante leggermente modificato (Inf. IV, 81):

 

(Quieto e lo spirto) vanno muti carmi
A la notte: a la notte: intendo:
Solo Ombra che torna, ch'era dipartito

 

La poesia che segue, "Viaggio a Montevideo," con la sua ricerca del "continente nuovo," si ricollega tematicamente sia alla Verna sia a "Pampa." La nascita dell' "uomo nuovo," a cui aspira la poesia di Campana, potrà avvenire soltanto ai confini dell'oceano, in un rifiuto totale della vecchia Europa e dei suoi valori. L'eterno pellegrinaggio di Campana lo porta quindi fino in Sud America, ed è ancora Dante che gli fa da guida, questa volta attraverso l'episodio di Ulisse:

 

Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna Svanire

L'avvio della poesia corrisponde perfettamente all'inizio del viaggio di Ulisse:

"L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna"
                      (Inf. XXVI, 103)


 
e vari richiami sono riconoscibili qua e là nel corso della poesia:

 

Ne la celeste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra Tale celeste sul mare.

 

"Batter l'ale" è una ricorrente immagine dantesca (Inf. XXII, 115; Purg. XII, 98; Par. XI, 3) e qui fa pensare al famoso verso: "dei remi facemmo ali al folle volo," mentre il metaforico "naufraghi cuori" rimanda al naufragio letterale ed allegorico dell'eroe greco. Ritorna il verbo-chiave "varcare," legato all'aggettivo "cieca," e Dante chiama il viaggio di Ulisse "il varco folle"
                       (Par. XXVII, 82).

 

Appare più avanti "una fanciulla della razza nuova" dagli stilnovistici "occhi lucenti" e la prateria è "deserta senza le case umane," forse un'eco del "mondo senza gente" (Inf. XXVI, 117) di Dante. L'apparizione di Buenos Aires è descritta cosi. "E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve I... del continente nuovo la capitale marina." E Ulisse: "quando n'apparve una montagna . . . / Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; / che della nova terra un turbo nacque." (Inf. XXVI, 133-137)

Non è possibile in questa sede presentare un inventario completo delle reminiscenze Dantesche nei Canti orfici, ma eccone almeno alcune altre fra le più significative. In "Pampa," ad esempio, in uno dei rari momenti in cui l'accordo universale è raggiunto e 1' "uomo nuovo" può finalmente nascere, c'è un accenno all'esperienza mistica di Dante:

 

I miei pensieri fluttuavano: si susseguivano i miei ricordi: che deliziosamente sembravano sommergersi per riapparire a tratti lucidamente trasumanati in distanza.

 

Gli alter ego che Campana incontra nel suo viaggio, in "II Russo" e in "L'incontro di Regolo," sembrano ricalcati sull'esempio dantesco. La morte del Russo, dal "viso emaciato disfatto, coi segni di una lotta terribile e vana," è la sconfitta inevitabile dell'umanità disumanizzata, lo scacco di chi esce "per salvare altri uomini" col suo sangue. L'atmosfera infernale del manicomio in cui avviene il martirio orfico del Russo e già evocata nella poesia francese che Campana cita all'inizio dell'episodio: "Tombe dans l'enfer / Grouillant d'étres humains." Nel manicomio ciascuno esiste dantescamente "assorto in ciò che formava l'unico senso della sua vita: la sua colpa." Nell' Inferno, la decima bolgia, dove sono puniti i falsatori, si presenta come un ripugnante lazzaretto, dove i dannati vengono chiamati "ammalati" ed è paragonata da Dante agli "spedali di Valdichiana":

 

Quando noi fummo sor l'ultima chiostra
di Malabolge, si che i suoi conversi
potean parere alla veduta nostra,
lamenti saettaron me diversi,
che di pietà ferrati avean li strali,
ondio li orecchi con le man copersi.
     (Inf. XXIX, 40-46)

 

I "conversi" riappariranno nell'episodio del Russo: "Dei frati grigi dal volto sereno, troppo sereno, assisi vigilavano." Ed infine l'immagine dantesca, che basta da sola a stabilire un legame diretto:

 

Ora io lo vedevo chiudersi gli orecchi per non udire il rombo come di torrente sassoso del continuo strisciare dei passi.

 

Cosi "L'incontro di Regolo," con l'accenno al cibo: "Bisognava mangiare. Andiamo," e all'aspetto fisico di Regolo, con "la faccia a destra atona e contratta," ricorda l'episodio di Forese e la sua "faccia torta." Non è forse per coincidenza che Campana e Regolo ricordano "l'incontro di quattro anni fa laggiù in America," mentre Dante osserva che dal giorno della morte di Forese "cinquenni non son volti infino a qui."
 
Su un altro registro, non è nemmeno azzardato parlare di neostilnovismo in Campana, come si è già fatto per Montale. Si consideri l'alone di numinosità che circonda le apparizioni femminili in "Scirocco" e in "Crepuscolo mediterraneo":

 

Attraverso a una piazzetta dorata da piccoli sepolcreti, nella scia bianca del suo pennacchio una figura giovine, gli occhi grigi, la bocca dalle linee rosee tenui, passò nella vastità luminosa del cielo. Sbiancava nel cielo fumoso la melodia dei suoi passi... ("Scirocco")

. . . per le tue vie mi appaiono in grave incesso giovani forme, di già presaghe al cuore di una bellezza immortale appaiono rilevando al passo un lato della persona gloriosa, del puro viso ove l'occhio rideva nel tenero agile ovale. Suonavano le chitarre all'incesso della dea . . . ("Crepuscolo mediterraneo")

 

Tutta l'ultima scena ricorda le apparizioni di Beatrice nella Vita Nuova. "Gloriosa" è l'aggettivo preferito da Dante per descrivere la sua donna, e appare già nel secondo paragrafo della Vita Nuova: ". . . quando a li miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente ..."
Infine non poteva mancare un riferimento preciso a Dante proprio nel momento di massima intensità lirica del libro, la quarta strofa di "Genova," dove la visione mistica i faticosamente raggiunta. L'insolito sintagma "alto sale"-"Dentro il vico marino in alto sale / Dentro il vico che rosse in alto sale" - che ricorre ben quattro volte nella strofa, è infatti di origine dantesca:

 

Voi altri pochi che drizzaste il collo
per tempo al pan de li angeli, del quale
vivesi qui ma non sen vien satollo,
metter potete ben per l'alto sale
vostro navigio, servando mio solco
dinanzi a l'acqua che ritorna eguale.
     (Par. II, 13)

 

Questo riferimento alle due famose terzine dantesche è forse l'ultimo tributo di Campana al grande poeta fiorentino, seguendo il cui solco si è messo coraggiosamente in mare aperto. Come si è visto, le reminiscenze dantesche nei Canti orfici sono numerose, costanti e sistematiche, e rappresentano la manifestazione tangibile di affinità spirituali e di pensiero sottili e profonde. La presenza di Dante nei Canti orfici è da considerarsi di importanza fondamentale alla comprensione della struttura e del sottofondo mitico-religioso del libro. Il viaggio dantesco illumina continuamente il viaggio di Campana, in una continua interazione e compenetrazione dei piani narrativi e simbolici, ed è il filo conduttore su cui si bilancia, in un equilibrio precario, la visione disgregante di Campana.


Note

I Lettera a Papini, citata da Domenico De Robertis in Dino Campana oggi (Firenze: Vallecchi, 1973), p. 34.

2 Lettera a Emilio Cecchi, citata da E. Falqui in Per una cronistoria dei Canti orfici (Firenze: Vallecchi, 1960), p. 37.

3 Lettera a Soffici, citata da E. Falqui, ibid., p. 49.

4 Dino Campana, Canti orfici e altri scritti (Firenze: Vallecchi, 1966), p. 314.

5 Ibid. p.333

6 Campana-Aleramo Lettere, a cura di Niccolo Gallo (Firenze: Vallecchi, 1958), p. 20.

7 P. Bigongiari, Poesia italiana del Novecento (Firenze: Vallecchi, 1965), p. 57.

8 C. Galimberti, Dino Campana (Milano: Mursia, 1967), p. 17.

9 Per quanto riguarda la possibilità di un nesso tra Orfismo e Dante, bisognerà ricordare alcuni elementi importanti della dottrina orfica. Gli Orfici credevano che l'anima è prigioniera del corpo, e che porta con si un peccato originale, il dismembramento di Dioniso da parte dei Titani, da cui pud liberarsi solo attraverso un rito iniziatico di purificazione (per il cristianesimo il rito e il sacramento del battesimo). Orfica è l'idea della purificazione nel dolore: la discesa alle tenebre è necessaria alla purificazione e alla trasformazione dell'essere e alla riconquista della luce. Orfico, non classico, è il concetto di un'altra vita dove l'anima è premiata o punita a seconda della sua condotta su questa terra; e orfico è anche il concetto della visione o estasi come viaggio dell'anima fuori del corpo, che sarà poi ripreso da Fiatone. Che l'idea di un Dante "orfico," sulla scia di Virgilio e Fiatone, non sia affatto arbitraria, ce lo conferma anche Vossler in Mediaeval Culture (New York: F. Ungar, 1958), nel capitolo sulla letteratura apocalittica. Non si dimentichi che Dante con tutta probabilità conosceva benissimo il mito d'Orfeo attraverso le Georgiche di Virgilio e le Metamorfosi di Ovidio, e che la discesa agli Inferi di Enea, anch'essa di ispirazione orfica più che omerica, presentava un modello esemplare di katabasis.

10 W. Strauss, Descent and Return: The Orphic Theme in Modern Litterature (Cambridge: Harvard Unlversity Press, 1971), p. 26.

11 G. de Nerval, Oeuvres (Paris: Editions Garnier Frères, 1966), p. 754.

12 Citato da W. Strauss, op. cit., p. 86.

13 Citato da W. Strauss, op. cit., p. 239.

14 N. Frye, Anatomy of Criticism (Princeton: Princeton University Press, 1973), p. 161.